Chopin in purezza
F. Chopin
Notturni op. 55, Mazurke op. 56, Berceuse op. 57, Sonata n.3 op. 58
Maurizio Pollini, pianoforte
registrazione effettuata alla Herkulessaal di Monaco di Baviera nel 2018
CD Deutsche Grammophon, 483 6475, 2019
Ancora una volta nel cartiglio giallo si uniscono i nomi di Chopin e Pollini, solo il viso di quest'ultimo, al centro della copertina, ci racconta gli anni che passano con qualche ruga in più e qualche capello in meno, un'espressione un po' più stanca. Eppure, nelle sue dita, Chopin è più fresco che mai.
A settantasei anni compiuti Maurizio Pollini torna a incidere uno dei suoi autori prediletti, forse il suo autore d'elezione, e il timore che il confronto con se stesso potesse pesare era concreto. Invece il patriarca del pianoforte sfodera la zampata del vecchio leone e ci svela che sotto la palpebra appesantita lo sguardo non è stanco, ma più vivo che mai, maturo, pensoso, e proteso in avanti.
Il nitore del tocco, la musicalità trasparente, la definizione di ciascuna nota sono lì, sempre lì come cifre distintive del pianista milanese. Non pare minimamente appannato nella virtù di fare dell'esattezza arte, nell'individuare le proporzioni auree del suono, levigato come un marmo canoviano e come tale delineato da morbidi giochi di luci e ombre.
Con il tempo, però, la purezza apollinea in si è cristallizzata in un estremo estetizzante, in un formalismo. Al contrario, percepiamo fisicamente quale profondità di pensiero ed esperienza maturi in ogni singolo, dettaglio, come la pulizia chiarissima di ogni abbellimento sia parte di un organismo poetico che splende di per sé proprio nella sua essenzialità. È come se Chopin venisse distillato, liberato da ogni possibile sovrastruttura. La liquida fluidità del discorso è sottintesa, come un filo invisibile, in un disegno perfettamente delineato di cui ogni singolo elemento appare lucido, distinto, e per questo necessario e consequenziale nel discorso: una particella riconoscibile che trae il suo significato nella consequenzialità del contesto, nel rapporto complesso ma magistralmente cesellato di tutte le variabili. C'è in questo Chopin una chiarezza di visione tutta novecentesca, c'è l'analisi di chi si è abituato a guardare alla musica con schemi nuovi, regole e geometrie differenti, ma non per questo un algido abbandono del lirismo, della malia del chiaroscuro che pervade tutto il programma.
Pollini sceglie di non concentrarsi su un genere (che siano sonate, notturni o altro), ma su un momento: quattro numeri d'opus consecutivi, i due Notturni op. 55, le tre Mazurke op. 56, la Berceuse op. 57 e la Sonata op. 58. Coglie, così, il colore, l'umore di una fase ben precisa della creazione chopiniana, fra il 1843 e il 1844, e la vede declinata in pagine di carattere diverso. Apre uno scorcio affascinante, fra distanze formali e assonanze poetiche, cogliendo un peso fisico del tocco e di conseguenza del rapporto luce-ombra negli armonici stessi del suono, per cui un approccio quasi scientifico si sublima in un'interpretazione sensibile e sfaccettata. Magnetica, perfino. Il miglior Pollini distillato dal tempo che torna a Chopin e ne estrae un momento creativo, esaltandone l'elaborazione formale in un tutt'uno con le ambiguità espressive. Nelle dichiarazioni raccolte nelle note di copertina di Paolo Petazzi, Pollini stesso parla di aspetti lontani che, nel secondo Notturno, si fondono "in modo meraviglioso e magico" o, per la Sonata, di "una melodia infinita con un grande respiro lirico, continuo". E, sembra dirci l'ascolto, la magia e il respiro infinito maturano lentamente, nel tempo, anche con l'analisi e la ragione.