Intorno a Čajkovskij
di Roberta Pedrotti
Beatrice Rana e Michele Mariotti al Teatro Comunale sono protagonisti di un riuscito programma monografico dedicato a Čajkovskij.
BOLOGNA, 28 giugno 2017 - A ventiquattro anni, Beatrice Rana torna, se la memoria non inganna, per la terza volta a Bologna: dopo il debutto nel festival Pianofortissimo e il recital per Musica Insieme [leggi la recensione], eccola finalmente anche con orchestra, a recuperare il concerto che si sarebbe dovuto tenere lo scorso settembre per il cartellone sinfonico del Teatro Comunale.
Nel suo elegante abito nero, lungo non troppo austero, l’astro nascente del pianismo italiano attacca con risolutezza il Primo Concerto di Cajkovskij e ne reinventa l’enfasi con intelligenza. La condensa in un suono incisivo penetrante, ma asciutto, quasi nudo, non privo di corpo e vigore, né di colore, eppure quasi radiografato nella sua essenza meccanica. Pulito, solo, forte e delicato, è un suono che già di per sé esprime l’inquietudine profonda che pervade tutta l’opera di Čajkovskij e che Beatrice Rana sa dipanare nei ripiegamenti del melos, in scatti combattivi, tensioni e distensioni sempre perfettamente controllate in un fluire unico, coerente e mobilissimo. Ne deriva un dialogo assai ben articolato con l’orchestra, un rapporto fra individuo e massa complesso, conflittuale, ma sempre ben a fuoco anche e soprattutto nelle scelte di colore e dinamica, per una forza puntuale che rifugga ogni retorica e magniloquenza. Beatrice Rana e Michele Mariotti sembrano perfettamente affiatati e il complesso del Comunale ben concentrato, efficace anche nelle sezioni più delicate di legni e ottoni, che non si esprimono tanto in suadente bellezza timbrica, quanto in una puntualità un po’ ruvida che si addice perfettamente a questa lettura intima e tormentata, aguzza e impellente.
È un diluvio di applausi, che Beatrice Rana ripaga con due bis, la Toccata da Pour le piano di Debussy e la trascrizione lisztiana di Widmung di Schumann: nel primo ammiriamo ancora una volta la lucidità dell’articolazione, la capacità di cantare con asciuttissimo rigore, d’inventare un lirismo quasi spigoloso e per questo particolarmente intrigante; nel secondo vediamo proprio predominare questa stessa cantabilità che si scioglie melanconica nei preziosi lampi del filtro pianistico di Liszt.
Tornano Mariotti e l’orchestra, dopo l’intervallo, si rende omaggio al violoncellista Giorgio Cristani, al suo ultimo concerto prima della pensione, e si prosegue nel percorso intorno al Čajkovskij poco più che trentenne con la sua Seconda Sinfonia, Piccola Russia (che tuttavia conosciamo solo nella revisione di una decida d’anni posteriore). Se nel Concerto si respirava il turbamento nel rapporto con la società, qui è il confronto con le radici slave il nervo scoperto per il giovane Pëtr Il'ič, che dedica il suo lavoro all’Ucraina, allude più o meno velatamente alle tradizioni musicali di quelle terre, ma aspira sempre a un modello classico. Il Fanciullo di vetro amava Mozart, ma la sua musa non sapeva guardare a Ovest dimenticando quel che la circondava, il mondo da cui era venuta, e non cessava d’interrogarsi, cercar soluzioni e sintesi, tant’è vero che, a dispetto della fama di filoccidentale di Čajkovskij, il Gruppo dei Cinque salutò con favore quest’opera così intessuta di canti e danze popolari. E, in effetti, più che il turbamento, prevale qui la volontà positiva del compositore nell’organizzare la materia ed esporla con tratti perfino esuberanti, certamente imponendo notevoli difficoltà tecniche all’orchestra. La lettura è idealmente coerente con il Concerto della prima parte: l’orchestra è attenta e precisa, reattiva e ricettiva; il fraseggio è mobile e chiaro, le dinamiche fluide e adeguatamente contrastanti, né manca nei colori un sapore rustico che ben si confà alla radice popolare di temi e ritmi.
Gran successo per un programma monografico accattivante e servito a dovere da tutti gli interpreti.
foto Rocco Casaluci