L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Musica e guerra

 di Stefano Ceccarelli

Il concerto in cartellone a marzo al Teatro dell’Opera di Roma è diretto da Roberto Abbado e presenta tre pezzi legati al tema (tristemente attuale) della guerra: l’ouverture Egmont in fa minore op. 84 di Ludwig van Beethoven, il melologo Bandiere Nere di Fabio Vacchi e la Sinfonia n. 1 in fa minore op. 10 di Dmítrij Šostakóvič.

ROMA, 15 marzo 2024 – La guerra, i terrorismi e le loro vittime sono temi con cui l’uomo occidentale convive, nel crescente orrore delle immagini e delle notizie che quotidianamente riempiono le testate giornalistiche ed i vari media. Per questo, il direttore Roberto Abbado sceglie di portare, nel cartellone del Costanzi, un concerto che affronti questi temi attraverso tre autori diversi, per epoche e gusto: Ludwig van Beethoven, Dmítrij Šostakóvič e Fabio Vacchi.

La serata inizia con l’esecuzione dell’ouverture dall’Egmont, la prima delle musiche di scena pensate da Beethoven per l’omonima tragedia di W. Goethe (che, pare, non ricambiò mai l’entusiasmo che, al contrario, il compositore provava per lui e la sua opera). La storia del conte di Egmont, prototipo romantico dell’aristocratico combattente che subisce la prigionia e la morte per la libertà del suo popolo, hanno convinto Abbado ad aprire la serata proprio con questa ouverture, di cui il direttore fornisce un’esecuzione ordinata, agogicamente misurata, senza sforzare l’orchestra; un’esecuzione che non rinuncia, però, a scolpire le frasi ieraticamente pronunciate dagli archi doppiati dagli ottoni. Abbado, pur non lasciandosi andare a brusche accelerazioni ad effetto, crea movimento con i volumi, salendo d’intensità soprattutto nel finale (la ‘Sinfonia della vittoria’), dove trascina l’orchestra verso un epilogo gloriosamente romantico.

La parte centrale del concerto è la nuova versione del melologo Bandiere Nere del compositore Fabio Vacchi. Inizialmente pensato e composto per voce recitante e pianoforte, Bandiere Nere viene presentato, in prima esecuzione assoluta, proprio al Teatro dell’Opera di Roma. Roberto Abbado, estimatore ed esecutore dell’opera di Vacchi oramai da anni, è certamente il candidato più adatto per tenere a battesimo questa nuova versione. La voce recitante è quella di Sonia Bergamasco, che regala un’ottima performance, modulando intensità, fraseggio e colore della voce a seconda del momento del melologo. Bandiere Nere è, infatti, una sequenza di testi tratti dal best-seller dell’americano Joby Warrick, autore del saggio Black Flags. The rise of Isis. Costituisce, certo, un fatto insolito che un compositore si ispiri, per una sua opera, ad un saggio: peraltro, un saggio di storia. L’operazione, in sé e per sé, in fin dei conti è assai riuscita, sia sul piano della partitura, che su quello dei testi: a Vacchi interessa esprimere emotivamente, attraverso l’accompagnamento orchestrale, le parole di Warrick, tradotte e lette da un’attrice (in questo caso la Bergamaschi), cui è affidato il compito di ripercorrere la nascita e l’affermazione dell’Isis, creato da al-Baghdadi, che realizzò le idee del suo maestro Zarqawi. Tutto il melologo, composto da otto testi intervallati da una frase simbolo dello sconcerto per le atrocità commesse da questi terroristi, è sorretto da una trama orchestrale di gusto contemporaneo, che si muove (grossomodo) nell’ambito della tonalità e che è puntellata da scoppi e pulsioni improvvise, espressione musicale degli attacchi terroristici e delle bombe. Abbado riesce a cogliere tutti i colori della partitura e l’orchestra del Costanzi mostra una notevole sensibilità per una scrittura decisamente sinfonica, cui, certo, non è abituata. L’applauso caloroso del pubblico sancisce la riuscita del battesimo romano di Bandiere Nere.

Il secondo tempo è occupato dalla Prima di Šostakóvič. Ancora una volta, Abbado piace non solo per la coerenza agogica, ma anche per la sensibilità sonora, condizione necessaria per cogliere tutte le screziature di una scrittura, quella del russo, decisamente proteiforme. Šostakóvič è maestro di sardonica ironia e questo suo sentire è già tutto in questa sinfonia, scritta in giovanissima età (fra i diciotto e i vent’anni). Pur non essendo il frutto diretto dell’insofferenza di Šostakóvič per il neonato regime sovietico, con cui il compositore intrattenne una relazione, in un certo senso, di amore e odio, il giovane russo reagiva alla tremenda situazione della Russia dopo il crollo del secolare impero zarista e alla fine della I Guerra Mondiale. La Prima, infatti, è una sinfonia per molti versi allucinata, straniante, quasi che voglia portare l’ascoltatore lontano da una realtà cui è insofferente. Abbado è bravo a cogliere proprio questo senso di fondo della partitura, che si realizza in intemperanze ritmico-melodiche, stacchi repentini, suoni da marcetta con legni e ottoni (di cui abbondano i primi due movimenti), come pure le sezioni più misteriose, allucinate, in particolare il III movimento, che si conclude in un rullo di tamburi che sfocia nel finale, anch’esso mutevole per agogica e sentimenti, che si incanala in un crescendo conclusivo. Il pubblico applaude.


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