Mozart pastello
di Roberta Pedrotti
Piace assai al pubblico jesino il Così fan tutte al Teatro Pergolesi con la regia di Stefano Vizioli e le scene e i costumi di Milo Manara. Buono complessivamente il cast vocale mentre appare un po' sfocata la concertazione di Aldo Sisillo.
JESI, 22 ottobre 2023 - Le risate complici e compiaciute delle signore in platea la dicono ancora lunga sull'attualità delle tirate di Despina sulla libertà sessuale e il diritto delle donne a ribaltare gli stereotipi. Si godono quelle parole di duecentotrentatré anni fa vive ancor oggi, come se nulla fosse cambiato: anche la piccola trasgressione risulta ancora piccante, proprio come la scelta di coinvolgere Milo Manara per scene e costumi sembra voler ammantare di sorrisi ammiccanti e allusioni a malizie adolescenziali una commedia condotta in maniera più giocosa che problematica e ambigua.
La regia di Stefano Vizioli, in effetti, sembra attenersi con tutta la sicurezza del mestiere e dell'esperienza a una visione piuttosto didascalica, tant'è che semmai ci si chiede perché il “brunettino” e il “biondino” indossino parrucche identiche. Senza sorprese l'azione si dipana fluida e incorniciata fra sipari, cieli, quinte e fondali istoriati da Manara (le sene sono coordinate da Benito Lenori, i costumi da Roberta Fratini, mentre le luci sono di Nevio Cavina) con il ben noto repertorio di figurette, ispirate in questo caso alla mitologia classica. I colori pastello e quest'eros di corpi sinuosi e idealizzati non disdicono, invero, all'immagine di un Settecento galante e libertino permeato da modelli greco-romani, specie se gli elementi di crisi sono lasciati sottotraccia in favore della girandola dei sensi.
Quel che semmai manca è un pizzico di brio, spirito e sensualità nella concertazione di Aldo Sisillo, il cui approccio a Mozart – pochi giorni dopo la Fedora di Giordano [Piacenza, Fedora, 08/10/2023 e Modena, Fedora, 15/10/2023] – risulta un po' generico nella definizione del suono e del fraseggio, appesantiti anche quando sceglie tempi più spediti. Si respira, così, un'atmosfera un po' datata, anche per i tagli di “Al fato dan legge” e “Ah, lo veggio: quell'anima bella”, ma soprattutto si avverte un costante senso di precarietà dell'insieme e degli attacchi in cui a mancare è proprio quell'olimpica, cristallina esattezza che dovrebbe essere conditio sine qua non per un'opera come questa. Nonostante ciò, non si può che dir bene della Filarmonica Marchigiana in buca, del coro del Ventidio Basso nei palchi di proscenio (maestro del coro sempre Giovanni Farina) e del cast sul palco.
Colpisce in particolare la Despina di Francesca Cucuzza, dalla voce ricca di armonici e ben proiettata, chiara nella dizione e duttile nel canto. Ben assortita è la coppia delle sorelle ferraresi, con la Fiordiligi di Ekaterina Bakanova, capace di far fronte agli scogli della parte rendendone nobiltà e fragilità, e la Dorabella di Lilly Jørstad, dal timbro ombreggiato e dal fraseggio spigliato. Antonio Mandrillo è un Ferrando squillante, Jiri Rajnis un limpido Guglielmo. A tessere le fila del cinico intrigo troviamo il Don Alfonso di Emanuele Cordaro, figura imponente e articolazione attenta a esprimere anche i tratti ruvidi del disilluso filosofo senza perdere il senso della misura.
Il pubblico, alla fine, è pienamente soddisfatto e festeggia tutti gli interpreti dopo essersi goduto la commedia in leggerezza, privilegiando la guida della ragione che fa prendere ogni cosa per buon verso, la cagion di riso e la bella calma rispetto ai turbini del mondo.