L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le luci di MITO

di Antonino Trotta

Si accendono i riflettori sull’edizione 2022 di MITO SettembreMusica: nella serata inaugurale John Axelrod guida gli eccellenti complessi della Philharmonia Orchestra attraverso pagine di Mason, Grieg e Rimskij-Korsakov.

Torino, 5 settembre 2022 – È tempo di ritornare, finalmente, alle gran belle vecchie abitudini: orchestre in pompa magna, ospiti internazionali, platee, piccole o grandi che siano, riempite fino all’orlo. È evidente: la Luce che quest’anno ispira MITO SettembreMusica non fa solo riferimento all’infinito spettro di colori a cui la musica attinge, al bagaglio emotivo che la presenza o meno di essa in una partitura accende, ma è anche quella sensazione di ariosa libertà con la quale s’è costruita e con la quale si potrà godere dell’edizione 2022 del festival. Edizione che la Philharmonia Orchestra, diretta da John Axelrod, inaugura con un trionfale concerto all’Auditorium Giovanni Agnelli di Torino.

La serata si apre con la prima esecuzione italiana di The imagined forest della giovanissima Grace-Evangeline Mason, un poema sinfonico in cui il potere evocativo della natura è reso a mezzo di raffinate soluzione timbriche. La mancanza di un percorso nitido tra le fratte di quest’irreale selva, tutta illusioni e allusioni, non disorienta Axelrod che dirige la partitura con grande pathos – la Philharmonia, eccellente nelle sue prime parti, lo consente –, tracciando una curva drammatica che impone fin da subito sincere ovazioni.

Con la suite n. 1 op. 46 dalle musiche di scena di Peer Gynt di Grieg il gesto di Axelrod si fa più molto più asciutto, il fraseggio a tratti essenziale, e se Morgenstemning risulta meno tiepido, carezzevole, e in definitiva inebriante di quanto si è abituati ad ascoltare, la morte di Åse, senza dubbio la pagina meglio concertata dell’intera suite, appare come valorizzata da questa nobile sobrietà che, per tutta l’arcata cupa e drammatica del movimento, riesce a confinare il dolore per la perdita della madre in una dimensione assolutamente intima e privata, in uno spazio in cui la sofferenza brucia ma non abbaglia, su di un piano che inevitabilmente coinvolge e commuove. In punta di fioretto ed elegantemente cesellata è poi la Danza di Anitra che tempera la sala per il gagliardo e prorompente quadro finale, I Dovregubbens hal, dove nemmeno qualche accelerando consumato in maniera eccessivamente frettolosa smorza l’eccitazione ritmica che il movimento è chiamato a suscitare.

È però con Shéhérazade, suite sinfonica op. 35 di Rimskij-Korsakov, che la serata prende definitivo il volo: ritroviamo qui un Axelrod ispiratissimo nelle dinamiche e nel fraseggio, un’orchestra in grado di raffigurare di volta in volta mille e un colore differenti. Con la mente sgombera dalla retorica del virtuosismo iridescente e sterile, Axelrod guida gli agguerriti complessi della Philharmonia con eccezionale capacità descrittiva, dimostrando ovunque attenzione e cura al dettaglio strumentale, alla filigrana melodica, alla sfumatura timbrica che qui non sono mai accessori ma elementi portanti dell’intera narrazione, tutta un susseguirsi di immagini sempre ritratte con contezza di stile e raffinatezza espressiva. Così i quattro quadri – Il mare le la nave di Sinbad, La storia del principe Kalender, Il giovane principe e la giovane principessa, Festa a Bagdad. Il mare. Il naufragio – si susseguono con sicurezza e fluidità lungo una parabola teatrale che non sembra mai interrompersi e che, in definitiva, trasforma quei quarantacinque minuti di ascolto in un sogno ad occhi aperti.

C’è tempo per un bis, la Polacca dall’Onegin di Čajkovski, poi tripudio, strameritato, di applausi da parte di un auditorium affollato persino nelle ultime file. Buon MITO a tutti.


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