Stravinskij, fra Tebe e Parigi
di Alberto Ponti
Juraj Valčuha per l'ultima volta sul podio dell'Orchestra Rai in qualità di direttore principale per un Oedipus Rex con la voce narrante di Toni Servillo
TORINO, 8 aprile 2016 - Non sempre le collaborazioni ad alto livello tra un letterato e un musicista producono frutti memorabili. Quando Beethoven, massimo compositore della sua epoca, scrisse le musiche di scena per l'Egmont (1810) di Goethe, massimo poeta della sua epoca, i viennesi non potevano che attendersi qualcosa di eccezionale. Ne venne fuori un insieme tutt'altro che convincente, se si esclude l'epica ouverture, a confronto della quale le restanti pagine rimangono sminuite.
Verdi e Boito, allo stesso modo, si annusarono a lungo, con una serie di progetti mai realizzati, prima di cementare la loro collaborazione nei due tardi capolavori di Otello (1887) e Falstaff (1893).
Nel Novecento, secolo frenetico e nevrotico, le cose, soprattutto in Francia, cambiarono. Non più meditati approcci, corteggiamenti epistolari (come invece avvenne ancora fra Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal), ma incontri fatali, rivelazioni inaspettate, seduzioni temerarie e istantanee. Dall'incontro parigino tra un D'Annunzio in perenne bolletta e Debussy nacque Le martyre de Saint Sébastien (1911) mentre Honegger e Claudel diedero vita al grandioso Jeanne d'Arc au bûcher (1938). Anche Igor Stravinskij (1882-1971), impressionato da una riduzione dell'Antigone di Sofocle operata dal poeta Jean Cocteau, chiese e ottenne la collaborazione di quest'ultimo per il testo (poi tradotto dal francese in latino da Jean Daniélou, futuro cardinale) di uno dei suoi capolavori, l'opera-oratorio Oedipus Rex (1927), che si è potuta ascoltare giovedì 7 e venerdì 8 aprile a Torino, in forma di concerto, sotto la direzione di Juraj Valčuha nella sua ultima presenza da direttore principale dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
Ibrido fra due generi già profondamente messi in discussione, nella loro struttura tradizionale, nei primi decenni del secolo scorso, questo Oedipus colpisce per il ritorno dell'autore a un organico grandi dimensioni dopo un decennio di sperimentazioni condotte con complessi da camera, nonché per l'uso di un linguaggio di forte impronta diatonica, affatto differente da molti dei precedenti lavori stravinskiani. Pensato come successione di pezzi chiusi, intervallati da brevi interventi di un narratore che riassume la vicenda (in questo caso il bravo Toni Servillo, noto per il ruolo da protagonista nel premiatissimo La grande bellezza di Sorrentino), il lavoro vuole celebrare un episodio tragico di un passato barbaro e primitivo, anche se calato in una monumentalità impersonale e oggettiva, agli antipodi di un Sacre du printemps, che prendeva le mosse dallo stesso mondo pagano per comporre un affresco di ribollente violenza emotiva.
Stravinskij è però troppo musicista per fermarsi all'ossequio rigoroso di un tale programma e infonde, all'interno di arie, duetti e cori, quell’inquietudine compenetrata allo stesso modo di ironia e tragedia che costituisce una delle sue più evidenti cifre poetiche. Sono allora tratteggiati l’altero cipiglio di Edipo, indugiante in un canto di matrice russa ricco di melismi (interpretato, non al meglio, dal tenore statunitense Brenden Gunnell, apparso un po’ giù di voce), l’implacabile desiderio di vendetta di Creonte, espresso da un declamato appoggiato su una strumentazione lussureggiante (buona prova del basso-baritono croato Marko Mimica, stentoreo e glaciale), il distacco aristocratico di Giocasta, che canta all’inizio del secondo atto la più celebrata aria dell’opera. La parte della regina di Tebe è affidata a Sonia Ganassi, mezzosoprano di bella presenza scenica, a suo agio in un ruolo di grande varietà e complessità tecnica non esente da virtuosismi in cui Massimo Mila leggeva richiami nemmeno troppo velati alla scena di Violetta nel primo atto della Traviata. Valčuha affronta la partitura con la dovuta ieraticità, mettendo da parte quell’esuberanza che gli abbiamo riconosciuto in precedenti apparizioni, aderendo così totalmente al dettato del compositore. Ne sortisce una tensione continua e impressionante, che raggiunge l’apoteosi nei numerosi, taglienti interventi corali.
Il quarto d’ora di applausi ininterrotti sancisce il successo trionfale per tutti gli interpreti, dal narratore Servillo al coro filarmonico di Brno, istruito da Petr Fiala.
In apertura di serata era stata eseguita la concisa e celebre Sinfonia n. 1 ‘Classica’ (1917) di Sergej Prokof’ev (1891-1953), perfetta costruzione architettonica offerta quasi con nonchalance come biglietto da visita da un venticinquenne che avrebbe scritto un altro capitolo importante della musica russa del Novecento.