L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Simon Boccanegra a Rovigo

La rivincita di Fiesco

  di Francesco Bertini

In una produzione per molti versi insufficiente del Simon Boccanegra spicca la prova di Roberto Scandiuzzi nei panni di Jacopo Fiesco. Brava anche Ilona Mataradze come Amelia/Maria.

ROVIGO, venerdì 29 aprile 2016 - L’impegno profuso dalle realtà di provincia spesso stupisce per audacia e profonda fiducia nelle scelte artistiche, anche le più audaci all’apparenza. Per quanto non si tratti di un titolo desueto, Simon Boccanegra costituisce, per qualsiasi teatro, una vera e propria sfida che accolgono, in quest’occasione, unendo le forze e le risorse, il Giglio di Lucca, il Goldoni di Livorno, il Verdi di Pisa e il Sociale di Rovigo. Dal capoluogo polesano la partitura manca dal 1999 e in ragione di una lunga assenza la risposta del pubblico rodigino è parsa dolorosamente insufficiente, con la sala gremita più o meno per metà. Una partecipazione così scarsa potrebbe indurre una riflessione anche sulla ricezione del repertorio verdiano, ma ci si augura sia solo dovuta a volubilità stagionale.

La realizzazione visiva dello spettacolo è affidata alla regia di Lorenzo Maria Mucci. Si evince, fin dal principio, una certa genericità nella definizione dei caratteri alla quale sopperiscono, con efficacia più o meno discontinua, i singoli artisti. L’incapacità di dare un disegno complessivo unitario rischia di far perdere la dimensione umana dei personaggi che Verdi ha curato nei minimi dettagli.

Le scene di Emanuele Sinisi sono semplici ma funzionali: nello scarno apparato ricreano, con pochi tratti essenziali, il clima genovese con i sapori marittimi, i materiali delle imbarcazioni e i colori dell’ambiente circostante. Al contrario Massimo Poli immagina dei costumi che, nonostante la loro tradizionalità, spesso non inquadrano compiutamente il rango o le cariche rivestite dai singoli soggetti. Le luci di Michele Della Mea illuminano lo spazio senza particolari intuizioni.

A non far decollare la situazione contribuisce la concertazione incolore del croato Ivo Lipanovic. La scarsa attenzione rivolta ai solisti è evidenziata da alcuni scollamenti con il palcoscenico e dal limitato interesse per le dinamiche, con decise cadute per quanto attiene il fraseggio, così rilevante nella resa della partitura. L’Orchestra Filarmonia Veneta cerca di dare il meglio sebbene si odano frequenti stonature e attacchi incerti. Il CLT, Coro Lirico Toscano, supporta gli ampi interventi richiesti grazie alle istruzioni di Marco Bargagna.

Due sono i veterani a Rovigo: Stefano Antonucci e Roberto Scandiuzzi.

Al primo spetta il complesso ruolo protagonistico. La lunga esperienza pare suggerirgli quella cautela indispensabile a portare in fondo la serata. Il peso della parte, alla quale l’autore chiede molto in termini drammaturgici e vocali, si rivela in tutta la sua portata con il procedere della recita. Antonucci riesce poco convincente nel rendere il carisma del doge che, per statura politico-umana, esigerebbe ben più dettagliata caratterizzazione. Va ascritto al baritono italiano il grande impegno dimostrato e l’attenzione, nei limiti del proprio strumento, per le sfumature espressive verdiane.

Il secondo porta in scena il proprio collaudato Fiesco. L’autentico timbro di basso si manifesta immediatamente donando all’antagonista quell’aura vendicativa che lo ammanta per i tre quarti dell’opera. La cavata di Scandiuzzi è imponente ma si piega alla delicatezza di taluni incisi, sopperendo ad alcuni sussulti nella gamma con arguta maturità.

La felice combinazione di un registro acuto abbastanza solido e di una zona centrale tornita consentono al soprano georgiano, Ilona Mataradze, di approcciare con la giusta sintonia le esigenze musicali di Amelia Grimaldi. La valida credibilità attoriale dà ulteriore risalto alla forte tempra muliebre della figlia di Boccanegra.

Ivan Momirov è decisamente inadeguato a vestire i panni di Gabriele Adorno. Non una sfumatura nel canto, monocromo, quasi costantemente stentoreo e gutturale, e nella recitazione, rigida, innaturale e poco espressiva.

Migliore, unicamente sul versante scenico, la prestazione di Ivan Marino, insufficiente Paolo Albiani. Passabili il Pietro di Matteo Ferrara e Il Capitano dei Balestrieri di Vladimir Reutov. Rapidi ma calorosi gli applausi conclusivi.

 Foto Nicola Boschetti


 

 

 
 
 

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