"Modelli organizzativi, gestionali"
In questo passaggio alla legge di conversione, l’art. 24 si è arricchito di qualche altro comma. Permanendo ancora l’anno 2016 nel testo del Decreto, nonostante la Legge di stabilità varata a dicembre dell’anno scorso avesse già introdotto l’idea della proroga, è stato rettificato il termine temporale procrastinativo al 2018. Permane sempre la lezione deterministica per il pareggio del conto esercizio, così come l’equilibrio patrimoniale da conseguire permane come fumosamente “tendenziale”: cioè una locuzione che non significa nulla. In più sono aggiunti dei commi 3-bis fino a 3-sexties (si tralasciano il 3-septies et opities che riguardano attività turistiche e fluviali). Segue il testo coordinato dell’art. 24 nella versione modificata definitivamente con la Legge n160/2016 di conversione (pubblicato in GU Serie Generale n.194 del 20-8-2016).
Il comma 3-bis, uno di quelli aggiunti in sede di conversione, al fine di favorire il raggiungimento degli equilibri (sia quelli veri, che quelli “tendenziali”), manifesta l’intenzione – ma solo quella – di redigere entro giugno 2017 un “regolamento” contenente “modelli organizzativi, gestionali” idonei a garantire l’equilibrio, insomma una specie di “ricettario del bravo Sovrintendente”, come se bastasse seguire delle regolette per gestire bene una cosa tanto complicata, peraltro esulando totalmente dalle competenze e capacità delle persone scelte ai vertici: sarebbe enormemente più efficace tenere alla larga dai teatri chi in questi anni è stato capace di condurli a patrimonio netto con importi negativi! Ma tant’è. Altro compito di questo futuro regolamento sarà rendere meno fumoso il senso dell’aggettivo “tendenziale” per capire cosa sarà necessario per rimanere nello status “Fondazione lirico-sinfonica” (ergo spartirsi circa il 44% del FUS ogni anno), pena la classificazione come “teatro lirico” (con attingimento a una quota di FUS più piccola): tutta qui il paventato “declassamento”, “disimpegno dello Stato”. Insomma, ancora una volta buoni propositi di governare un settore con perdite croniche (sempre focalizzate però negli stessi teatri, attorno alle stesse persone, guarda caso) con la minaccia di fissare in futuro qualche altro parametro, già sul nascere destinato ad essere ritoccato e/o procrastinato al primo sforamento da parte dei soliti noti. In altre parole molto rumore, per nulla.
Il comma 3-quater è l’unico contenente qualcosa di concreto. Nelle more del raggiungimento dei pareggi di conto economico a fine 2018, alle Fondazioni che chiudono l’esercizio con saldo negativo si applica il taglio dell’integrativo dei dipendenti (taglio peraltro già previsto dalla Legge Bray all’art.11 c.1 come condizione per l’accesso al fondo di rotazione e poi rimosso con il Decreto-legge c.d. Artbonus), una minaccia quantitativamente indefinita nel riconvertire i rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale (che, non fissando in quale rapporto dovrebbe stare la presunta riduzione dell’attività in funzione dello sforamento d’esercizio, significa ancora una volta aver usato inchiostro a vanvera e procurato inutili pubbliche sollevazioni) e la riduzione al 50% del tetto massimo per il trattamento economico per le missioni all’estero.
Dal comma 3-quinquies si torna alle disposizioni inutili, quali la possibilità di avere consigli di indirizzo con più di 5 membri, purché a titolo gratuito, mentre il comma 3-sexies ribadisce sostanzialmente che il MiBACT ha facoltà di comparare e ripartire il FUS come gli pare: qualora, guardando gli ultimi tre riparti [leggi l'analisi del comparto FUS 2016], non ce ne fossimo già resi conto.
Tirando le somme di questa lettura “facilitata” dell’art.24 della Legge n.160/2016 ci pare non ingeneroso definire il dispositivo legislativo oscillante tra il tradizionalmente dilatorio e il vacuo allarmismo sul nulla: una Legge in perfetto stile “italiano”, perfettamente inefficace sulle Fondazioni, che perde ancora una volta l’occasione di fissare regole concrete volte a tenere fuori dai vertici persone di conclamata incapacità, responsabili in passato di risultati economici catastrofici. L’unica misura su cui si può concordare con le organizzazioni sindacali che si scarichi direttamente sui lavoratori è quella aggiunta con il comma 3-quater, ma occorre osservare come storicamente si è troppo spesso registrato nelle Fondazioni un certo collateralismo tra gli amministratori a cui si alludeva sopra e gruppi facinorosi radicalisti fra i lavoratori (non, naturalmente, tutti i gruppi sindacali): cercare di spezzare questo insano spalleggiamento vicendevole rendendo in qualche modo confliggenti i rispettivi interessi individuali è forse l’unico timido tentativo anticiclico nella norma che potrebbe funzionare nel lungo termine. Per il resto, l’appuntamento è al 31 dicembre 2018, quando – ne siamo certi – giungerà la successiva proroga al 2020.
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