L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il binomio perfetto

di Antonino Trotta

Regio Metropolitano volge quasi al termine e nel penultimo concerto della rassegna itinerante, in attesa di ritornare tra i velluti della sala del Mollino, s’impone come protagonista il virtuosismo pianistico di Giuseppe Albanese.

Torino, 15 gennaio 2022 – Chopin e Liszt sono senza dubbio le colonne portanti del pianismo moderno. Entrambi seppero condurre la scala d’avorio ai limiti della proprie capacità espressive, scolpire nella pietra i canoni di due stili che sfameranno generazioni e generazioni di musicisti a venire, innovare e rinnovare l’arte della tastiera non solo nell’approccio tecnico ma anche nel modo di concepire e utilizzare lo strumento, fondando così due scuole che, pur coeve e ispirate dagli stessi ardori romantici, si consolidano nell’immaginario collettivo come radicalmente diverse: Chopin intende il pianoforte in funzione di un intimismo che rifiuta ogni tipo di perorazione oratoriale e retorica, Liszt invece vi riversa una marea di effetti timbrici e coloristici senza precedenti. In concerto creano così un binomio perfetto e micidiale: l’interprete ha davanti a sé la possibilità di giocare tutte le sue carte, ma dovrà trovare la quadra tra la sensazione di onnipotenza che Liszt ti concede e la delicata riservatezza che Chopin ti impone. Nell’ambito della rassegna Regio Metropolitano, Liszt e Chopin si avvicendano nella prima parte di un concerto, ospitato dal conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, che all’arduo cimento invoca Giuseppe Albanese.

Malédiction per pianoforte e archi è il classico pezzo da concerto alla Liszt, carico di titanismo scalpitante e focoso, visionario nelle bizzarrie di un dettato estroso e innovativo, teso dall’accesa frizione tra i momenti di evasione lirica, le impennate di slancio drammatico, i ripiegamenti sornioni e umoristici. Imperioso negli accenti iniziali, elettrizzante nei passaggi di bravura tanto quanto raffinato nel melodiare, Albanese si districa con estrema disinvoltura in questo che sembra essere il suo territorio d’elezione, ora per le risposte sempre esaurienti alla domande tecniche, ora per lo spirito con cui queste sono enunciate. Il suo virtuosismo non soffoca la nobiltà di intenzione e l’eleganza del fraseggio, specie nella sezione centrale, né sembra mai peccare di godereccia autoreferenzialità; è lo strumento, sacrosanto, per addentrarsi in quel mondo di atmosfere iperromantiche che solo Liszt è capace di dipingere, un mondo sì descritto a suon di prodezze, pieno però di idee e di sostanza.

Interessante, poi, è l’approccio al secondo concerto per pianoforte, qui nella versione per orchestra d’archi, di Chopin. Di Albanese colpisce, più di ogni altra cosa, il modo di eseguire le fioriture – che il Polacco eredita dal Belcanto nostrano – per certi aspetti quasi lisztiano. Allo sciorinamento perlaceo e nitido, all’involo trasognante e disincantato, egli predilige ancora l’effetto d’insieme, la volata leggiadra e repentina, il pulviscolo fitto e scintillante che qui e là illumina un paesaggio altrimenti drammatico e ombroso – a eccezione del Larghetto centrale, dove si procede secondo i crismi della cantabilità chopiniana –, accentuato com’è in una lettura che non ama elucubrare e viaggia decisa lungo tutta l’arcata del concerto. Applauditissimo, Albanese concede un bis in chiusura della prima parte, il notturno in do diesis minore.

La seconda parte della serata è invece dedicata alla sinfonia n. 29 in la maggiore K 201 di Mozart. Quadrata, incalzante, forse non fantasiosa nel fraseggio intavolato ma certamente efficace nei giochi imitativi, nei contrasti dinamici, nella valorizzazione di colori e timbri, Alvise Casellati, alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino, dirige la sinfonia con buon mestiere, assicurando così una bella chiusura di serata.

Regio Metropolitano volge quasi al termine, a fine gennaio si potrà ritornare tra i velluti della sala del Mollino. Non vediamo l’ora.


 

 

 
 
 

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