D'improvviso Mitsuko
di Alberto Spano
La grande pianista giapponese ribadisce la sua affinità al linguaggio di Schubert proponendo l'ascolto, ormai raro in concerto, di suoi otto Improvvisi.
RAVENNA, 1 giugno 2016 – I recital di Mitsuko Uchida sono un'assoluta rarità in Italia, e bene ha fatto il Ravenna Festival ad affidare a lei il concerto inaugurale della sua nuova edizione, unico concerto pianistico classico all'interno di un cartellone multietnico molto variegato dedicato alla figura di Nelson Mandela (che oggi avrebbe 98 anni) e al nobile concetto di libertà. “Ho camminato sulla lunga strada per la libertà” è la di lui frase scelta come titolo-slogan dell'intero 2016. A pensarci bene potrebbe essere anche il verso di un Lied di Franz Schubert, uno dei massimi cantori della libertà in musica. Bella dunque l'idea di inaugurare sulle sue note, in particolare su quelle degli otto Improvvisi, le due celebri raccolte pianistiche op. 90 e op. 142 (D 899 e 935), composte l'anno prima della morte, nel dicembre 1827. Opere fra le sue più felici, immediatamente entrate nel repertorio di tutti i grandi pianisti ottocenteschi e novecenteschi, ma anche nel cuore dei pianisti dalle dita di burro, dei non virtuosi e delle signorine di buona famiglia che un tempo suonavano il pianoforte in società per trovare marito, grazie anche a certe abominevoli riduzioni facilitate che fin da metà Ottocento han fatto la gioia di intere generazioni di pianisti dilettanti. Sono opere i cui splendidi temi si imparano a memoria all'istante, adorate dal pubblico incondizionatamente, divenute icone schubertiane per eccellenza (“negli Improvvisi c'è il vero Schubert” si sentiva dire nei corridoi di conservatorio), molto più che i Momenti Musicali e le Sonate, purtuttavia un banco di prova importantissimo soprattutto nei concerti dal vivo. Apparentemente facili e suadenti, in realtà sono pieni di trappole pianistiche e nascondono difficoltà tecniche e interpretative insidiose, che oggigiorno allontanano molti pianisti, anche i migliori. La loro fortuna interpretativa in sala di concerto conobbe un apice negli anni '50 e '60 del Novecento, poi gli Improvvisi sono gradualmente usciti dal repertorio usuale - chissà perché? - tanto che oggi è assai raro ascoltarli in concerto se non dagli specialisti-integralisti, e a maggior ragione tutti e otto di fila. Oscuro ne è il motivo, visto che è invece piuttosto chiaro l'intento compositivo unitario che vi è sotteso: più di un critico (in primis Robert Schumann) si è spinto a teorizzare l'idea di considerare gli otto Improvvisi come due grandi Sonate per pianoforte, quindi adattissimi ad essere eseguiti integralmente in una sola sera.
Proprio con gli otto Improvvisi Mitsuko Uchida iniziò a registrare nel settembre 1996 la sua quasi intregrale schubertiana alla Sala Grande del Musikverein di Vienna, dall'acustica morbida e profonda. Registrazioni che hanno conosciuto grandi successi nel mondo anglosassone, ma che in Italia hanno girato pochissimo, e che sono state letteralmente ignorate dalla critica nostrana. Difatti ancora oggi il nome di Uchida non lo si associa per istinto a quello di Schubert, come invece accade per Debussy e Mozart. Ma si commette un errore. Che sia un'interprete schubertiana di grande valore la Uchida lo ha fatto immediatamente intendere con la consueta cura del suono e del fraseggio che ha imposto fin dal primo Improvviso in do minore, con quell'accordo iniziale gettato come un amo e poi tutto il resto che segue, vale a dire domande e risposte in un continuo dialogo sul filo del bel suono e della grazia incantatoria. Improvviso preceduto dall'ineffabile e malinconico la minore del Rondò KV 511 di Mozart, pure composto da un trentenne di genio destinato a morire ancor giovane, ed eccellente viatico all'intera serata.
Come suonano gli Improvvisi della Uchida dopo vent'anni dall'incisione in studio? Qualcosa è certamente cambiato, sebbene l'impianto interpretativo volto a una sobria cantabilità e a un lirismo sempre molto controllato sia ancora quello. Oggi il suono della Uchida – sempre naturalmente bello – si è fatto ancora più immateriale, a volte è screziato e tende al vaporoso, a volte è invece un po' rigido. Il fraseggio è sempre mobile, ma non erratico: in questi Improvvisi della Uchida prevale il canto – com'è giusto – a discapito talvolta di una espressività più da viandante. È una lettura moderna, asciutta, quasi austera, che mai si abbandona a languori mitteleuropei. Ne risulta uno Schubert un po' ieratico, in fondo assai poco viennese o danubiano. Il controllo sul suono è molto calibrato, e ogni evento musicale, dal gesto di una determinata figurazione ritmica a quello di una visione più distaccata, prende la sua giusta sostanza, soprattutto nella seconda parte del concerto, dove è eliminata dall'artista anche la pur minima forma di nervosismo, qua e là avvertita nel primo libro. Un maggior manierismo si era invece colto nel Rondò in la minore di Mozart, tutto giocato su un suono scorrevole e su arditi cambi di tempo e di rubati. Di gran classe i due bis, elargiti con regale condiscendenza dalla più grande pianista giapponese vivente: un candido Andante cantabile della Sonata in do maggiore di Mozart e una Sonata di Scarlatti prediletta da Arturo Benedetti Michelangeli, snocciolata con un magnifico legato di dito, in totale assenza di pedale di risonanza, con il piede destro platealmente esibito e sempre ben attaccato al pavimento come con la colla.