L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Iolanta a Firenze

Lo sguardo della modernità

 di Pietro Gandetto

Felice apertura del settantanovesimo Maggio Musicale Fiorentino all’Opera di Firenze con Iolanta di Pëtr Il’ič Čajkovskij, nella ripresa dell'allestimento del Metropolitan. Sul podio, l’ottima bacchetta di Stanislav Kochanovky; convince solo in parte il cast vocale.

FIRENZE 30 aprile 2016 - Ogni opera di Čajkovskij, se ben eseguita, è quasi un’esperienza mistica. È come essere intrappolati in una sinuosa ragnatela formata da un tessuto melodico solenne, ma intimo, fatto di temi contrastanti che combattono senza tregua. Dramma e frivolezza, maestosità e intimismo, malinconia e brillantezza. Nella sintesi di questi poli risiede la chiave interpretativa di Iolanta, ultima opera di Pëtr Il’ič Čajkovskij (1892), tratta dalla fiaba svedese di Henrik Hertz, che si ispira a sua volta al personaggio storico di Iolanda di Lorena (1428-1483), figlia di Renato I d’Angiò e sposata nel 1445 con Federico di Vaudémont.

Diversamente dalla principessa angioina, la Iolanta di Čajkovskij è cieca dalla nascita, ma non sa di esserlo, perché la famiglia la rinchiude nella prigione dorata della menzogna, celandole la sua condizione. Sin dall’inizio dell’opera, però, Iolanta è inquieta, perché intuisce che qualcosa le viene nascosto e si chiede come sia “possibile che gli occhi servano solo per piangere”. La giovane si libera dalla sua cecità grazie all’amore del cavaliere Vaudémont che, svelandole la sua condizione, suscita in lei il desiderio di vedere la luce, consentendo al medico arabo di guarirla.

Fatta questa premessa, venendo allo spettacolo dell’Opera di Firenze, non possiamo che esprimere anzitutto i più ampi consensi per la scelta di questo titolo. Opera poco presente nei cartelloni contemporanei, Iolanta è in realtà un piccolo gioiello musicale caratterizzato da pagine orchestrali di rara bellezza in cui converge l’evoluzione compositiva del grande maestro russo, che affida soprattutto all’orchestra, più che alla linea del canto, il compito di raccontare questa sorta di fiaba musicale.

Un’opera, poi, modernissima ove si consideri che nell’ambito del clima di rigidità che caratterizzava la Chiesa ortodossa di fine Ottocento, Čajkovskij metteva in musica la storia di una principessa medievale cattolica, salvata da un medico arabo, che esclama, tra le altre, la frase: “Allah è immenso, in lui devi sperare”. Soggetto e testo di un'attualità impressionante, che rimanda a un concetto di pluralismo religioso e di pacifica convivenza, cui il presente dovrebbe guardare.

Il tema della luce e del divino pervade tutta l’opera, concepita da Pëtr Il’ič e dal fratello Modest, autore del libretto, come un’elevazione dallo stato umano a quello spirituale, attraverso la metafora del passaggio dal buio della cecità alla luce della grazia divina.

Le scene di Boris Kudlička collocano l’intera vicenda tra un interno, la stanza-prigione della protagonista, aperta ai lati e arredata con uno scarno letto e con teschi di cervi venatori (che ricordano quelli del recente Falstaff scaligero di Carsen), e un indefinito esterno, ideale liquido amniotico in cui i personaggi sviluppano una vita che Iolanta immagina, ma che, non potendo vedere, non può vivere.

Le efficaci luci di Marc Heinz e le videoproiezioni di Bartek Macias ben hanno reso il clima di soffusa angoscia e di languida malinconia che pervade l’animo della protagonista. Lo spettacolo si apre con un enorme cerbiatto che danza, a significare i sogni di evasione di Iolanta, e, più oltre, quest’immagine lascia spazio a tronchi di alberi sospesi nel vuoto, con colori quasi del tutto assenti e un ampio utilizzo di tinte scure.

Della regia di Mariusz Trelinski abbiamo apprezzato lo spostamento dell’ambientazione, dal medioevo del libretto a una contemporaneità indefinita, elemento che ne rafforza il topos fiabesco e il fascino esotico. Ciò che invece ci ha lasciato perplessi è tutto il resto, vale a dire una regia inidonea a compensare l’evidente debolezza drammaturgica che il libretto e l’opera, nel complesso, scontano. La stanza di Iolanta ruota e non si sa bene perché. A un certo punto, Robert e Vaudémont si presentano in scena con gli sci in spalla, senza un motivo, né palese né occulto, e la scena finale con il coro schierato in fila intorno ai protagonisti, con le due damigelle inginocchiate come due alani, è uno dei momenti meno felici dell’allestimento.

Il cast vocale è di qualità, ma le voci non sono coese né per colore e impasto, né per omogeneità di volumi e intenzioni. Victoria Yastrebova – dotata di voce di bel timbro e ben governata – è parsa però incapace di fornire una corretta modulazione, sia vocale che scenica, del personaggio di Iolanta. La protagonista non è tormentata prima, né gioiosa dopo la liberazione dalla cecità, e non si ha contezza di quel che Iolanta realmente provi. Tale mancanza non è secondaria considerato che, per esaltare a contrario la condizione fisica della protagonista, Čajkovskij affida al personaggio un’infinita gamma di colori, sfumature e varianti - che però qui sono mancate.

Quanto al comparto maschile, ottimo il Re René di Ilya Bannik, dotato di voce brunita e profonda e di una presenza scenica in grado di conferire la dovuta maestosità al ruolo. Deludente invece il tenore Vsevolod Grivnov nel ruolo di Vaudemont. Il registro acuto è stridulo e la vocalità dai volumi piuttosto modesti mal si concilia con il resto del cast. Parole di elogio invece per il Robert di Mikołaj Zalasiński, tipico baritono da repertorio russo, dotato di voce imponente, sicura e di una buona disinvoltura scenica. Sarebbe bello sentire Zalasiński in terre scaligere. Analoghe considerazioni per Elchin Azizov, nel ruolo del medico Ibn-Hakia: voce possente, emissione sicura e ben appoggiata, registro acuto ben amministrato. Efficace il resto del cast.

Quanto all’orchestra, segnaliamo il maiuscolo contributo dei professori dell’Opera di Firenze, guidati dalla sapiente concertazione di Stanislav Kochanovky che si fa notare per il piglio energico e incisivo. Il direttore trae dalla partitura effetti musicali notevoli e una variegatissima gamma di colori e spunti espressivi. La narrazione musicale fluisce compatta e scorrevole e crea quell’atmosfera da fiaba musicale, dove l’inquietudine, la malinconia, la tragicità, assumono toni colloquiali di sicuro impatto.

Calorosi applausi da parte di un pubblico coinvolto, ma poco avvezzo al repertorio russo, per questa buona apertura del 79° Maggio Musicale Fiorentino, in attesa della prima dello Specchio magico di Fabio Vacchi il prossimo 7 maggio. 

 

© Michele Borzoni - Terraproject - Contrasto


 

 

 
 
 

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