L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

A memoria il duo spaziale

 di Alberto Spano

Stupefacente concerto, per la stagione di Musica Insieme, del violinista Vadim Repin col pianista Andreï Korobeinikov fra Debussy e il repertorio russo.

BOLOGNA, 27 febbraio 2017 – La prima cosa che colpisce lo spettatore all'inizio del concerto del violinista Vadim Repin col pianista Andreï Korobeinikov (decimo appuntamento di Musica Insieme al Teatro Manzoni) è il fatto che i due musicisti entrino, si siedano e suonino a memoria. Avete letto bene: a memoria. Entrambi. Nella fattispecie due opere capitali della musica da camera come la Sonata per violino e pianoforte in sol minore di Debussy e quella in re maggiore op. 94 bis di Prokof'ev. Cominciano e vanno avanti per quaranta minuti filati come se nulla fosse, ognuno concentrato sul proprio strumento, quasi “dentro”. La cosa passa quasi inosservata, e probabilmente la maggior parte del pubblico neppure se ne accorge.

A memoria un duo violino e pianoforte? Ma quando mai? In oltre quarant'anni di onorata frequentazione di concerti dal vivo, non era mai successo a chi scrive. Durante l'esecuzione, facendo sforzi di memoria (sic), ci si è ricordati di aver visto in video Glenn Gould suonare a memoria in duo con Yehudi Menuhin o altri cameristi (cantanti, violisti, violoncellisti, quartetti), ma tutti col loro bravo spartito davanti, compreso Menuhin. È più frequente il contrario, cioè che il violinista, il flautista, il violoncellista o il “non-pianista” di turno esegua a memoria. Ma “entrambi” è qualcosa di inusitato e rischioso, ed è sicuramente indice di un rapporto di fiducia nel partner che ha pochi confronti nel mondo reale. Vedendoli suonare a memoria, dandosi rapidissime occhiate di intesa, concentrati nel proprio mondo a-cartaceo, eppure così liberi e 'liberati' da problemi di volta pagine e di spartiti, venivano inesorabilmente in mente imprese simili del Quartetto Italiano dei primi anni, di recente rinnovate da gruppi come il Fonè, l'Emerson, il Kelemen. Oppure il suonare a memoria e di spalle (per non rischiare di guardarsi ma solo di ascoltarsi) delle sorelle pianiste Pekinel. Torna in mente la stupefacente impresa vissuta a Ferrara una decina d'anni fa col pianista russo Evgeny Koroliov, di eseguire a memoria l'intera Arte della Fuga di Bach, o quella coeva del clavicembalista Enrico Baiano di eseguire a memoria l'intero Clavicembalo ben temperato.

Il suonare a memoria non pare al pubblico un'impresa così impervia nel caso dei pianisti solisti: la “colpa” di questa prassi che a pensarci bene ha qualcosa di costrittivo e irrazionale, è tutta di Franz Liszt, che a metà Ottocento, dal quel virtuoso pazzesco che era, inventò letteralmente il “recital” pianistico, rovinando la vita a future generazioni di musicisti: recital inteso come spettacolare formula di concerti in teatri sempre più grandi in cui un lugubre pianoforte a coda è al centro della sala (a volte con con iettatorie composizioni floreali attorno) e il pianista suona a memoria un'ora e mezza di musica, quasi sempre altrui. Formula divenuta quanto mai familiare per i frequentatori di società di concerto, ma sicuramente non diffusa prima di Liszt. I pianisti, cioè, suonavano in pubblico, ma sempre assieme ad altri musicisti, con lo spartito, spesso offrendo partiture proprie sconosciute o eseguite per la prima volta, con spirito antidivistico e antispettacolare. Quello spirito che oggi non pochi cercano di ricreare anche in sala di concerto, magari intrattenendo amabilmente il pubblico, descrivendo le musiche eseguite, addirittura stabilendo un dialogo con l'uditorio.

Il recital pianistico brevettato da Liszt ha creato la figura del “concertista”, il mito del pianista solitario col suo strumento, arrovellato nella ricerca della perfezione e spesso ossessionato dal suonare a memoria. Quanti grandi talenti hanno dovuto rinunciare al concertismo per la memoria: “Potrei nominarne almeno una ventina più bravi di me che abitano a Mosca ma che non hanno fatto carriera perché non avevano memoria” disse una volta Vladimir Ashkenazy. Affermazione alla quale non facciamo fatica a credere, anche se dobbiamo registrare una quasi inversione di tendenza degli ultimi anni che vede un buon numero di concertisti dal successo internazionale che hanno smesso di suonare a memoria, conquistando una nuova libertà. Ricordiamo il caso leggendario di Sviatoslav Richter dei suoi ultimi vent'anni, e quelli più recenti di Ivo Pogorelich, Krystian Zimerman, Olli Mustonen e Alexander Tharaud.

Quello del duo Repin-Korobeinikov rimane un caso di rarità eccezionale, che all'ascolto dal vivo lascia letteralmente di stucco.

Non è frutto di un'illusione ottica, ed è abbastanza incredibile: senza l'obbligo della carta i due musicisti sembrano suonare meglio, respirare assieme, con un'unitarietà espressiva quasi impressionante. Succede subito nella mirabile condotta rapsodicamente improvvisativa della Sonata in sol minore di Debussy, per esempio, in cui lo stupendo Guarneri del Gesù di Repin sembra trasformarsi in un'emulsione sonora perfettamente amalgamata al pianoforte di Korobeinikov, in un magma sonoro unico in cui i disegni risultano vieppiù nitidissimi.

Forse ancor più stupefacente l'effetto nella Seconda Sonata in re maggiore op. 94 bis di Prokof'ev, all'origine per il flauto. Qui il suono e l'intonazione di Repin risultano spaziali, come spaziale è il dialogo serrato col pianoforte di Korobeinikov, che per conto suo esibisce una rotondità di suono davvero straordinaria.

Superato il quasi choc per la disumana coesione del duo che suona a memoria, nella seconda parte i due immensi artisti offrivano una prova di camerismo un po' più “umano”, riprendendo la carta entrambi per districare le note dei complicati quattro movimenti del Divertimento da Le Baiser de la Fée di Stravinskij (trascrizione d'autore realizzata in collaborazione con Samuel Dushkin) e di due rare pagine di Ciajkovskij, la Méditation da Souvenir d'un lieu cher op. 42 e Valse-Scherzo in do maggiore op. 34. Cioè dieci abbondanti minuti di musica romantica al cubo, un concentrato di tutti i topoi ciajkoskiani affrontati con trascendentale virtuosismo. Soprattutto la meditabonda Méditation, in cui Vadim Repin sposa il suo supremo virtuosismo strumentale ad un suono di vertiginosa bellezza e intonazione coadiuvato da un Korobeinikov in stato di grazia che sembra il suo guanto caldo, in un'intesa assolutamente perfetta. Due i bis da lasciare ancor più a bocca aperta, il secondo dei quali le Danze Rumene di Bela Bartók. 


 

 

 
 
 

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