L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Doppi nelle tenebre

di Susanne Krekel

Ottima produzione, al Gärtnerplatztheater, per il capolavoro di Offenbach: convincono il cast guidato da Lucian Krasznec, la direzione di Anthony Bramall e l'allestimento di Stefano Poda.

MONACO di BAVIERA, le 26/02/2022 - Jacques Offenbach è troppo spesso e assia ingiustamente ridotto al rango di compositore solo leggero e divertente. A ben guardare, e tendendo l'orecchio, si scopre un uomo di grande generosità, pienouna certa qual ironica benevolenza verso l'umanità e i suoi errori, la stessa che si ritrova nella produzione di artisti così diversi, come Joseph Haydn, Thomas Mann o Thomas Hardy. Nella sua ultima opere, che non ha potuto mai veder messa in scena secondo i suoi desideri, si trova tutta la ricchezza della sua invenzione musicale, combinata a un libretto piuttosto cupo, basato sugli scritti di E.T.A. Hoffmann. Si deve fare una specie di caccia al tesoro attraverso la letteratura romantica tedesca: Hoffmann in persona è il protagonista. Racconta, in una serata ben innaffiata di bini del Reno, la storia dei suoi ultimi amori - Olympia si è rivelata un automa, Antonia la cantante si è uccisa cantando, Giulietta era una cortigiana che gli ha ribato il riflesso nello specchio. C'è un antagonista, un certo Lindorf, che è, come lui, innamorato della cantante Stella. Ora, Stella canta nella stessa sera nel Don Giovanni di Mozart e Lindorf ha intercettato un biglietto da lei indirizzato a Hoffmann nella speranza di ravvivare il loro antico amore. Incontriamo Lindorf sotto differenti nomi per tutti i racconti e si riconosce in lui il Mefistofele di Goethe. In un epilogo, il servitore fedele di Hoffmann, Niklausse, si rivelerà la musa e lo reclamerà tutto per l'arte, mentre Lindorf se ne va finalmente con Stella di cui - Hoffmann ora lo comprende - Olympia, Antonia e Giulietta non erano che volti differenti.

C'è tutto il XIX secolo, il fantasma dell'uomo artificiale, con Frankenstein e gli automi scacchisti, e dunque la scinazione e la paura dell'invenzione tecnica, il cupo romanticismo à la Poe e, giustappunto, Hoffmann, passando per quella che Thomas Mann chiamava la ‟grazia sinistra di Don Giovanni” (tecnicamente XVIII secolo, certo, ma ripreso dal romanticismo con la sua idealizzazione demoniaca), senza parlare degli inizi della psicologia moderna, con l'idea della differenziazione degli aspetti di una stessa personalità - e Wagner aveva presentito Freud, e il finale dei Contes d’Hoffmann ha ben una dimensione wagneriana, ed ecco chiuso il cerchio. 

La nuova produzione del Gärtnerplatztheater è presentata in traduzione tedesca, con dei numeri cantati in francese, cosa che può sorprendere all'inzio, ma alla fine ha un senso: E.T.A. Hoffmann e Jacques Offenbach provengono dalla medesima cultura tedesca. La favolosa messa in scena di Stefano Poda, che firma pure scene e costumi, illustra perfettamente la dicotomia fra la grazia della musica e la tetra profondità del testo. L'elemento più caratteristico della scenografia sono le vetrine.  Alte e strette, ricordano vagamente bare verticali, sono poste su piedistalli dove sono scritti i titoli di scritti di Hoffmann o nomi di celebri cantanti oggi decedute. Queste vetrine cambiano posizione, si moltiplicano, appaiono o scompaiono, ma sono sempre là. Contengono oggetti, alcuni astratti, altri simbolici, ma anche e soprattutto donne. Mentre Olympia passa la sua breve "vita" chiusa in una tale bacheca, Antonia e Giulietta possono agire liberamente, con figuranti negli stessi abiti e parrucche che fungono da doppi. Le linee chiare e dritte di queste vetrine dormano un contrasto sorprendente con le linee calde della musica. Lindorf, che appare in un costume assai marziale - nero dalla testa, con un cilindro sormontato da un pennacchio di piume, ai piedi, in stivali -, è a sua volta moltiplicato da un gruppo di figuranti che girano attorno ad Hoffmann, appaiono, scompaiono, imitano e commentano l'azione. Magnifica immagine quella di questi personaggi che suonano il violino durante l'atto di Antonia. A volte, tutto si blocca, creando un altro effetto caro al XIX secolo, il tableau vivant. Riflessi nello specchio o doppelgänger - saluti da Vienna, da Schubert e Freud. Tutto è molto bello da vedersi, luci e colori sobri e cupi, come vuole il testo.

Si le spettacolo funziona, emoziona e ispira, è anche grazie a una compagnia formidabile, a un direttore e a un'orchestra magnifici. Anthony Bramall guida l’orchestra del Theater am Gärtnerplatz con mano sicura, lasciando spazio ai ritmi vivaci di Offenbach come ai recitativi durchkomponiert e alla loro fine strumentazione. L’orchestra non copre mai completamente i cantanti, come invece, purtroppo, troppo spesso avviene.

Lucian Krasznec è impressionante nei panni di Hoffmann: la sua recitazione è agile ed espressiva, limpida e potente la voce. Emma Ventelius questa sera incarna Niklausse/la Muse in maniera più che convincente, ci mostra il cambiamento nel personaggio, da fedele compagno un po' timido a Musa sempre più impaziente verso un Hoffmann che perde il suo tempo in vani amoretti invece di vivere per l'arte. Mathias Hausmann nei panni di Lindorf alias Coppelius alias Dr. Miracle alias Dapertutto, voce potente, calda e duttile oltre che grande presenza scenica, è particolarmente impressionante, e vediamo l'ora di vederlo in un recital. Ilia Staple canta e recita un'Olympia meravigliosa con voce dolce e artificiale al punto giusto in "Les oiseaux dans la charmille” . Jennifer O’Loughlin è una Antonia toccante, lacerata fra arte e vita - tutto il suo atto è una riflessione sulla condizione dell'artista sulla terra ed è illustrata così bene dalla musica di Offenbach. Infine Giulietta è interpretata da Camille Schnoor, favolosa anch'ella: altezzosa, acconciata con piume di pavone si pavoneggia, al guinzaglio uno dei doppi di Lindorf, accompagnata da Niklausse: vista e sentita così, la celebre Barcarolle sembra nuova di zecca.

Citiamo ancora Caspar Krieger - Andreas/Cochenille/Franz/Pitichinaccio per la sua prestazione e tutta la compagnia, e salutiamo anche il coro e i fantastici figuranti che hanno contribuito alla buona riuscita della serata. 

Bravi tutti, e grazie per una recita memorabile!


Double et sombre

par Susanne Krekel

MUNICH, Théâtre au Gärtnerplatz, le 26/02/2022 - Jacques Offenbach est bien trop souvent et bien injustement réduit au rang d’un compositeur d’œuvres légères et divertissantes. À bien y regarder, et tendant l’oreille, on découvre un homme d’une grande générosité, plein de cette bienveillance ironique à l’égard des humains, leurs folies et leurs failles qu’on retrouve dans les productions d’artistes aussi divers que Joseph Haydn, Thomas Mann ou Thomas Hardy. Dans son dernier opéra, qu’il n’a pas pu voir mis en scène selon ses désirs, on trouve toute la richesse de son invention musicale, combiné à un livret plutôt sombre, basé sur l’œuvre d E.T.A. Hoffmann. On y a affaire un une espèce de chasse au trésor à travers la littérature romantique allemande : Hoffmann en personne est le protagoniste. Il raconte, au cours d’une soirée bien arrosée de vin du Rhin, l’histoire de ses trois dernières amours - Olympia s’est avérée être une automate, Antonia la chanteuse s’est tuée en chantant, Giulietta était une courtisane qui lui a volé son reflet dans le miroir. Il a un antagoniste dans la personne d’un certain Lindorf, qui est, comme lui, amoureux de la chanteuse Stella. Or Stella chante ce même soir en ville, dans le Don Giovanni de Mozart, et Lindorf a intercepté un billet qu’elle avait adressé à Hoffmann dans l’espoir de raviver leur ancien amour. Nous allons rencontrer ce Lindorf sous de différents noms tout au long de l’histoire, et reconnaître en lui le Méphisto de Goethe. Dans un épilogue, le serviteur fidèle de Hoffmann, Niklas, va se révéler sa muse et le réclamer tout pour lui, pour l’art, et Lindorf va finalement partir avec Stella dont - Hoffmann va le comprendre maintenant - Olympia, Antonia et Giulietta n’étaient que des aspects différents.

Tout le 19ème siècle y est, du fantasme de l’homme artificiel, avec Frankenstein et les poupées automates qui jouaient aux échecs, et donc la fascination et la peur de l’invention technique, du sombre romantisme à la Poe et, justement, Hoffmann, en passant par ce que Thomas Mann appelait la ‟grâce sinistre du Don Giovanni” (techniquement 18ème bien sûr, mais récupéré par le romantisme avec son idéalisation du diabolique), sans parler des débuts de la psychologie moderne, avec l’idée de la différentiation des aspects divers d’une même personnalité - et Wagner avait pressenti Freud, et le finale des Contes d’Hoffmann a bien une dimension wagnérienne, et voilà la boucle bouclée.

La nouvelle production du Gärtnerplatztheater est présentée en traduction allemande, avec des numéros chantés en français, ce qui peut surprendre au début, mais finalement, cela a du sens : E.T.A. Hoffmann et Jacques Offenbach sont issus de la même culture allemande. La fabuleuse mise en scène de Stefano Poda, qui signe aussi la scénographie et les costumes, illustre parfaitement la dichotomie entre la grâce de la musique et les sombres profondeurs du texte. L’élément le plus caractéristique de la scénographie sont les vitrines. Hautes et étroites, rappelant vaguement des cercueils verticaux, elles sont posées sur des socles où sont inscrits soit des noms d’œuvres de Hoffmann, soit des noms de célèbres chanteuses aujourd’hui décédées. Ces vitrines vont changer de place, se multiplier, apparaître ou disparaître, mais elles sont toujours là. Elles contiennent des objets, les uns abstraits, tandis que d’autres sont symboliques - mais aussi et surtout des femmes. Ainsi Olympia passe sa courte ‟vie” enfermée dans une telle vitrine, Antonia et Giulietta peuvent agir librement, ce sont des figurantes portant les mêmes costumes et perruques qui leurs servent comme de doubles. Les lignes claires et droites de ces vitrines forment un contraste saisissant aux ondes chaleureuses de la musique. Lindorf, qui apparaît dans un costume très martial - noir de la tête coiffée d’un haut de forme orné d’une panache de plumes - aux pieds bottés, Lindorf est lui aussi doublé d’un groupe de figurants qui tournent autour de Hoffmann, ils apparaissent et disparaissent, imitant et commentant l’action. Magnifique image que celle de ces personnages jouant du violon pendant l’histoire d’Antonia. Par moments, tout se fige, créant un autre effet cher au 19ème siècle, le tableau vivant. Reflets du miroir ou doppelgänger - bien le bonjour des sires Schubert et Freud. Tout cela est fort beau à voir, lumières et couleurs sobres et sombres, en accord avec le texte.

Si le spectacle fonctionne, émeut et inspire, cela est aussi dû à une distribution formidable et un chef et un orchestre magnifiques. Anthony Bramall guide l’orchestre du Theater am Gärtnerplatz d’une main sûre, laissant la place aux rythmes entraînants d’Offenbach et aussi aux récitatifs durchkomponiert et leur fine instrumentation. Jamais l’orchestre ne couvre complètement les chanteurs, comme c’est hélas trop souvent le cas.

Lucian Krasznec est impressionnant dans le rôle de Hoffmann : son jeu est agile et expressif, claire et puissante sa voix. Emma Ventelius ce soir incarne Niklas/la Muse de manière plus que convaincante, elle nous fait voir le changement dans le personnage, du fidèle serviteur un peu effacé à la Muse de plus en plus impatiente avec ce Hoffmann qui perd son temps en vaines amourettes au lieu de vivre pour son art. Mathias Hausmann dans le rôle de Lindorf alias Coppelius alias Dr. Mirakel alias Dapertutto, doué d’une voix puissante, chaude et volatile ainsi que d’une grande présence scénique, est particulièrement impressionnant, et nous avons hâte de le voir en récital. Ilia Staple chante et joue Olympia, merveilleuse son interpretation de Les Oiseaux dans la Charmille”, avec ses interruptions où la poupée menace de s’écrouler. Jennifer O’Loughlin est une Antonia émouvante, déchirée entre son art et la vie - toute son histoire est une réflexion sur la condition de l’artiste sur terre et illustrée si bien par la musique d’Offenbach. Enfin Giulietta est interprétée par Camille Schnoor, fabuleuse elle aussi : hautaine, coiffée de plumes de paon, elle se pavane, un homme rampant derrière elle, accompagnée par Niklas : vue et entendue comme cela, la célèbre Barcarolle perd toute sa dimension de ‟tube”.

Nommons aussi Caspar Krieger - Andreas/Cochenille/Franz/Pitichinaccio pour sa prestation soutenue, et, en fait, la distribution tout entière, et saluons encore le chœur et les figurants fantastiques qui ont joué un rôle majeur dans la réussite de cette soirée.

Bravi tutti, et merci pour une soirée mémorable !


Double in the dark

by Susanne Krekel

MUNICH,Gärtnerplatztheater, on 26.02.2022 - Jacques Offenbach is too often and undeservedly seen as a composer of light and entertaining works. A closer look, and above all an attentive ear reveal a generous and intelligent man whose tender irony towards mankind, its follies and fails, irony also found in the work of authors such as Joseph Haydn, Thomas Hardy or Thomas Mann. In Offenbach’s last opera, one he had never been able to see realised after his wishes, we find his wonderful musical inventiveness combined with a rather sombre libretto, based on the works of E.T.A. Hoffmann. It is something of a game of hare and hounds through German romantic literature: Hoffmann himself is the protagonist. During a Rhine wine - drenched evening, he tells his friends about his three last love stories - Olympia has turned out to be an automaton, Antonia was a singer who sang herself to death, Giulietta was a courtesan who robbed him of his mirror image. Hoffmann has an antagonist in the person of Lindorf, who is also in love with the opera singer Stella. Now Stella is back in town and sings that very evening in Mozart’s Don Giovanni. Lindorf has intercepted a letter from Stella to Hoffmann, expressing the hope that they might take up again their past love affair. We shall meet Lindorf throughout the story under different guises, and easily recognise him as Goethe’s Mephisto. In the epilogue, Hoffmann’s faithful servant will reveal himself as Hoffmann’s muse and claim him for herself and her art. Lindorf will take off with Stella of whom - Hoffmann understands at last - Olympia, Antonia and Giulietta were different aspects.

The whole 19th century is before us, from the fantasies about artificial humans with Frankenstein and the chess-playing automatons, and the uneasy fascination with technical progress, to Poe’s dark romanticism, and Hoffmann of course, passing by what Thomas Mann called ‟the sinister grace of Don Giovanni” (belonging technically to the 18th century of course, but claimed by a later romanticism and its idealisation of all things diabolical), to the beginnings of modern psychology, with the idea one personality having different aspects - and Wagner had already intuited Freud, and the finale of Hoffmanns Erzählungen is quite Wagnerian and thus we have come full circle.

The new production of Munich’s Theatre at the Gärtnerplatz is played in a German translation, with the most iconic numbers being sung in the original French. Surprising at first, but it does make sense: E.T.A. Hoffmann’s and Jacques Offenbach’s art have their roots in the same German cultural soil. Stefano Poda’s fabulous staging perfectly illustrates the dichotomy between the grace of the music and the dark depths in the text. Poda is also responsible for the amazing stage design and costumes.The main element of the set is a maze of vitrines. Of man-height and quite narrow, they vaguely resemble vertical coffins. They stand on white pedestals bearing inscriptions that refer to works by E.T.A. Hoffmann and to deceased singers - including the names of Antonia and her mother. These vitrines will be moved around, sometimes the stage will be full of them, sometimes there are just a few, but they are always there. They contain objects, abstract of symbolic ones, and also, they contain women. Thus, Olympia spends her short ‟life” in such a coffin, Antonia and Giulietta are free to move about, it’s a group of extras that are wearing the same costumes and wigs acting as their doppelgängers. The clear and clean lines of the vitrines form a fascinating contrast with the warm waves of the music. Lindorf appears in a very martial costume - black from topp-hatted head with panache to booted foot - and he is also doubled by a group of extras encircling Hoffmann, appearing, disappearing, imitating and commenting the action. Their image playing the violin to Antonia’s singing is truly enchanting. Sometimes everything with become still, reminding us of another effect dear to the 19th century, that of the living images. Mirror images and doppelgängers - greetings from Vienna, from Schubert and Freud. All this is most beautiful to behold, lights and colours sober and dim, all in keeping with the text.

The show works well, it is moving and inspiring, thanks also to a formidable cast and a wonderful conductor and orchestra. Anthony Bramall guides the amazing orchestra of the Gärtnerplatztheater with assurance and fluidity, without overdoing the drive of Offenbach’s rhythms and underlining all the intricacies of the instrumentation, especially in the durchkomponiert recitatives. The orchestra never covers the singers, as is too often the case in similar performances.

Lucian Krasznec is impressive in the role of Hoffmann: his play is agile and expressive, clear and strong his voice. Emma Ventelius incarnates Niklas/the Muse very convincingly, she shows the development of the character from the inconspicuous servant, growing ever more present and impatient as the Muse. Mathias Hausmann is particularly impressive, he sings Lindorf/Coppelius/Dr. Mirakel/Dapertutto, with a warm, strong, volatile voice and a great stage presence; we are looking forward to hearing him in recital. Ilia Staple is wonderful as Olympia, sweet-voiced with just the right amount of artificiality in ‟Les Oiseaux dans la Charmille”. Jennifer O’Loughlin is a moving Antonia, torn as she is between her art and her life - her whole story is a reflexion on the condition of the artist in life, of course, and Offenbach’s music shows all the dilemmas she faces. Camille Schnoor is Giulietta, also impeccable: haughty as they come, with a headdress of peacock feathers, during the Barcarolle, she is taking a walk with Niklas, a man on a leash - one of the Lindorf doubles in fact - crawling behind her, and with this act, the well-known piece looks and feels brand-new.

Caspar Krieger - Andreas/Cochenille/Franz/Pitichinaccio deserves a special mention for his steady presentation, as does the whole cast, as well as the chorus and the extras, who play such an important part in this production.

Bravi tutti, many thanks! We wish this production a long life and many runs in many cities.


 

 

 
 
 

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