Intorno a Butterfly
di Antonino Trotta
Madama Butterfly è il secondo titolo d’opera nel cartellone estivo del Teatro Regio di Torino. Benché proposta in versione ridotta e narrata, la già nota versione con testi di Vittorio Sabadin, con regia di Vittorio Borrelli, non perde il fuoco sul cuore del dramma. Accanto all’eccezionale Rebeka Lokar non sfigurano affatto le prove di Antonio Poli, Alessio Verna e Sofia Koberidze mentre sul podio ben si comporta Pier Giorgio Morandi.
Torino, 3 luglio 2021 – Soprano che vince non si cambia, specialmente se lei, Rebeka Lokar – già Cio Cio San nell’ultima produzione in terra sabauda diretta da Daniel Oren con la regia di Pier Luigi Pizzi –, in questo un melodramma singolarmente soprano-centrico, è tra le migliori in assoluto sulla piazza. C’è dunque poco da sorprendersi se anche questa Madama Butterfly, proposta in versione for dummies quale secondo titolo della rassegna estiva Regio Opera Festival, incorona trionfatrice della serata la geisha del soprano sloveno che proprio qui a Torino ha iniziato, ormai qualche anno fa, il proprio percorso artistico.
Si cominci da un dato abbastanza oggettivo: per potenza di cavata, fluidità e morbidezza d’emissione, estensione e controllo infallibile delle dinamiche oggi Rebeka Lokar troverebbe termini di paragoni, senza esagerare, in Anna Netrebko, Angela Meade e poche, poche altre. Se però il dato tecnico è condizione necessaria – talvolta nemmeno così tanto – ma non sufficiente per gridare al miracolo, ciò che più ci entusiasma è sicuramente l’osservazione di come tali qualità divengano fondamentali nella costruzione di un personaggio complesso e impegnativo come Butterfly. Un ruolo che funziona quando si è in grado di esprimere la purezza assoluta e la sua triste sfioritura, la balsamica ingenuità e la dolorosa presa di coscienza, l’illusione e la disillusione sentimentale, quando insomma possono alternasi, anche nell’arcata di una stessa frase, i bagliori del soprano lirico e le stoccate di quello drammatico. Lokar eccelle in tutto ciò: ritrae la fanciullesca genuinità nel coro di sortita – il re bemolle filato, lungo, impalpabile, vellutato, saldamente appoggiato sul fiato, alla Caballé in poche parole, è qualcosa che toglie il fiato –, apre le valvole e infiamma il dramma nella romanza finale «Tu, tu, piccolo Iddio!», dà sfogo alla fregola amorosa nel sublime duetto che chiude il primo atto, sa porgere con dolcezza infinita l’ultimo desiderio di Butterfly («A lui lo potrò dare /se lo verrà a cercare»). Eccezionale, null’altro da aggiungere.
Il resto del parterre, a onor del vero, non è da meno. Antonio Poli è un Pinkerton giustamente baldanzoso e piacione, vanta bel timbro e una buona solidità d’emissione: si avvicina al tenente della Marina con slancio per esaltarne la vanagloriosa tracotanza, affronta il duetto con un fraseggio concitato per sottolineare che il testo lì proferito è governato solo dall’ardore delle pelvi, canta infine «Addio, fiorito asil» con un pizzico di sincera commozione, esibendo lì anche belle mezze voci. Alessio Verna, di solito ascoltato in più piccole parti di fianco, con Sharpless ha l’opportunità di mettere in risalto un strumento baritonale di bel colore e buon volume che, unito alle buone capacità attoriali e musicali, aiuta la costruzione di un personaggio molto sfaccettato. Ottima la Suzuki di Sofia Koberidze mentre Didier Pieri, nei panni di Goro, dimostra di possedere una voce disciplinata impegnata in canto assai elegante. Accolto da un caloroso applauso a scena aperta nel coro-intermezzo a bocca chiusa, il Coro del Teatro Regio di Torino conferma di essere un’eccellenza dell’istituzione torinese. Completano correttamente il cast Franco Rizzo (commissario imperiale), Roberta Garelli (Kate Pinkerton), Sofia La Cara (il figlio di Butterfly) e l’attore Yuri D’Agostino che, nella narrazione della storia, incarna Giacomo Puccini.
Alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino Pier Giorgio Morandi si comporta diligentemente. Certo, in uno spettacolo dove la musica procede a intermittenza, costruire un discorso completo e compiuto, farsi un’idea e dare un’idea della propria lettura di Butterfly è difficile, se non impossibile – soprattutto in un’opera del Novecento dove vengono meno i numeri chiusi –, tuttavia negli isolati interventi non si può non riconoscere la mano esperta del concertatore che sa tener d’occhio buca e palcoscenico senza rinunciare alla costruzione delle atmosfere funzionali al momento drammatico.
Infine lo spettacolo, già presentato al pubblico di Piazza San Carlo diversi anni or sono. Sui tagli, inevitabili per la natura dello spettacolo che si è scelto di offrire, si sorvola – tra le varie rinunce, il “duetto dei fiori” si poteva però salvare –. La regia Vittorio Borrelli, con scene di Claudia Boasso e costumi di Laura Viglione è essenziale se non ridotta all’osso: questa peculiarità, però, aiuta il già ben indirizzato adattamento di Vittorio Sabadin a focalizzarsi principalmente sul dramma umano di Butterfly, a parlare senza giri di parole di turismo sessuale – a tal proposito, come non ricordare il magnifico spettacolo di Michieletto nato proprio al Regio – , senza concedere molta attenzione a quell’oleografia di maniera che spesso soffoca e lascia fraintendere questo capolavoro. È una sfumatura molto sottile, appena percettibile ma, nel momento in cui si pensa lo spettacolo per chi si avvicina all’opera per la prima volta, importante per mettere in chiaro fin da subito che il teatro non è affatto archeologia ma una lente d’ingrandimento sul presente.