L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La magia del due

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia vede Daniele Gatti sul podio a dirigere un concerto monografico dedicato a Johannes Brahms: sono eseguite la Seconda sinfonia e il Secondo concerto per pianoforte. Al pianoforte siede il poetico Yefim Bronfman. La serata è un successo.

ROMA, 5 maggio 2019 – Con un concerto monografico su Johannes Brahms, Daniele Gatti torna all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che per lui è come un ritorno a casa. Brahms, inoltre, è un autore prediletto: Gatti, infatti, ha già diretto qui sia il Secondo concerto, nel 1996 con Pletnev al pianoforte, che la Seconda sinfonia, nel 1995. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che il concerto sia stato un successo. Gatti ha saputo dirigere gli Accademici come meglio non si potrebbe, valorizzando l’aspetto cui lui tributa, forse, sempre le maggiori attenzioni e cure: la purezza di un suono terso, la chiara distinzione dei piani strumentali dell’orchestra, che nella pagina orchestrale danno vita a un tessuto sonoro di inconfondibile morbidezza.

Il primo tempo del concerto ha visto l’esecuzione del Concerto n. 2 in si bemolle maggiore op. 83 per pianoforte e orchestra; alla tastiera siede Yefim Bronfman, pianista celebre per il suo tocco etereo. Gatti e Bronfman hanno un’intesa perfetta: lo dimostra anche una tournée scandinavafatta assieme in questa stessa stagione concertistica. Il Secondo concerto di Gatti e Bronfman fa scoprire vene fatate nella musica brahmsiana che più di rado emergono, in tutta la loro vividezza, in altre esecuzioni. L’attacco del I movimento, in cui il pianoforte entra seguìto dall’orchestra, mostra quanto Bronfman sia attento alla consistenza tattile del suono: per lui i vari passaggi in verticale, gli accordi spezzati variamente mescolati, le melodie che Brahms dissemina in questo Allegro ma non troppo sono tutti letti con i guanti di velluto. Il che non è una scelta scontata né banale: sono diverse le esecuzioni che lasciano maggiormente emergere le tensioni di cui il movimento (anzi l’intero concerto) è pervaso, con gesti maggiormente muscolari. Bronfman – per così dire – ci sta raccontando una romantica fiaba, almeno a tratti. Gli elementi più energici emergono per una spinta lievemente maggiore della tastiera, sempre trapunti in un linguaggio trasognato, classicheggiante. L’orchestra accompagna come meglio non si potrebbe; Gatti dilata il suono per permettere, appunto, all’esecutore di far emergere questo suo lato sensibilmente tattile. Nell’Allegro appassionato (II) Bronfman dà ancora prova delle sue qualità di pianista dal tocco veloce, rapido, ma anche mellifluo: lo Scherzo scorre brillante, accattivante, mercé ancora l’ottima intesa con l’orchestra. La massima sovrapposizione fra le doti naturali di Bronfman, l’estetica di Gatti e la musica di Brahms si realizza pienamente nell’Andante: la rugiadosa melodia del pianoforte (ma non si dimentichi quella celebre del violoncello in apertura, splendidamente eseguita da Luigi Piovano) è cullata da un tessuto orchestrale raffinatissimo, che crea delle atmosfere sospese, un omaggio alle sonorità del primo Romanticismo. Nel Finale, dagli accenti ungheresi, Bronfman dà prova di essere un virtuoso agile e incisivo, ove Gatti imprime un ritmo calzante all’ethos del pezzo, che consente comunque di non ‘tirar via’ neanche una nota. Il pubblico applaude calorosamente un’eccellente esecuzione.

Nel secondo tempo, Gatti legge la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 con il rigore formale che tutti conosciamo appartenergli e con quello spirito lirico che traluce nelle maglie del suo gesto sintetico ma pregno di significato. L’Allegro non troppo emerge vividamente sia nella sua anima cantabile, che trae linfa vitale da suggestioni romanticamente naturali, sia in momenti di pura sospensione lirica: è un ottimo esempio, il primo movimento, delle precipue qualità di Gatti, nonché dell’arte degli Accademici. Nell’Adagio non troppo (II) Gatti fa uscire appieno quel lirismo che gli è connaturato, lui che è un cesellatore nato del suono: «dietro tanto lirismo e tanto pudore, non manca di riconoscere come anche qui Brahms faccia comunque parte di un settore della spiritualità tardoromantica meno sicuro di sé e regressivo di quanto non si sia soliti riconoscere» (D. Spini, dal programma di sala). Giustamente famoso lo Scherzo (III), che Gatti fa guizzare ritmicamente, donandogli smalto e carattere. Il direttore chiude con uno statuario Allegro con spirito (IV), una sintesi e ricapitolazione finale del materiale sinfonico: gli applausi scattano fragorosi, a chiudere un ottimo concerto.

foto Musacchio, Ianniello Pasqualini


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