L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Dioniso in musica

di Roberta Pedrotti

L'abbuffata catartica del Festival Trame Sonore a Mantova si conferma un appuntamento irrinunciabile, che crea una sorta di dipendenza nei suoi affezionati frequentatori.

Mantova, Trame sonore, 01-05/06/2022

Mantova, Trame Sonore, 31/05 e 01-02-03-05/06/2023

MANTOVA, 29-30-31 maggio 2024 - Ogni anno ci si ripromette di essere più razionali, di non esagerare, di inseguire una virtuosa misura. E ogni anno ci si ricasca: le Trame Sonore di Mantova creano dipendenza. Come un bambino in un negozio di giocattoli o di dolciumi ci si aggira avidi, golosi, curiosi, si vorrebbe provar tutto. Anche a costo di stordirsi. Abbiamo una mezz'ora libera? Ma c'è un altro concerto! Proviamo a entrare, ascoltare almeno un pezzo, un movimento. Ogni lasciato è perso. E infatti ci si duole quando non si riesce a rimanere fino all'ultimo giorno (quest'anno il 2 giugno).

Quella che si svolge fra le piazze, le chiese, i teatri e i palazzi della città dei Gonzaga è una meravigliosa follia, nella quale consapevolmente ci si inebria. Semel in anno licet insanire, e dunque lasciamo da parte tutta la concentrazione dell'ascolto selezionato e ci abbuffiamo, lasciando che sia la musica a fluire su di noi ininterrottamente, dalle danze del Quattrocento alla musica contemporanea, passando per tutte le declinazioni della musica sacra e da camera, vocale e strumentale, qualche puntata con orchestra, perfino qualche parola, sorseggiando un caffé o assorti in biblioteca. Perché di musica fa bene anche parlare, vuoi nella tavola rotonda più tecnica sulle politiche culturali che usa aprire la kermesse, vuoi negli amabili incontri in verdi, ameni luoghi, per esempio con il direttore artistico Carlo Fabiano che taglia idealmente il nastro delle “folli giornate”, con Silvia Colasanti che interloquisce con franca saggezza sul ruolo dei compositori oggi, con Giovanni Bietti che ammanisce la solita luminosa lectio magistralis su come si comunica e divulga la musica.

Il lusso di abitare palazzi sottratti per una volta alla consuetudine museale per diventare luoghi vissuti di musica può diventare teatro di inattese suggestioni, come quando l'ensemble Micrologus propone danze vocali e strumentali dei XV secolo all'interno di Palazzo Te, fra affreschi che ritraggono gli stessi passi e intrecci, gli stessi flauti e liuti che risuonano in legno e corde ora davanti a noi. Non è minore la suggestione del Bach proposto dall'Ensemble Diderot nella sala dei Fiumi di Palazzo Ducale, soprattutto per il confronto con quello solistico di Danusha Waskiewicz nella romanica Rotonda di San Lorenzo. La violista (attualmente prezioso elemento del Quartetto Prometeo) ha una personalità spiccatissima, ama le velocità vertiginose, sperimenta, crea una forte empatia con il pubblico portandolo addirittura a cantare nell'ipnotico bis (il Preludio n. 1 in do maggiore dal I Libro del Clavicembalo ben temperato).

Trame Sonore è microcosmo musicale in cui tutti ci ritroviamo e non pare esserci distinzione fra chi è qui per suonare – ma nei momenti liberi s'infila nel pubblico – per scrivere, per parlare o solo (si fa per dire) ad ascoltare. Si cammina, si guarda, si chiacchiera, si mangia, si beve e si inanellano quanti più concerti possibile, immersi in quel felice bestiario che è il mondo delle note, fra vecchi amici e nuove conoscenze, miti (ecco Alfred Brendel che che guadagna la platea curvo sul bastone) e bizzarrie, artisti nel pieno del fulgore, interpreti di nicchia, giovani a caccia di esperienze. Così, capita che se si ammala il primo violino del Quartetto Prometeo possano cambiare dei programmi, ma anche che le sostituzioni siano gustose come quella che ci fa arrivare in regalo un inatteso (e strepitoso) Brahms con il Quartetto Klimt. Poi ci sono i ragazzi già affermatissimi del Quartetto Indaco, che pure si dedicano a Brahms con quel sopraffino camerista che è l'artista in residence Alexander Lonquich, ma ci deliziano anche nella Rotonda di San Lorenzo per quello che è uno degli irrinunciabili momenti del cuore del festival mantovano: il concerto di mezzanotte (nel caso specifico, Webern e Schumann) seguito dal brindisi offerto al pubblico dal Bar Caravatti. Un bel modo per concludere la giornata sotto le stelle (o anche la pioggia) conversando con un bicchiere di camomilla, di vermouth Caravatti o perfino del mix fra i due. Camomilla corretta, per concludere in bellezza la giornata: succede solo a Mantova.

Giornate piene, intense, che sembrano pretendere ogni nostra energia, spingerci inesorabilmente ad ascoltare, ascoltare, ascoltare. Chiaramente, non tutti i concerti ci faranno lo stesso efeftto, non tutti saranno indimenticabili e strepitosi. Ma è davvero la ricerca a tutti costi dell'eccezionalità, quello che ci interessa? O non conta più il gusto di immergersi totalmente, irrazionalmente in ciò che si ama in tutte le sue declinazioni, abbandonandosi anche alla sorpresa e alla scoperta? Di non scegliere l'ostensione museale e accademica, l'abitudine al rito consumato, ma di lasciarsi andare al dionisiaco. Dai concerti d'apertura (il Trio Vecando in Ravel e l'Orchestra da Camera di Mantova che si unisce nel segno di Mozart alla finezza comunicativa della violinista statunitense Tai Murray), fino agli organici cameristici più robusti (per esempio l'Ottetto di Schubert e le pagine di Prokof'ev, Debussy e Ravel con l'ensemble sempre dell'orchestra mantovana affiancata da ospiti lussuosi), tutto concorre a rinnegare atteggiamenti acquisiti e ragionare sui sensi, l'istinto. Tutto questo in un contesto di altissime sollecitazioni non solo sonore, ma anche storiche, figurative, intellettuali.

Ogni anno ci si ripromette di essere più razionali, di non esagerare, di inseguire una virtuosa misura. E ogni anno ci si ricasca: ci si riconsegna totalmente alla musica perché ci attraversi e ci faccia accarezzare l'idea di un'utopia possibile, perfino nell'ebrezza di una gioiosa dipendenza.


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