Alea iacta est
di Roberta Pedrotti
Il 26 gennaio 2015 è stata una giornata speciale: L'ape musicale è ufficialmente registrata come testata giornalistica e il primo pensiero non può che essere di gratitudine verso gli amici e collaboratori con i quali la rivista è nata e cresciuta, come verso i lettori che da tutto il mondo ci seguono quotidianamente.
Si tratta per un verso del coronamento del cammino intrapreso nell'estate del 2013, ma, dall'altro, anche e soprattutto di un impegno per il futuro.
È difficile commentare un passaggio importante come questo senza ondeggiare come un funambolo sull'abisso della retorica, ma questo codice (1/2015) non designa semplicemente un plico di moduli e documenti depositati e protocollati presso il Tribunale di Brescia. No.
Questo numero rappresenta la serietà dell'impegno profuso nella redazione dell'Ape musicale. Rappresenta il nostro credere fermamente nel valore di una critica musicale (e non solo) e di un approfondimento culturale professionali. Rappresenta la responsabilità cosciente della nostra attività, la seria consapevolezza dell'esercizio del diritto-dovere di informazione ed espressione.
L'aneddotica trabocca di episodi, e sono innumerevoli gli aforismi (forse anche più delle barzellette sui violisti) sui critici.
“Io non sono che un critico” accentua la negatività e l'aridità di Jago, che si schermisce come creatura mediocre e non come poeta; più recentemente si sente citare la frase “anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale” dal film Ratatouille, dimenticando però che il discorso di Anton Ego prosegue così “Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni: al nuovo servono sostenitori!” Sono, quindi, le due facce della medaglia: la critica annoiata, autocompiaciuta e autoreferenziale, e la critica vera e propria, che osserva, si mette in discussione e stimola, pungola, suscita dibattito, analizza, approfondisce con passione.
Critica, sì, potrebbe non essere una bella parola, diffusa com'è più nell'accezione negativa, sinonimo del rilievo pedante di un accigliato Beckmesser o, quantomeno, di un giudizio poco lusinghiero. Sia che sminuisca sia che lodi per il gusto di farlo, per superficialità o convenienza, la critica non è tale, è uno sterile esercizio funzionale all'ego di chi scrive, sollazzevole al lettore se la penna, almeno, è felice e arguta, conveniente, secondo i casi, all'artista o ai suoi rivali. Ma lo spirito critico è, viceversa, lo slancio fondamentale dell'intelletto umano, il principio e la meta del libero pensiero; lo stesso verbo greco da cui deriva (κρίνω, krino) non significa in primo luogo giudico, ma innanzitutto distinguo, scelgo, discerno, quindi anche stimo, penso, interpreto. Presuppone un'analisi, un confronto e un'elaborazione ben ponderati.
La critica non è il ripiego dell'artista fallito, lo sfogo dell'ambizione frustrata. Compiango sinceramente chi la vive o la vede in questa maniera. Non è nemmeno un esercizio di potere. È, bensì, un esercizio di piacere, vorrei dire, pensando alle attività artistiche e intellettuali – nelle più svariate discipline e applicazioni dall'artigianato alla speculazione, dalla creazione alla scienza – come alla più alta realizzazione dello spirito umano. E la critica non si deve limitare a osservare e annotare: la critica deve sentire la responsabilità del suo dialogo con l'arte e non cessare mai d'interrogarsi, studiare, approfondire, ricercare, deve coltivare una curiosità inappagata con un rigore etico e intellettuale adamantino. Guardarsi allo specchio a testa alta, non sentirsi né giudice né censore né arido cronista; il mondo della cultura non è composto solo da creatori e geni artistici, ma da un cosmo dialettico di cui fa parte anche chi non sale sul palcoscenico, ma a sua volta osserva, analizza, confronta, suggerisce, stimola, sostiene o corregge (a torto o a ragione, la storia è fatta di dibattiti, non di dogmi), gli studiosi che scandagliano i vari aspetti dell'arte e ad autori e interpreti possono offrire così nuove sfide, illuminare nuove strade, o ispirare opposte reazioni. Anche con solenni abbagli, perché è giusto che sia così: il critico rischia, come l'artista, e le vicende umane seguono vie tortuose, continuamente soggette a nuove riflessioni, attraverso diverse prospettive.
La critica, la filologia, la storiografia, la creazione, l'analisi, l'interpretazione di un testo in un saggio o su un palcoscenico, la speculazione, l'invenzione, l'approfondimento, il dubbio sono tutte espressioni della natura umana, del suo genio. Hanno la medesima dignità, o, meglio così dovrebbe essere, a questo dovremmo mirare.
Questo è l'ideale, sia che, di volta in volta, lo si realizzi o si inciampi lungo il cammino resta la stella polare.
Per questo il codice di registrazione non rappresenta un semplice atto burocratico, ma la certificazione dell'impegno ad agire seriamente, da professionisti, assumendocene la responsabilità. Esattamente lo stesso motivo per cui, quasi undici anni fa, mi iscrissi all'ordine dei giornalisti.
Di letteratura negativa sul giornalismo e sulla critica (musicale ma non solo) è piena la storia: in quante opere buffe o commedie troviamo un pennivendolo meschino e corrotto? Oggi, per di più, internet ha mescolato assai le carte. La possibilità di circolazione delle idee oggi è quasi miracolosa. Meravigliosa: lo penso ogni giorno lavorando a una testata che qualche anno fa non avrebbe mai potuto non dico avere la sua diffusione internazionale, ma nemmeno esistere senza un generoso editore mecenate.
Il rischio è però di un'indigestione di informazioni che confonda il gusto e la qualità delle pietanze. Naturalmente si possono leggere riflessioni interessantissime e ponderate su blog senza alcuna pretesa professionale e, viceversa, terribili castronerie da firme titolate. Così, d'altra parte, è sempre stato: son fioriti dibattiti e hanno allignato erbacce nei loggioni e nelle accademie, esattamente come sono sempre esistiti i grandi artisti e i musicanti da strapazzo. Tuttavia, di fronte al rischio di fare indigestione, cerchiamo almeno di fare ordine nel menù: i musicologi e i giornalisti devono avere il loro ruolo e la loro professionalità riconosciuta, devono anche rischiare ed esporsi, argomentare e stimolare, non cercare il consenso, ma rispondere alle aspettative che questo mestiere comporta.
La stima si guadagna sul campo, ne siamo convinti, al di là dei titoli, ma per giudicare con spirito critico – appunto! - ciò che leggiamo è sempre bene sapere da dove proviene, chi lo propone.
Potremo fare splendide (o pessime) cene in un ristorante stellato o in una trattoria sperduta, a casa di amici o a una bancarella, ma per gustare e capire è sempre bene essere informati, conoscere. Allo stesso modo, è giusto venga riconosciuto chi ha compiuto un percorso di studi, chi ha acquisito una competenza professionale, chi non si improvvisa ma lavora con serietà e rigore per dare la giusta importanza alla critica. Il rigore e la serietà che, d'altra parte, sono dovuti anche agli artisti, allo studio e alla preparazione che noi giustamente esigiamo da loro sulle scene. Come ci aspettiamo il cantante, il direttore, lo strumentista e il regista rispettino le opinioni del pubblico e della stampa, così noi da professionisti dobbiamo a loro e ai lettori, per rispetto, l'onestà di opinioni argomentate, fondate ed espresse in buon italiano. Da professionisti della scrittura, come una registrazione ufficiale di testata giornalistica e la responsabilità di un direttore regolarmente iscritto all'ordine dovrebbero garantire.
Noi con questa registrazione vi diciamo chi siamo e in cosa crediamo: il valore e la dignità di una critica e di un giornalismo culturale rigoroso e costruttivo. E ci auguriamo che possiate apprezzarlo, anche non condividendo le nostre opinioni, ma trovando gli stimoli di riflessione, le argomentazioni,l'approfondimento e l'amore per l'arte che cerchiamo di comunicare.