L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Schiff e la sua arte

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia invita uno dei più grandi ed iconici pianisti dei nostri giorni: András Schiff. Ma non finisce qui: il programma del concerto, infatti, è a sorpresa. Schiff accompagna il pubblico accorso in quasi tre splendide ore di musica, sorprendendolo con un programma, studiato fin nei minimi particolari, che spagina magistralmente i suoi autori preferiti: Bach, Mozart, Haydn, Beethoven e Schubert.

ROMA, 16 gennaio 2023 – Quando si pensa ad András Schiff viene in mente compostezza, ricercatezza, pacatezza sonora. In realtà, Schiff sa essere, a suo modo e con estrema eleganza, uno showman compassato. La dimostrazione sta proprio nella serie di concerti con programma ‘a sorpresa’ con cui, da qualche tempo, il pianista si esibisce. Non si tratta solo di curiosità ed attesa per ciò che Schiff sceglierà di eseguire; l’interprete, infatti, si sofferma su ogni pezzo, spiegandone la struttura, l’importanza, la bellezza, le connessioni con gli altri pezzi scelti, come pure – e qui sta la parte più umanamente interessante – cosa quel pezzo o quel compositore significa per lui, con tanto di aneddotica varia. Il tutto, peraltro, in un italiano abbastanza chiaro; ma, soprattutto, con un’ironia che non ci si aspetterebbe dall’aura di composta austerità che Schiff ha sempre dato di sé.

Appena entrato, dopo gli applausi di rito (che, in questo caso, sono anche di sincero affetto, avendo con Roma una lunga storia di concerti e successi), Schiff si siede su uno dei due pianoforti sul palco (il mistero verrà chiarito al secondo tempo) e attacca, con impareggiabile eleganza ed amore, la celeberrima aria delle Variazioni Goldberg (BVW 988)di Johann Sebastian Bach. Il delicato tema principale è un respiro di dolcezza e Schiff ne esalta la bellezza rallentando impercettibilmente l’agogica, conferendo così un’emozione di tenue compostezza alla sua lettura. Una volta terminato, si alza e, salutato il pubblico, confessa che ogni mattina, prima di colazione, suona sempre una mezz’oretta di Bach. Compositore, Bach, che non solo è, per lui, il più grande di tutti, ma è anche quello del cuore. Prosegue, poi, dicendo che sempre più gradisce concerti con programmi a sorpresa, dove non è ‘costretto’ a comunicare con amplissimo anticipo la scaletta dei pezzi, ma dove, proprio come quando si va al mercato, può scegliere ciò che più gli piace e che gli sembra più fresco. A questo punto Schiff informa il pubblico che il I tempo sarà tutto dedicato a Bach ed a Mozart. Il secondo pezzo è il Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo in si bemolle maggiore (BVW 992) di un Bach ‘teenager’ (aveva diciannove anni quando lo scrisse). Dopo averne spiegato la struttura e il significato dei temi e delle varie sezioni, Schiff inizia a spaginare il Capriccio con impareggiabile freschezza, donando vivida e plastica atmosfera alle varie sezioni. Il pezzo seguente è la penultima delle sonate per pianoforte di Wolfgang Amadeus Mozart, la Sonata in si bemolle maggiore K 570, che con il Capriccio bachiano condivide la tonalità. La lettura di Schiff è fresca, ma non eccessiva, al solito misurata. Se con Bach sembrano più naturali, per così dire, le scelte timbriche di Schiff, con Mozart si vede sensibilmente la volontà dell’interprete di muoversi all’interno di una dimensione volumetrica mediana (né troppo piano, né troppo forte) all’interno della quale crea un universo di colori, appunto, grazie alla raffinata abilità tattile. La sonata di Mozart esce, dunque, squisitamente elegante nel tema dell’Allegro (I)e nel suo spiritoso sviluppo; Schiff, poi, si profonde in un Adagio placido ed evocativo, dove mette ben in evidenza gli echi boschivi suggeriti dall’evocazione della scrittura orchestrale dei corni, concludendo, poi, in un rapido Allegretto (Schiff richiama qui le spiritosaggini della scrittura di Papageno nella Zauberflöte). Il primo tempo si chiude all’insegna sempre di Bach e Mozart. In una lucida analisi musicologica, Schiff dimostra come la Fantasia in do minore K 475 di Mozart derivi il tema d’apertura dal Ricercar a 3 dell’Offerta musicale di Bach. Per Mozart non era semplice accedere alle partiture di Bach e si dovette servire di biblioteche private nobiliari per conoscere questo straordinario patrimonio, allora evidentemente per nulla valorizzato. L’esecuzione del Ricercar a 3, il cui tema della fuga (quello, per intenderci, citato da Mozart) fu improvvisato da Bach su un’idea di Federico II di Prussia a Postdam nel 1747, è eccellente e dimostra la capacità di Schiff di far emergere in filigrana, con impressionante precisione, tutta la trama tematica ed armonica del pezzo, sgranata con naturalezza. L’esecuzione della Fantasia mozartiana, in conclusione del I tempo, fa riflettere sull’idea di pathos drammatico da parte di Schiff: volume contenuto, valorizzazione delle pause, uso parco del pedale, suono terso e vibrato. In un pezzo, la Fantasia appunto, in cui un interprete potrebbe calcare la mano sugli effetti, leggere, cioè, il pezzo con gusto e piglio preromantico, Schiff ne valorizza il lato puramente sonoro, non sacrificando certo l’emozione, ma restituendola mediante un sapiente gioco sonoro, di pieni/vuoti, non di energia percussiva. Gli applausi concludono il I tempo.

Nella seconda parte si scopre, finalmente, l’arcano dei due pianoforti. Schiff, infatti, dichiara di voler regalare agli spettatori romani la sensazione di ascoltare musica su un pianoforte che non sia uno Steinway and Sons, cioè uno dei prodotti della celeberrima fabbrica newyorkese di pianoforti. Schiff, suscitando una sonora risata all’affermazione «si cambia pianoforte e non pianista», ricorda che in tutte le più importanti sale da concerto mondiali il suono del pianoforte per eccellenza è, oggi, proprio quello di uno Steinway; per questo, vuole eseguire il II tempo su un suo pianoforte Bösendorfer, di fabbricazione austriaca. In effetti, il suono è più deciso, meno terso, più pastoso ed argentino: «viva la diversità» sarà il suo commento, prima di iniziare. Ricollegandosi alla conclusione del I tempo, Schiff esegue l’ultima sonata di Mozart, la Sonata per pianoforte in re maggiore K 576. L’esecuzione è, al solito, millimetrica a livello sonoro, elegantemente brillante nel I tempo, intensa nel II (qui la differenza timbrica dello strumento si fa più sentire: il suono è più intenso), virtuosistica e sciolta nell’ultimo, una perla che riecheggia una veloce invenzione bachiana (e di tali echi Schiff parla poco prima di eseguire il pezzo). Si passa, poi, a Franz Joseph Haydn: «se Mozart canta, Haydn filosofeggia» – come non essere d’accordo con l’esecutore? Ecco spaginati L’Andante e variazioni in fa minore (Hob. XVII: 6). Schiff legge con intensità drammatica il malinconico tema dell’Andante, reso ancor più vivido dalla timbrica del Bösendorfer; luminoso il cambio al secondo tema, nella relativa tonalità maggiore, fiorito con moderata eleganza da Schiff. Le successive variazioni con la coda finale preparano l’orecchio alla drammaticità beethoveniana. Non a caso, proprio con Ludwig van Beethoven si chiude il concerto, con le Sei bagatelle op. 126. L’esecuzione di Schiff è sensibilissima alla venatura drammatica che si cela sotto pezzi all’apparenza tersi e semplici, che nascondono passaggi sublimi, come la serie di trilli della prima bagatella, di una chiarezza chopiniana. L’alternarsi di una bagatella in tempo più lento ad una più veloce crea un effetto, appunto, drammatico, movimentato; Schiff sa cogliere soprattutto le perle di questi pezzi, che riescono a stupire con la massima semplicità possibile. Dopo un lungo e caloroso applauso, Schiff regala al pubblico, per congedarsi, uno dei suoi cavalli di battaglia: il terzo dei Sei momenti musicali D 780 di Franz Schubert.


 

 

 
 
 

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