L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Francesco Meli

Canto italiano

 di Giuseppe Guggino

Tra gli esponenti oggi più affermati del panorama tenorile Francesco Meli conquista il favore della sala del Piermarini con un recital sospeso tra frequentazioni per lui inusuali del repertorio da camera e un Wagner italianizzato. Successo di pubblico e bis.

Milano, 3 aprile 2017 - Una serata genuina e senza troppe sofisticazioni è il ritorno di Francesco Meli alla Scala con un recital accompagnato al pianoforte con grande perizia da Michele Gamba.

Si parte con i tre sonetti del Petrarca messi in musica da Franz Liszt dove si percepiscono le intenzioni di ricerca d’una grande varietà di accenti in una scrittura nella quale si riesce a far percepire la febbre romantica, con Gamba discreto ma preciso nel lenocinio pianistico tutt’altro che di disimpegno.

Il passaggio a tre dei sette sonetti di Michelangelo (Sì come la penna, Veggio co’ bei vostr’occhi e Spirto ben nato) vede un Meli piuttosto divertito nella ricerca di un’emissione quasi da haute-contre, ricerca che, va detto, ne rivela un po’ i limiti tecnici a fronte di un patrimonio naturale di assoluto rilievo. E se per le mezze voci il panorama internazionale odierno per la corda tenorile, fra un ex-mozartiano oggi prestato a Wagner e un ex-rossiniano prima ben versato su Verdi, di recente catapultato nella giovane scuola, non sia certamente più accattivante dello “sbadiglio” di Meli, la schiettezza interpretativa del nostro genovese gli consente di vincere facile nella seconda parte della serata.

Archiviata con simpatia la piccola lirica Se ‘l foco tutto nuoce su versi michelangioleschi composta per l’occasione da Luigi Maio in uno stile evidentemente debitore a Nino Rota, la temperatura si surriscalda con tre pezzi “atmosferici” di Ottorino Respighi (Nebbie, Pioggia e Nevicata), non estranei ad una certa estetica francese di primo Novecento. Avanti, Urania! è una guasconata pucciniana qui resa con la giusta tracotanza, al pari della pertinenza della delicatezza riservata al cameo di Sogno d’or, che si salda perfettamente alla seguente Ninna nanna del Tosti, compositore al quale è dedicato ampio spazio successivamente con le Quattro canzoni d’Amaranta, probabilmente il ciclo reso al meglio dell’intera serata. Le ultime due puntate operistiche sono un assaggio di piatti troppo improbabili: quindi ben vengano "La dolcissima effigie" dall’Adriana e il congedo di Lohengrin nell’italico idioma, purché rimangano capricci da concerto.

Il pubblico, caloroso durante tutta la serata al punto da inframezzare con applausi i vari pannelli del medesimo ciclo (con annessi zittii: ma quanto intellettualismo in quel di Milano per un genuino concerto da camera!), è premiato da un congruo numero di bis. La ruffianata de ‘A vucchella, un "Ah, sì ben mio" (senza “pira”) inficiato da un piccolo pasticcio mnemonico benevolmente salutato dalla sala, La danza dalle Soirée musicales rossiniane e, per finire, "Una furtiva lagrima".

Applausi convinti: a volte l’onestà di una carriera onorabile paga più dell’ingegneria del marketing e della comunicazione.


 

 

 
 
 

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