Tre per uno
di Roberta Pedrotti
Olli Mustonen si presenta nella stagione sinfoncia del Teatro Comunale nelle triplici vesti di compositore, pianista e direttore cimentandosi in tre brani, tutti tripartiti. Il ricorrere del numero perfetto conduce, comunque, a un'unica soluzione nella Sesta sinfonia di Prokof'ev.
BOLOGNA, 3 febbraio 2017 - Olli Mustonen, parte prima: il compositore. Il pannello d’esordio del trittico è quello per eccellenza del creatore, il cinquantenne finlandese allievo di Rautavaara propone un proprio lavoro del 2014 il cui titolo è, appunto, Triptyykki, ovviamente tripartito, impeccabilmente consonante con la scansione della serata. Nel susseguirsi del Maestoso, del Furioso e del finale Ad astra, concepito per tre violoncelli ed esteso per orchestra d’archi, Mustonen si presenta come autore diligente che affonda ben salde radici senza ambire a slanciare più in alto di altri rami carichi di frutti. Si riconosce il forte legame con la tradizione scandinava, l’influenza del tardo romanticismo slavo (Rachmaninov, anch’egli compositore, pianista e direttore, è un chiaro punto di riferimento), ma anche a soluzioni stravinskijane, soprattutto nell’ambito dei Ballet russes, ma anche nel successivo neoclassicismo. Ne risulta una partitura ben strutturata, ma senza guizzi né sorprese.
Olli Mustonen, parte seconda: il pianista. Qualche istante con la mezza sala, rapidi movimenti sul palco e il pianoforte trova spazio nel cuore dell’orchestra per il Concerto n. 25 in Do maggiore k 503 di Mozart. Il tocco secco e puntuto ricorda l’imprinting dei primi studi cembalistici. Il guizzare rapido delle dita è anteposto alla precisione assoluta e alla ricerca dinamica, senza evitare che talora il suono venga fagocitato dall’orchestra. In evidenza Mustonen pone un fraseggio singolarissimo, pervaso da un’interna agitazione, quasi labirintico nel secondo movimento, Andante: sembra quasi smarrirsi in sé stesso e rimanere sospeso come una domanda cui l’Allegretto del terzo risponde con nervosismo, con ansia stizzita più che con una soluzione. Il bis bachiano completa il quadro con un incedere libero ai limiti della rivisitazione. Alla tesi di un compositore accuratamente accademico segue l’antitesi di un pianista singolare, che fa dell’irregolarità la sua cifra stilistica. Ci si chiede, in entrambi i casi, quale sia il confine fra la necessità e la virtù.
Olli Mustonen, parte terza: il direttore. Ci si chiede quale sarà la sintesi, se mai si potrà comporre, fra gli estremi, entrambi interlocutori, dei primi due volti, tanto più che il cimento della Sesta sinfonia di Prokof’ev non è proprio da sottovalutare, specie con un’orchestra come questa, alla ricerca di una sua precisa identità anche al di fuori del repertorio operistico. Le quinte lignee della camera acustica lasciate scoperte con un effetto di maggior riverbero (resta da preferire la soluzione attuata per il precedente concerto diretto da Znaider, con la copertura in tela fonoassorbente) acuiscono gli interrogativi. Mustonen non impugna la bacchetta, ma ora lascia sfarfallare le dita, ora le raccoglie a cono quasi a stringerne una fatta d’aria, mentre il suo fisico robusto di finnico si fa quasi dinoccolato e danzante. Così ci sorprende tenendo ben sotto controllo l’orchestra, in buona intesa anche con la spalla ospite Marco Mandolini, stabile nella Haydn di Bolzano e Trento. Ne risulta non solo un Prokof’ev attendibile, ma anche una lettura personale, cui Mustonen riesce a imprimere una sorta di colore boreale, una luminosa vitalità inquadrata e realizzata con precisa efficacia. Uno e trino, l’ingegno multiforme di Olli Mustonen mostra, al termine del suo percorso, la sua sintesi migliore: quella del concertatore capace di far quadrare i conti e imprimere un proprio sigillo personale, sia caso o fortuna proprio in una sinfonia che, evento raro in una tradizione formale che la vuole per lo più e almeno quadripartita, ripete, per la terza volta, un’organizzazione in tre movimenti.
foto Rocco Casaluci