L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Laboratorio di promesse

di Roberta Pedrotti

Il festival Donizetti Opera si apre con una serata dedicata al lavoro dei giovani nella neonata Bottega Donizetti curata da Alex Esposito. 

BERGAMO, 18 novembre 2021 - Fino al 2019, il festival Donizetti Opera si apriva con un galà; nel 2020, a porte chiuse, l'inaugurazione festosa non avrebbe avuto senso e si puntò piuttosto su un concerto per il compleanno del compositore, il 29 novembre (Bergamo, galà Donizetti, 29/11/2020). Oggi si riapre, in una delle città più colpite dalla pandemia, al pubblico con piena capienza e torna anche il galà, che però si drammatizza per l'occasione. C'erano una volta due bergamaschi: il primo ovviamente è Gaetano, il secondo è Alex (Esposito), profeta in patria e curatore della neonata Bottega Donizetti, il laboratorio per giovani cantanti lirici del festival.

Riapertura, inaugurazione, presentazione del lavoro svolto con i ragazzi... I temi da affrontare sono molti e la drammaturgia di Alberto Mattioli li sviluppa in tre sequenze: nella prima elementi biografici biografici di Donizetti arrivano a sovrapporsi alle esperienze di Esposito (complice il fatto che Gaetano si esibì anche come cantante, e proprio sul palcoscenico del Teatro Sociale in Città Alta), mentre si celebra anche Bergamo e si chiude su un parallelismo fra le epidemie e le malattie che Donizetti visse in prima persona e i fatti degli ultimi anni. “Ah qual funesto avvenimento” da Lucia di Lammermoor (opera nata a Napoli mentre imperversava il colera) intonato a cappella dai sei solisti della Bottega è davvero un lamento sacro lancinante. Nella seconda parte, Intermezzo, si tocca la vexata quaestio di regie e interpretazioni, mentre la terza è una sorta di sintesi di Anna Bolena messa in scena come laboratorio teatrale, studio ed esercizio che si fa spettacolo, con Esposito come Enrico VIII, Rosalia Cid Anna, Angela Schisano (dal carisma non indifferente) Giovanna, Ester Ferraro Smeton, Omar Mancini Percy e Ludovico Filippo Ravizza Rocheford. Alla fine, tutti si riuniscono in proscenio per il finale dell'Elisir d'amore.

Ovvio, fra tanti temi così serrati – ma sia anche un pregio: un'ora e mezza che non annoia mai – non tutto ci convince alla stessa maniera. Le panoramiche di Bergamo sono un atto dovuto, ma se ci si commuove davvero è quando si rivede un estratto del Requiem donizettiano trasmesso dal Cimitero Monumentale (Bergamo, Requiem di Donizetti al Cimitero Monumentale); il rischio di celebrare in vita il divo locale potrebbe fare capolino, ma poi Esposito canta così bene tutto quel che ha da cantare, recita così bene e con tale dedizione tutto quel che c'è da recitare, si pone alla pari con gli allievi, che ogni possibile dubbio passa in secondo piano. Dulcamara e Selim, il Mefistofele di Boito e quello di Berlioz, Papageno, Balthazar (La favorita in italiano andrebbe data alle fiamme per sempre, ma in questo caso gli orridi versi hanno un senso nella drammaturgia), Dapertutto, il Figaro di Mozart, bassi profondi e baritoni, diavoli e buffi, re e monaci, tutto sembra stargli a meraviglia. E, poi, soprattutto, la trappola dell'esaltazione personale è ben schivata ponendo l'accento su quello che è il lavoro dell'artista, presentando i “due bergamaschi” come esempi per introdurre il vero fulcro della serata: le nuove leve, il futuro che segna la rinascita post (si spera) pandemica. Insomma, c'è tanto Alex Esposito stasera, ma è un Alex Esposito per Donizetti, per Bergamo, per i giovani più che per sé.

Allora, quanto è bello vedere i sei cantanti della Bottega (ai cinque citati si aggiunga il soprano Laura Ulloa, che canta in Don Pasquale con Ravizza) farsi strada man mano nello spettacolo che – curato da Esposito con Francesco Micheli, anche voce narrante – dalle tenebre iniziali diventa teatro luminoso. La scena in cui i ragazzi aprono le loro valigie d'artisti e ne osservano la luce interna ricorda un po' Pulp Fiction, almeno finché non ne cavano delle rose, lasciando la citazione, se voluta, divertente fuori dal ricalco didascalico.

La terza parte è quella che ci è piaciuta di più, anche perché è la più viva, propositiva, fisica. Chi ha partecipato a laboratori teatrali, master, corsi di arte scenica riconoscerà esercizi e modalità d'approccio, se li gusterà ancor più. Sono prove, lezioni che però prendono forma di spettacolo, come a mostrare al pubblico uno scorcio del lavoro di formazione dell'artista. Lavoro musicale, sulla voce, certo, ma anche sulla voce e il far musica come parte del proprio corpo, della consapevolezza di sé, dell'altro, dello spazio, con pochi attrezzi scenici utili allo scopo.

A rendere unitario un discorso fatto di frammenti musicali anche assai diversi c'è la bacchetta di Alberto Zanardi, che si è occupato anche dell'arduo, ma efficace, adattamento delle partiture. Tutto fila liscio con il supporto anche del pianoforte di Michele d'Elia al fianco del quartetto d'archi Donizetti Opera Ensemble. Sotto le travi nude del tetto del Sociale l'idea di laboratorio sembra trovare la sua dimora d'elezione; dopo il crollo del soffitto originario, l'aspetto attuale di cascina in cui si sia materializzato un teatro possiede una suggestione cui è difficile resistere e che diventa parte integrante di ogni rappresentazione. Anche di questa, che, però, ora è soprattutto una promessa.


 

 

 
 
 

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