L’Ape musicale

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Non ci si soffermi più di tanto sul fatto che la maggioranza dei titoli sia stata messa in scena a Palermo almeno una volta (ma anche due o tre) nell’ultimo quindicennio, né sul fatto che non si riesce ad articolare alcun “programma atto a realizzare in un arco circoscritto di tempo opere e balletti coniugati da un tema comune” così come pretenderebbe uno dei parametri di valutazione della qualità ai fini della ripartizione di ¼ del FUS. Si tralasci inoltre che Attila è recentemente stato messo in scena al Bellini di Catania, quindi anche la scala territoriale è mal considerata; oppure ancora che non ci sia alcuna coproduzione se non con teatri italiani, a detrimento del respiro internazionale che una fondazione di queste dimensioni dovrebbe coltivare.

Ci si chiede intanto quale sia il senso di nuove produzioni di Lucia di Lammermoor (affidata a un regista a sua volta autore di un vecchio allestimento del medesimo titolo per il Lirico Cagliari) e dell’ennesima Butterfly. Non siamo tra quelli che stigmatizzano il ricorso a nuovi allestimenti, giacché è falso che facciano lievitare i costi, se non altro per la componente “salari e stipendi”, costo fisso presente anche in assenza di nuove produzioni; ma è evidentemente incomprensibile la concentrazione di produttività esclusivamente su titoli di repertorio, in prospettiva difficilmente piazzabili a nolo, vista la gran quantità di allestimenti già disponibili.

E poi, bene la ripresa della Carmen di Bieito, spettacolo audace che si rivede con piacere (vincitore del Premio Abbiati della Critica Musicale italiana); peccato che provenga da quegli anni di presunta “caduta libera del prestigio” puntualmente lamentata dall’attuale management e – di fatto – smentita con questa scelta.

Infine i balletti, nutrendo più di qualche dubbio sulla reale capacità di assolvere all’immenso impegno della coreografia di MacMillan, ma ancora Lo schiaccianoci nella versione di Amodio con le scene di Luzzati, per carità bellissime, ma prese a noleggio ben quattro volte nell'ultimo ventennio, quattro volte su 6 edizioni?

E cosa farà mai il Coro da maggio a novembre? A bocca chiusa?

Ma la cosa che davvero spiazza in questa stagione è la sua totale mancanza di corrispondenza con il Piano Triennale di risanamento varato dal Consiglio di Indirizzo della Fondazione nello scorso novembre e non ancora adottato con Decreto dal MiBACT.

Spieghiamo meglio di cosa si parla. Nel 2013 l’allora Ministro Bray vara un decreto-legge (D.Lgv. 91/2013) con il quale, all’articolo 11, si mettono sul piatto 125 milioni di euro per le Fondazioni in gravi criticità economiche; il Teatro Massimo tecnicamente non lo sarebbe, ma grazie ad un piccolo gioco di prestigio nel bilancio 2013, riesce a presentare un conto economico in rosso di circa 3 mln€ e questo, assieme al fatto di essere temporaneamente sotto commissariamento, gli consente di attingere al fondo di ripianamento per 8 milioni di euro (in buona compagnia di Roma, Bari, Genova, Firenze, Trieste, Napoli, Bologna, tutti in condizioni ben peggiori rispetto alla fondazione siciliana). La condizione per la concessione di questa somma (da restituire in 30 anni con interessi ridicoli: praticamente una regalìa) è quella di redigere un piano triennale (da sottoporre all’approvazione di un supermega commissario generale, individuato nella persona dell’ingegner Pinelli) contenente una sorta di bilancio di previsione dei tre anni futuri, completo di proiezioni di incassi, costi, programmazione artistica nonché con tutte le dimostrazioni della solidità economica e patrimoniale della Fondazione, mediante simulazioni in assenza e in presenza di contributo straordinario ex art. 11.

Ebbene, il Massimo di Palermo redige il suo piano triennale nel novembre scorso: 170 pagine di cifre, analisi, proiezioni, tutto redatto con la consulenza di PWC-PricewaterhouseCoopers (multinazionale che certificò anche il conto economico in rosso necessario alla Fondazione per l’accesso agli 8 milioni richiesti) e la seguente bozza preliminare di stagione 2016. [se non visualizzi correttamente la gallery apri le immagini singolarmente: Pagina 1 , Pagina 2 , Pagina 3 , Pagina 4]

Dal confronto è evidente come tra novembre 2014 e febbraio 2015 deve essere successo qualcosa: o la mano del piano di risanamento era delirante, o la schizofrenia si è successivamente impossessata della sua mente o – molto più semplicemente – l’attività strategica di programmazione altro non è che scrivere dieci titoli a casaccio su un foglio di carta. Sarà impossibile per noi capire in quale delle fattispecie si ricade, forse in più d’una contemporaneamente; a fronte però di questo scollamento tra la programmazione ipotizzata in sede di bilancio preventivo e quella realmente messa in cartellone (e parliamo di quattro pagine su un piano di risanamento di 170 pagine), che livelli si possono toccare con gli scollamenti tra le previsioni di costi, incassi, contributi e quant’altro previsto nel piano triennale (la cui programmazione artistica è alla base)? E nel paese pilotato dagli Schettino di turno, ci sarà mai un “supermega” commissario generale che annoterà gli scostamenti di rotta? Ne chiederà conto? E chiederà mai delle correzioni?

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NOTA di REDAZIONE

Tutti i dati presentati sono ricavati da documenti ufficiali. La redazione è naturalmente disponibile a ospitare un contraddittorio.


 

 

 
 
 

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