Arabeschi e pathos
di Antonino Trotta
Ospiti dell’Unione Musicale, la violinista moldava Alexandra Conunova e il pianista francese David Kadouch si esibiscono al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino in un applauditissimo recital che prevede pagine di Debussy, Ravel e Beethoven.
Torino, 26 maggio 2021 – Nella fanatica frequentazione delle sale da concerto, la scoperta di nuovi artisti da seguire è sempre un momento particolarmente entusiasmante: chi scrive, in tutta onestà, non conosceva Alexandra Conunova, sebbene alle spalle ella abbia già un curriculum di assoluto prestigio; ora se ne appunta il nome nella bacheca delle belle esperienze, con la speranza di rivederla impegnare presto il nostro calendario musicale. A Torino arriva, in compagnia del pianista David Kadouch, ospite dell’instancabile Unione Musicale – che, procedendo a vele spiegate, propone concerto su concerto senza perdere di vista nemmeno la rassegna virtuale –, per un applauditissimo recital impegnato in pagine di Debussy, Ravel e Beethoven.
La sonata in sol minore per violino e pianoforte di Debussy, prima in programma, pone subito in risalto l’inclinazione al canto appassionato e patetico di Conunova: è evidente nell’Allegro vivo iniziale, pressoché un’interrotta variazione dell’inciso presentato inizialmente dal violino, esposto come in un’unica arcata melodica, con un legato costante che fa da corona a un fraseggio acceso, a un melodiare nervoso, inquieto, che ben s’innesta nel clima emotivo del compositore entro cui questa sonata ha visto la luce. In perfetta sintonia col pianoforte atmosferico di David Kadouch, nell’Intermède centrale (Fantasque et léger) e nel Finale (Très animé) il violinismo di Conunova fa quindi sfoggio di virtuosismo impeccabile, un virtuosismo tale da assicurare un’articolazione perentoria, un vibrato vigoroso anche nei vorticosi arabeschi, sfacciatamente debussiani, che fregiano ora la scrittura, assicurando così continuità drammatica nella lettura della sonata.
La sonata n.2 in sol maggiore per pianoforte e violino è il classico pezzo ineseguibile alla Ravel, folle nel tecnicismo esatto, spesso cinico nel mascherare lo sforzo con velluti musicali seducenti. Conunova qui supera ogni difficoltà con invidiabile noncuranza, cavando da ogni gesto acrobatico – bellissima resa, ad esempio, ha la seconda idea esposta con note ribattute nell’Allegretto iniziale – non un piedistallo cu cui brillare ma una peculiare nuance sonora – il bello di Ravel è proprio questo, l’esasperazione tecnica è sempre indirizzata verso la ricerca di colori nuovi e suggestivi – che nell’esecuzione dell’opera diviene poi punto focale, e massimo, dell’interpretazione.
Salutato il repertorio francese, la sonata “a Kreutzer” di Beethoven eccelle soprattutto nell’Adagio sostenuto – Presto d’apertura. Se l’Andante con variazioni e il Finale – Presto si sviluppano con consapevolezza di stile, proprietà di linguaggio e robusto sostegno di mezzi, il primo movimento suona come un meccanismo a molla in tensione: agli estremi tutto è fermo, equilibrato, eppure all’interno si percepisce l’azione di forze intense e oppositive che ora allontanano, ora avvicinano gli elementi costituenti del discorso musicale. Conunova e Kadouch sono titanici già nelle prime battute dell’Adagio sostenuto incoativo; il Presto poi esplode per la vigoria degli accenti che scandiscono una narrazione umorale, impulsiva, a tratti lunatica anche nella puntellatura ritmica, che a momenti di grande delicatezza e garbo contrappone impennate furiose e sciabolate volitive, per un risultato complessivo di grande carisma e forza teatrale.
Applauditissimi alla fine del concerto, Conunova e Kadouch non concedono nessun bis. Peccato.