Images di matura gioventù
di Roberta Pedrotti
Ventitré anni compiuti da due giorni, Seong-Jin Cho debutta nella città petroniana nel ciclo Grandi Interpreti del Bologna Festival e dimostra già una spiccata affinità con il linguaggio di Debussy.
BOLOGNA, 30 maggio 2017 - Trionfatore assoluto all'ultimo concorso Chopin di Varsavia, astro nascente già vezzeggiato nel mercato discografico e nella programmazione concertistica, Seong-Jin Cho arriva a Bologna circondato da febbrile attesa e alte aspettative. Mozart, Debussy e Chopin promettono un biglietto da visita eloquente per il giovanissimo coreano, che si presenta sul palco serio e concentrato quanto sicuro, l'immagine di un artista già ben formato e strutturato nonostante l'età e la carriera ancor breve.
Quando posa le mani sulla tastiera, la sensazione di un controllo ferreo e consapevole, ben lontano dall'esuberanza ai limiti dell'esibizionismo di altri giovani colleghi, si conferma nel suo fraseggio e nella gestione del suono.
Controllatissimo è il suo Mozart, ma finisce per esserlo perfino troppo quando il secondo tema del primo movimento della Sonata n. 12 in fa maggiore K 332 non respira in contrasto con il precedente, non costruisce una dialettica, ma pare frenare spasmodicamente la propria naturale propulsione, né l'elegante pulizia del suono o la cura attenta del dettaglio s'illuminano di una qualche luce peculiare, restando in attesa di una più compiuta ed efficace definizione interpretativa del linguaggio tastieristico del Salisburghese da parte del giovane coreano.
Forse ancora un po' freddo, forse ancora non perfettamente padrone del repertorio mozartiano, Cho sembra rinfrancarsi con Debussy, convincendo sempre più man mano che avanzano i due libri delle Images. Qui la precisione del pianista, la sua eleganza, la sensibilità e la misura nell'articolare la frase e nel diluirla mantenendo sempre il dominio complessivo lo portano agli esiti forse più alti della serata. I modi armonici e melodici di un autore che gli pare decisamente congeniale sono esposti con chiarezza e senza enfasi. Con il tempo potrebbe osare affinando qualche colore in più, ma già ora il suo approccio all'autore dimostra un'affinità elettiva assai ben coltivata.
In Debussy l'acquarello funziona in maniera impeccabile, ma lo Chopin delle Ballate, senza un'accentuazione un po' più mordente nella mano destra, rischia di risultare lievemente monotono, di perdere di spessore, dinamica, eloquenza. Stasera la tavolozza di Cho sembra contemplare una gamma ben scelta, d'ottima qualità, ma non particolarmente ampia, piacevole ma non intrigante, destinata sicuramente a far splendida mostra di sé in disco, ma forse bisognosa di conquistare – o rivelare – maggior pregnanza nell'ascolto dal vivo. Si tratta di dettagli, dettagli minimi ma che possono fare la differenza, perché il nostro dimostra di essere un buon musicista, di avere già acquisito una sua maturità e di non essere, nonostante la tecnica sicura e consapevole, una semplice macchinetta di precisione. Anzi, un pianista dal tocco tanto esatto è ancor più significativo e gratificante che non si sia voluto convertire a un vuoto virtusismo, a patto, però, che tecnica e sensibilità continuino a svilupparsi di pari passo in una ricerca artistica continua, in un inesausto stimolo reciproco fra mezzi e fine. I presupposti, ci sono, anche per il gusto accorto con cui la sua esattezza, invece di abbagliare, ha saputo prender per mano la misura in una danza delicata in cui parevano proteggersi a vicenda, non svelar troppo le proprie carte, né tantomeno i punti deboli, sapendo di poter vincere con il proprio intrinseco, discreto fascino.
Infatti gli applausi sono copiosi, copiosi e meritati perché Cho è senz'altro un ottimo pianista, sorprendente per serietà e gusto in rapporto all'età, anche se magari, questa sera, ci si aspettava qualcosa in più, un tramutare la cura indubbia e sapiente del dettaglio nell'arte sottile di un cesello fantasioso e intrigante.
Anche i due bis confermano l'impressione: Schubert (un Momento musicale) è suonato benissimo, con eleganza delicata ma non evanescente, la rielaborazione dalle celeberrime Danze ungheresi di Brahms gli permette di giocare con virtuosismo, variazioni dinamiche, acciaccature e appoggiature con grande nonchalance, senza sbagliare un colpo pur evitando effetti pirotecnici.
Indubbiamente ci troviamo di fronte a un artista preparato al meglio, dotato di gusto e di intelligenza, già ben consolidato, al punto che vien da chiederci quanto le sue doti potranno svilupparsi in futuro, quanto di quello che ascoltiamo ora è già al culmine di una (precoce) maturità. In ogni caso resta la curiosità di risentirlo in futuro per saggiarne con maggior completezza la personalità artistica.