Marina/Maria
di Luigi Raso
Prima italiana - a lungo attesa e posticipata a causa della pandemia - per 7 Deaths of Maria Callas di Marina Abramović, con un cast di sette voci femminili (Selene Zanetti, Valeria Sepe, Annalisa Stroppa, Jessica Pratt, Roberta Mantegna, Nino Machaidze e Kristine Opolais) ad alternarsi in arie interpretate dall Divina.
NAPOLI 13 maggio 2022 - Il teatro e la vita, per Maria Callas, furono la stessa cosa. Tante volte morì in scena per amore che il Destino apprestò a lei, visceralmente greca, una morte da eroina del melodramma: di crepacuore, per consunzione d’amore, nella solitudine del lussuoso appartamento in Avenue Georges Mandel 36 in quel “popoloso deserto che appellano Parigi”, come afferma Violetta, uno tra i più iconici dei personaggi interpretati. La fase finale della vita di Maria Callas, ultimo atto di quella identificazione tra vita e arte, tra donna e artista, è il perno intorno al quale ruota l’opera performativa, cinematografica e musicale con la quale Marina Abramović ha inteso omaggiare il mito Maria Callas.
7 Deaths of Maria Callas, presentato in prima italiana questa sera al Teatro San Carlo - dopo il debutto nel 2020 a Monaco di Baviera, lo spettacolo è stato ripreso alla Deutsche Oper di Berlino, all’Opera di Atene e all’Opéra Garnier di Parigi - si presenta come una silloge di performance, diverse nei mezzi ma recanti tutte stile e firma di Marina Abramović. Performance teatrali, brevi filmati che vedono protagonisti la stessa Abramović e l’attore Willem Dafoe, le musiche firmate da Marko Nikodijević che creano l’atmosfera rarefatta che introduce le sette arie legate al repertorio di Maria Callas, sono l’ossatura dello spettacolo: su tutto, a dominare, vi è la personalità e l’ego di Marina Abramović . Sulla scena, la regina della performance art si impossessa degli ultimi momenti di Maria Callas; le ridona vita, pensieri, ricordi ed emozioni, il tutto declinato secondo il proprio personale stile artistico. Quanto c’è di Maria Callas e quanto di Marina Abramović in questo spettacolo?
Sin dall’inizio, l’appropriazione da parte di Marina Abramović della figura di Maria Callas appare totalizzante, così tanto da relegare perfino l’aspetto musicale al ruolo di contorno del concetto artistico dell’Abramović . E così le sette arie interpretate da sette soprani (più correttamente, sei soprani e un mezzosoprano) finiscono quasi a far da colonna sonora ai brevi film che si susseguono nel corso della prima parte dello spettacolo. L’introduzione orchestrale di Marko Nikodijević ha il compito di indicare la tinta emotiva giusta allo spettacolo, evocare celebri temi operistici e, soprattutto, di preparare alla parata di arie e star.
Ma prima di parlare degli interpreti di 7 Deaths of Maria Callas è doverosa una precisazione.
Recensire le prestazioni artistiche delle interpreti di questo spettacolo sulla base dell’interpretazione di una sola aria - per di più estrapolata dal contesto teatrale nel quale è collocata, prosciugata dal climax emotivo che la precede - ci espone, proprio per l’atipicità dei questo spettacolo rispetto all’opera lirica e al recital vocale, al rischio di involontari errori di valutazione. Premettere ciò, ammettendo i limiti di un giudizio basato sull’ascolto di un’unica aria, appare a chi vi scrive il doveroso segno di rispetto nei confronti di artiste che hanno costruito negli anni, con sacrificio, studio e dedizione, prestigiose carriere. Per adoperare una similitudine calcistica, sarebbe come voler giudicare la prestazione di un calciatore entrato in campo all’85’ sulla base di un calcio di rigore decisivo in una finale di un torneo. Se non si giudica un calciatore da un calcio di rigore, non si giudica un artista lirico dall’ascolto di una sola aria.
La prima eroina che appare in scena è Violetta Valéry; Selene Zanetti interpreta "Addio, del passato" con timbro suggestivo e buon spessore vocale; la lettura è tendenzialmente corretta, ma, probabilmente perché l’aria è avulsa dal contesto nel quale è inserita, l’interpretazione non denota partecipazione emotiva tanto marcata.
Valeria Sepe è una Floria Tosca volenterosa in "Vissi d’arte"; tuttavia attualmente l’aria ci appare non del tutto congeniale alla sua organizzazione vocale.
La parte di Desdemona è una di quelle che non furono mai interpretate integralmente dalla Callas; di essa ci resta un’incisione della Preghiera del IV atto. A Nino Machaidze è affidato il compito di interpretare l’intensa "Ave Maria" dall’Otello di Verdi: un quasi-debutto nella parte della Desdemona verdiana per il soprano georgiano. Il risultato è un’interpretazione raffinata, un’esecuzione sfumata, sussurrata che ben ci fa intravedere le potenzialità espressive che sarebbero emerse dall’ascolto integrale della parte.
Kristine Opolais, al suo debutto al San Carlo, dà voce a Cio-Cio-San per Un bel dì, vedremo: il timbro non può sfoggiare lo stesso fascino della figura, ma la voce si impone per il notevole peso specifico e la buona proiezione. Anche la Opolais è poco sostenuta, al pari delle altre interpreti, dalla direzione anonima di Yoel Gamzou, il quale nel corso della prima parte dello spettacolo si dimostra avaro nella ricerca di soluzioni interpretative originali.
Carmen è parte che Maria Callas mai portò in scena; della sigaraia gitana ci resta la tardiva, seppur suggestiva, incisione diretta da un ispiratissimo Georges Prêtre.
È il caldo e bel timbro vocale di Annalisa Stroppa ad affrontare una Habanera corretta, benché non ammantata dalla giusta dose di quell’alone di sensualità che il brano richiede. Ma su questo aspetto, si rimanda a quanto premesso prima di addentrarci nella disamina delle singole arie.
A distanza di quasi quattro mesi dalle fortunate (e fortunose: a causa dell’improvvisa sostituzione della collega Nadine Sierra) Jessica Pratt torna al San Carlo per dar voce a Lucia di Lammermoor, opera che Maria Callas interpretò al San Carlo nel 1956. La Scena della pazzia è l’occasione per la Pratt di sfoderare il proprio agguerrito armamentario vacale composto da acuti, sovracuti, colorature, bel legato. Il sovracuto finale è salutato da applausi scroscianti, gli unici ad interrompere l’unitarietà drammaturgica della performance della Abramović .
A chiusura della prima parte dello spettacolo (che non prevede intervallo, ma è composto da due parti facilmente individuabili) la cavatina che è più legata al mito di Maria Callas, "Casta Diva", affidata a Roberta Mantegna, oggi ben più che di una promessa del panorama lirico. La Mantegna affronta la cavatina con tendenziale correttezza, pur emergendo un vibrato talora eccessivamente pronunciato.
La seconda parte della spettacolo ci porta nella camera da letto del lussuoso appartamento di Avenue Georges Mandel. La ricostruzione dell’ambiente è certosina. Maria Callas/Marina Abramović (rectius, Abramović /Maria Callas) rievoca, i propri ricordi, riguarda le vecchie foto. La fine si avvicina in un microcosmo di solitudine. Gli amici e gli amori di un tempo sono lontani: “Ari”, Aristotele Onassis, non c’è più. La musica di Marko Nikodijević costituisce il perfetto pendant ai testi di Marina Abramovich; il Coro femminile, istruito da José Luis Basso con la consueta cura, contribuisce a foggiare atmosfere sonori cangianti, evanescenti e indefinite. Suggestivi i colori che Yoel Gamzou estrae dall’Orchestra del San Carlo, la cui concertazione si dimostra più analitica e varia rispetto all’accompagnamento generico e privo di tensione espresso nelle sette arie.
Nel finale, le sette artiste diventano l’alter ego della signora Bruna, la fedele governante della Callas: quando la Divina abbandona definitivamente l’appartamento, a loro è affidato il compito di rifare il letto, velare di nero specchi, poltrone, sedie, pulire la stanza, spolverare le suppellettili e, infine, spegnere la luce, consegnando quella casa al buio della morte.
L’emozione più intensa dello spettacolo ce la riserva il finale: Marina Abramović guadagna la ribalta indossando un abito color oro, in teatro si ascolta la voce della Callas intonare "Casta Diva" accompagnata dall’orchestra del San Carlo: per chi non ha avuto la fortuna di ascoltarla dal vivo, questa è l’occasione per immaginare come doveva risuonare a teatro la voce della Divina.
Applausi fragorosi e prolungati salutano tutti, con ovazione finale per Jessica Pratt. Marina Abramović invita il pubblico ad “appoggiare una mano sulla spalla di chi avete accanto, chiudere gli occhi e pensate a questa guerra, al popolo ucraino”. Una preghiera laica di un minuto per il popolo ucraino da parte di un’artista che si è schierata da subito contro l’invasione voluta da Putin.