Konstanze al Ritz
di Fabiana Crepaldi
Un ottimo cast e un'intelligente regia garantiscono il successo del Singspiel mozartiano a San Paolo del Brasile.
SAN PAOLO DEL BRASILE 28 e 30 aprile 2023. "Il Ratto dal Serraglio è preceduto da una piccola ouverture in do maggiore, che è estremamente ingenua e produce poco scalpore perché il pubblico non vi ha quasi prestato attenzione. Non va presa male, anzi è un complimento per il pubblico, perché, in effetti, se posso parlare francamente, il padre Leopold Mozart, invece di piangere di ammirazione, come era suo solito, per questa ouverture del figlio, avrebbe fatto meglio a bruciarla e a dire al giovane compositore: 'Figlio mio, hai appena prodotto un'ouverture piuttosto ridicola (...)'". Così scriveva l'irriverente Hector Berlioz il 19 maggio 1859, commentando il Singspiel Die Entführung aus dem Serail di Mozart.
Berlioz si sarebbe trovato a disagio con la musica "turca" dell'apertura, o forse con la citazione della prima aria di Belmonte, "Hier sol ich dich denn sehen", che vi compare e che segue l'ouverture senza interruzioni. Quali siano state le motivazioni di Berlioz, mi è tornato in mente quando ho assistito a una bella rappresentazione dell'opera, il 28 e 30 aprile scorsi, al Theatro São Pedro: lo avrebbe divertito l'ingresso di un gruppo (che, dopo le grida, identificheremo come paparazzi) che correva e urlava, trasformando la musica in una colonna sonora d'azione, non appena l'ouverture ha ripreso il frenetico tema "turco". Mi unisco al coro di coloro che pensano che le grida non fossero necessarie, anche perché il pubblico si è sentito libero di commentare ad alta voce la scena.
Nella produzione firmata da Jorge Takla e Ronaldo Zero, presentata al São Pedro, l'azione si svolge ai giorni nostri. Come ha spiegato Takla sui social network del teatro, l'obiettivo non era quello di modernizzare, ma di immortalare: "Le questioni sollevate dai dialoghi di Mozart e del suo librettista sono estremamente attuali. Parliamo di molestie morali e sessuali, di maschilismo, di repressione delle donne... Sono temi ancora molto attuali", ha detto. Takla ha trasportato l'azione in un hotel iconico di Parigi: il Ritz. È lì che Konstanze, membro dell'alta società spagnola, viene fatta prigioniera da Selim Pascià, proprietario dell'hotel. Parigi è uno dei simboli dell'Illuminismo, che ha lasciato forti tracce nell'opera di Mozart. E non è vano quel sentimento di atemporalità, quel desiderio di eternità sottolineato da Takla: come afferma Charles C. Ford in Music, Sexuality and the Enlightenment in Mozart's Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte, fu proprio nel periodo illuminista che si stabilirono, "attraverso dibattiti scientifici e filosofici, gli assiomi e i presupposti, la logica e i pregiudizi dell'odierno 'senso comune'", quel "corpo di conoscenze apparentemente così immediato e primario da non meritare alcuna attenzione critica". L'attualità dell'opera va quindi oltre il tema della donna. Devo confessare che questo cambiamento di tempo e di spazio mi ha dato un grande sollievo: mi sono sentita liberata da quegli stereotipati costumi "turchi" e kitsch che spesso mi privano del piacere e del flusso dell'opera di Mozart. Invece, abbiamo avuto i costumi di gusto di Fábio Namatame e l'eccellente trucco di Tiça Camargo. All'epoca di Mozart, quando l'Impero Ottomano era sia una minaccia sia un feticcio, questi stereotipi avevano un senso; oggi no.
Anche dal punto di vista scenico questo spostamento ha avuto un impatto: la risata facile, basata proprio su stereotipi superati, sulla presa in giro di altre culture - altra cosa che spesso mi allontana dallo spettacolo - è stata sostituita da un teatro che, pur essendo un po' caricaturale, non è caduto in esagerazioni di cattivo gusto. I dialoghi erano tutti in portoghese e sono stati efficaci, in quanto tutti i cantanti sono riusciti a parlare molto bene, con scioltezza, voce ben proiettata, buona dizione, in modo molto comprensibile. Non è stato il tipo di spettacolo per cui abbiamo rimpianto l'assenza di sottotitoli.
Sul bellissimo e impeccabile impianto scenicodi Nicolás Boni - un vero artista di cui conosciamo il lavoro fin dal suo debutto a San Paolo, nel 2013, al São Pedro, in The Turn of the Screw di Benjamin Britten, e che sta acquisendo sempre più fama internazionale - vediamo a volte la reception del Ritz, a volte la stanza di Konstanze e, attraverso le finestre, la Place Vendôme, una delle cartoline di Parigi, capitale dell'Illuminismo.
Quando penso al Ritz, mi vengono subito in mente le grandi personalità, i grandi artisti, che vi hanno soggiornato o addirittura vissuto per qualche tempo. La presenza dei paparazzi ci fa pensare alla principessa Diana e al suo fidanzato Dodi, figlio di Mohamed Al- Fayed, ma non posso fare a meno di pensare a un'altra famosa ospite del Ritz: Maria Callas, la Divina, che si era data anima e corpo ad Aristotele Onassis, allo stesso tempo idolatrata e vittima di un modello sociale che metteva sotto pressione le donne, che si lasciavano sedurre, rapire, annientare. A differenza di Konstanze, quella bellissima creazione di Mozart, Maria Callas non dominava i suoi sentimenti: ne era dominata. È come se Konstanze fosse rimasta intrappolata nel Ritz per rivisitare e purificare le ferite della Callas.
A questo riferimento e al ricordo della grande diva della storia dell'opera contribuisce il fatto che la Konstanze al Ritz di San Paolo è stata interpretata da una vera diva: Ludmilla Bauerfeldt. Con una voce capace di stupire il pubblico locale, poco esposto a grandi voci, grande tecnica, elegante e impressionante presenza scenica, la Bauerfeldt è stata una Konstanze degna del genio di Mozart. Il soprano ha una formazione teatrale, ha trascorso tre anni all'Accademia della Scala, dove si è diplomata una decina di anni fa, ed è appena stata invitata in un'opera in un teatro di San Paolo.
La prima volta che l'ho vista è stato nel 2019, in un concerto con l'Orchestra Sinfonica di San Paolo (OSESP), in una trascrizione per soprano e orchestra di alcuni Lieder di Brahms a cura del compositore brasiliano Flo Menezes. Ricordo che rimasi colpita da questo soprano di cui non avevo mai sentito parlare, né sapevo che fosse brasiliana. La grandezza della sua voce, capace di superare un'orchestra (che era piuttosto alta), la sua dizione, la sua sicurezza, la sua musicalità. La Bauerfeldt ha una voce pesante per Konstanze? Penso, più probabilmente, che abbia una voce pesante per la Konstanze standard che abbiamo costruito negli anni, grazie a grandi soprani di coloratura (Edita Gruberova, Diana Damrau...) che hanno poi interpretato il ruolo, ma non per la Konstanze che Mozart ha creato - forte, determinata, ferma - che fin dall'inizio attacca "Ach ich liebte" con una linea seria (che, alla fine del XVIII secolo, a causa dell'accordatura, era ancora più bassa di oggi).
Catarina Cavalieri, la creatrice di Konstanze, nacque nel 1755. Nel 1782, quindi, quando l'opera fu rappresentata per la prima volta, aveva solo 27 anni. Nel 1788 (all'età di 33 anni) interpretò Donna Elvira nella prima viennese di Don Giovanni, un ruolo oggi spesso interpretato da mezzosoprani. L'anno successivo fu la Contessa nelle Nozze di Figaro. Quindi abbiamo lo stesso soprano che canta Konstanze, Donna Elvira e la Contessa, e tutti ruoli al di sotto dei 35 anni; si scopre che non ha avuto figli, il che potrebbe aver cambiato radicalmente la sua voce.
Nella sua interessante tesi The Arias Composed for Catarina Cavalieri: A Pedagogical Examination, discussa nel 2016 presso l'Università della Georgia, Chery Brendel sostiene, sulla base di due arie mozartiane cantate dalla Cavalieri (come Elvira e la Contessa, citate sopra), che la sua voce era probabilmente quella di un soprano lirico, non di coloratura. S spinge fino a confrontare le arie della Cavalieri con quelle di Aloysia Weber Lange, la venerata cognata di Mozart, che era un soprano di coloratura. Secondo Brendel, esistono poche descrizioni della voce della Cavalieri, ma ne fornisce alcune. Nel 1775 e nel 1778, le recensioni indicavano una cantante straordinaria, con note alte e basse e una "piccola voce di petto". Brendel spiega che "l'espressione 'voce di petto' nel XVIII secolo si riferiva generalmente al registro inferiore alla voce di testa, che poteva comprendere la maggior parte, se non tutto, di quello che nel linguaggio pedagogico moderno viene chiamato 'registro medio'".
Nel 1781, l'anno precedente la prima del Ratto, un critico descrisse la voce della Cavalieri come forte, ma "di qualità molto particolare". Nel 1785, un critico si lamentò che, in una rappresentazione di Giulio Sabino di Giuseppe Sarti, durante il duetto il castrato Luigi Marchesi non si sentiva a causa delle "grida" della Cavalieri. "Sulla base delle poche informazioni disponibili e dalla lettura di arie come 'Martern aller Arten' (Die Entführung aus dem Serail, Mozart, 1782) e 'Staremo in pace' (La scuola de' gelosi, Salieri, 1783), possiamo concludere che, come minimo, aveva una voce di notevoli dimensioni e resistenza", conclude Brendel.
L'agilità della Cavalieri è già nota a tutti i mozartiani: "Ho sacrificato un po' dell'aria di Konstanze all'agile gola di Madame Cavalieri", scrisse Mozart. Il fatto che Mozart componga per adattarsi all'interprete non è una novità, è una caratteristica che lo accompagnò per tutta la vita. Così Mozart sottolineò non solo le qualità dei suoi interpreti, ma anche il carattere drammatico delle loro arie. Nel passo sopra riportato, si riferiva ad "Ach ich liebte", la prima aria di Konstanze, che inizia con un adagio, in stile tedesco, ma diventa presto un allegro in stile italiano.
E com'è l'interprete? Fortunatamente, Bauerfeldt ha anche un peso nella "voce di petto", nel senso usato nel XVIII secolo, che le ha permesso di sostenere bene il breve adagio, nel quale, fedele allo stile, ha dato un colore più scuro alla voce. È stato però nell'allegro italiano, fatto su misura per la Cavalieri, che la sua voce è venuta alla ribalta e ha potuto dare libero sfogo alla brillantezza del suo timbro. La sua interpretazione, intensa, precisa, era perfettamente adatta a un'aria di bravura, la cui grande coloratura descrive lo strazio che si cela nel petto a causa delle pene d'amore.
Continuando con Konstanze, la prima grande eroina di Mozart; predecessora della Contessa, di Donna Anna, di Donna Elvira, di Fiordiligi, era l'attrazione principale del Ratto paulistano. Nel secondo atto, ha due arie, entrambe enormi, praticamente una dietro l'altra. Nella prima, in realtà, abbiamo un recitativo "Welcher Wechsel herrscht in meiner Seele" ("Quale cambiamento regna nella mia anima") e l'aria "Traurigkeit ward mir zum Lose" ("La tristezza è diventata la mia sorte") immersi in una fantasticheria di angoscia, di lamento. Dopo un breve dialogo arriva "Martern aller Arten" ("Torture di ogni genere"), un allegro virtuosistico che contrasta nettamente con l'aria precedente.
Considerando le arie nel loro insieme, questa grande "scena" è stata il principale trionfo del Ratto al São Pedro. È lì che Ludmilla Bauerfeldt ha dimostrato, inequivocabilmente, di essere una cantante eccellente: la sua musicalità, la sua padronanza tecnica, la sua cura del testo e della partitura.
In "Traurigkeit" colpisce la precisione dei suoi attacchi in acuto, il crescendo della parola "Traurigkeit" (tristezza), il modo in cui riesce a sostenere il legato, la ricchezza delle dinamiche. Se "Traurigkeit..." è un monologo, un lamento introverso, con linee incrociate come un senso di pianto, e prevalentemente rivolto alla regione dei bassi, "Martern aller Arten" è un discorso infuocato, incisivo, rivolto a Selim. E cosa fece Mozart in "Marten aller Arten"? Un concertino per voce, flauto, oboe, violino e violoncello. È l'aria musicalmente più elaborata e, come il lettore può immaginare, una sfida immensa per il cantante. C'è di tutto. Innanzitutto, il librettista Gottlieb Stephanie non ha reso la vita facile né a Mozart né all'interprete: ha introdotto idee relativamente opposte. Konstanze non solo sfida Selim: lo prega anche di commuoversi, di essere ricompensato con la clemenza del Cielo ("Laß dich bewegen, verschone mich; / Des Himmels Segen belohne dich!"). Ed è proprio in questa parte che non mancano salti, melismi, lunghe note sostenute e persino una linea discendente, che arriva fino a un si basso, mentre gli altri strumenti solisti compiono il movimento opposto. Bauerfeldt, oltre ad aver affrontato tutto con solida tecnica ed estrema competenza, è stata guidata da Mozart e ha saputo far emergere queste idee e sentimenti contrastanti presenti nell'aria.
A Berlioz, che, come il lettore avrà intuito dalla citazione all'inizio di questo testo, non era un fan dell'opera, piacque almeno un numero: il duetto finale tra Konstanze e Belmonte, quando entrambi credono di dover morire. Per lui era la cosa migliore dell'opera: "Il sentimento è molto bello, lo stile è di gran lunga superiore a tutto ciò che l'ha preceduto, la forma è migliore e le idee sono sviluppate magistralmente". È davvero un momento prezioso: al bel lamento introdotto da Belmonte nel recitativo, Konstanze risponde: "Cos'è la morte? Un modo per riposare". Anche nel momento più drammatico, Konstanze non si abbatte: reagisce in modo altero (accorato ma altero). Anche a San Paolo, il duetto con Ludmilla Bauerfeldt e Daniel Umbelino è stato un momento molto speciale, in cui sia i cantanti che la direzione di scena si sono comportati molto bene. Il duetto inizia con Belmonte prostrato e Konstanze in piedi. Poco dopo, lei si avvicina a lui per sostenerlo. Con la sua voce potente e di invidiabile proiezione e risonanza, la Bauerfeldt è riuscita a compensare una certa mancanza di peso nel basso e si è fatta notare soprattutto nelle vere e proprie acrpbazie con cui Mozart ha riempito la sua parte. Umbelino ha confermato la sua affinità con il canto di Mozart.
Umbelino e Bauerfeldt hanno stili vocali molto diversi, il che segna una certa differenza tra Konstanze e Belmonte che si nota sia nel libretto sia nella musica. Konstanze è forte; anche Belmonte, perché era davvero intenzionato a salvarla, ma in fin dei conti non ha fatto nulla e la sua presenza è stata solo una mera coincidenza. In altre parole, Belmonte non ha nulla di eroico. La voce morbida, chiara e pulita di Daniel Umbelino si è prestata bene al ruolo. Il suo Belmonte era in qualche modo fragile, come deve essere, delicato, speranzoso. È stata una bella interpretazione.
Una parola su quanto detto nel paragrafo precedente. Il libretto di Stephanie si basa su un altro libretto di Christoph Friederich Bretzner, il cui risultato è alquanto diverso. In Bretzner, Selim scopre che Belmonte è suo figlio e non il figlio del suo peggior nemico, come nel Singspiel di Mozart. La felice idea della regia mi ha ricordato questo: quando Belmonte pronuncia il suo nome e Selim, il grande attore Fred Silveira, ride, Belmonte gli si avvicina e lo abbraccia. Solo più tardi Selim spiega che il padre di Belmonte è, in realtà, il suo peggior nemico. Questa ambiguità iniziale porta direttamente al finale originale della storia.
Un'altra differenza marcata tra il libretto di Bretzner e Il ratto di Mozart è nel personaggio di Osmin. In Bretzner era praticamente un attore, con appena un'aria. In Mozart ottiene più musica, più densità e, in "O wie will ich triunfieren" (Oh, come trionferò!), nel terzo atto, quella che sarà, per molti anni, la nota più bassa scritta in un'opera: un re basso - D1 (D2 nello standard americano). È la stessa nota che, più di un secolo dopo, Richard Strauss inserirà nel ruolo del Barone Ochs in Der Rosenkavalier, quando si congeda dalla Marescialla e si inchina a lei. A differenza di quanto accaduto in Der Rosenkavalier al Theatro Municipal de São Paulo lo scorso anno, al São Pedro c'era un basso in grado di fornire e sostenere il re: Luiz-Ottavio Faria. Oltre al re, Faria ha fornito un'eccellente prestazione, sia scenica sia vocale.
Se Belmonte, Konstanze e Selim sono personaggi seri, persino tragici, l'umorismo viene da Osmin, Pedrillo e Blonde. Come Pedrillo, Jean William ha dimostrato le sue capacità umoristiche e una voce consistente. È stato quindi un peccato che la sua romanza del terzo atto, "Im Mohrenland gefangen war" ("Prigioniero nella brughiera"), sia stata tagliata. Raquel Paulin e Ana Carolina Coutinho si sono alternate nei panni di Blonde. Ho potuto vedere la Paulin il 28 e la Coutinho il 30. Blonde ha conquistato con interpreti così diverse. Se la Coutinho ha un bel timbro, rotondo e ben piazzato, quello della Paulin è più metallico, a volte un po' aspro; se la Paulin riesce a raggiungere i difficili gravi che Mozart non ha resistito a inserire nella sua parte, soprattutto nel duetto con Osmin (un la bemolle basso!), la Coutinho no; se la Coutinho ha avuto una bella interpretazione musicale, soprattutto nella sua prima aria, quella che più ha valorizzato la sua voce, la Paulin, con la sua esperienza nel teatro musicale, ha primeggiato nei dialoghi e scenicamente. Ana Carolina Coutinho, questa giovane donna che studia e inizia la sua carriera in Germania, è da tenere d'occhio.
La direzione musicale di Claudio Cruz dell'Orquesta del Theatro São Pedro ha lasciato a desiderare. Sebbene l'interpretazione dell'ensemble fosse soddisfacente, si notava una certa imprecisione, una mancanza di coesione, soprattutto negli archi, che sembravano non risuonare o non essere perfettamente intonati. Anche la performance del coro di dodici membri, creato appositamente per l'opera, è stata abbastanza soddisfacente.
Con una buona direzione di scena, una competente direzione musicale, buoni cantanti, una scenografia di gran lunga superiore a quella che siamo abituati a vedere in città, un'illuminazione squisita (di Ney Bonfante) e una diva sul palco, il Theatro São Pedro è riuscito a presentare uno spettacolo degno e di qualità. Il risultato è stato di gran lunga superiore a un altro Mozart che abbiamo visto di recente in città: il travagliato Così fan tutte al Theatro Municipal de São Paulo. Ecco perché la nuova regola del São Pedro che permette di entrare a metà dello spettacolo, con il diritto di passare in mezzo al pubblico e di cambiare posto, è molto sgradevole, e non parlo di un po' di tolleranza, ma di persone che entrano con più di quaranta minuti di ritardo. Che ne dite di riservare l'ultima fila della seconda balconata ai ritardatari?
Konstanze al Ritz
por Fabiana Crepaldi
Abril 28 y 30 del 2023. “El rapto en el serrallo está precedido por una pequeña obertura en Do mayor, extremadamente ingenua y que produce poca sensación porque el público difícilmente prestó atención. Es decir, no se debe tomar mal, es un halago al público, ya que, de hecho, si se me permite hablar sinceramente, el padre Leopoldo Mozart, en lugar de llorar de admiración, como era habitual, ante esta obertura de su hijo, hubiera hecho mejor si lo hubiera quemado y dicho al joven compositor: ‘Hijo mío, acabas de producir una obertura bastante ridícula (…)’.” Así escribía, el 19 de mayo de 1859, el irreverente Héctor Berlioz al comentar el Singspiel Die Entführung aus dem Serail (El rapto del serrallo) de Mozart.
A Berlioz le habría incomodado la música “turca” de la apertura o, quizás, la cita de la primera aria de Belmonte, ‘Hier sol ich dich denn sehen’, que aparece en ella y que sigue a la obertura sin interrupción alguna. Cualesquiera que hayan sido los motivos de Berlioz, me acordé de él cuando asistí a una hermosa representación de la obra, los días 28 y 30 de abril pasados, en el Theatro São Pedro: se habría divertido con la entrada con una banda (que, tras los gritos, identificaremos como paparazzi) corriendo y gritando, convirtiendo la música en una banda sonora de acción, tan pronto como la obertura retomó el agitado tema “turco”. Me uno al coro de los que piensan que los gritos fueron innecesarios, también porque el público se sintió libre de comentar en voz alta la escena.
En la producción firmada por Jorge Takla y Ronaldo Zero que se mostró en el São Pedro, la acción transcurre en nuestros días. Como explicó Takla en las redes sociales del teatro, no se trataba de modernizar, sino de inmortalizar: “Los temas que plantean los diálogos de Mozart y su libretista son sumamente actuales. Hablamos de acoso moral y sexual, machismo, represión a la mujer… Son temas que todavía están muy de actualidad”, dijo. Takla transportó la acción a un hotel icónico de París: el Ritz. Es allí donde Konstanze, miembro de la alta sociedad española, es hecho prisionera por Selim Pashá, propietario del hotel. París es uno de los símbolos del iluminismo, que dejó fuertes huellas en la obra de Mozart. Y no es en vano ese sentimiento de atemporalidad, ese deseo de eternizar señalado por Takla: como afirma Charles C. Ford en Music, Sexuality and the Enlightenment in Mozart’s Figaro, Don Giovanni and Così fan tutte [Música, sexualidad y la Ilustración en Fígaro, Don Giovanni y Così fan tutte] de Mozart, fue precisamente en el periodo de la Ilustración que estableció, “por medio de debates científicos y filosóficos, los axiomas y supuestos, la lógica y los prejuicios del ‘sentido común’ actual”, ese “cuerpo de conocimiento aparentemente tan inmediato y primario que no merece atención crítica”. La actualidad de la obra va, pues, más allá del tema relacionado con la mujer.
Debo confesar que este cambio en el tiempo y el espacio me produjo un gran alivio: me sentí liberada de esos estereotipados “turcos”, los trajes kitsch que a menudo me privan del placer y la fluidez de la obra de Mozart. En cambio, tuvimos el vestuario de buen gusto de Fábio Namatame y el excelente visagismo de Tiça Camargo. En la época de Mozart, cuando el Imperio Otomano era tanto una amenaza como un fetiche, estos estereotipos tenían sentido; ahora ya no.
Escénicamente, este desplazamiento también tuvo un impacto: la risa fácil, basada precisamente en estereotipos superados, en la burla de otras culturas —otra cosa que muchas veces me aleja de la obra— fue sustituida por un teatro que, aunque un poco caricaturizado, no cayó en exageraciones de mal gusto. Los diálogos se hablaron todos en portugués, y fueron dirigidos, pues todos los cantantes lograron hablar muy bien, con fluidez, la voz bien proyectada, buena dicción, de una manera muy comprensible. No fue el tipo de espectáculo en el que lamentamos la ausencia de subtítulos a veces con textos en portugués.
En el hermoso e impecable escenario de Nicolás Boni —un verdadero artista cuyo trabajo conocemos desde su debut en São Paulo, en 2013, en el São Pedro, en The Turn of the Screw (Otra vuelta de tuerca) de Benjamin Britten, y que cada vez gana más proyección internacional—, a veces vemos la recepción del Ritz, a veces la habitación de Konstanze y, a través de las ventanas, la Place Vendôme, una de las postales de París, esa capital de la Ilustración.
Cuando pienso en el Ritz, inmediatamente recuerdo a las grandes personalidades, los grandes artistas, que se quedaron allí o incluso vivieron allí durante algún tiempo. La presencia de los paparazzi nos hace pensar en la princesa Diana y su novio Dodi, hijo de Mohamed Al-Fayed, dueño del hotel, quien murió durante la fuga de los paparazzi, poco después de cenar en la suite imperial, pero no puedo resistirme pensando en otra invitada célebre del Ritz: Maria Callas, la Divina, que se había entregado en cuerpo y alma a Aristóteles Onassis, al mismo tiempo idolatrada y víctima de un modelo social que presiona a la mujer, que se dejaba seducir, secuestrar, aniquilar. A diferencia de Konstanze, esa hermosa creación de Mozart, Maria Callas no dominó sus sentimientos: fue dominada por ellos. Es como si Konstanze estuviera atrapada en el Ritz para volver a visitar y purgar las heridas de Callas.
A esta referencia, a la memoria de la gran diva de la historia de la ópera, contribuye el hecho de que la Konstanze del Ritz paulista la vivió una verdadera diva: Ludmilla Bauerfeldt. Con una voz capaz de asustar a los oídos nacionales, poco expuestos a grandes voces, gran técnica, presencia escénica elegante e impactante, Bauerfeldt fue una Konstanze digna del genio de Mozart. La soprano tiene formación en teatro, pasó tres años en la academia de la Scala, donde se graduó hace una década, y acaba de ser invitada a protagonizar una ópera en un teatro de São Paulo.
La primera vez que la vi fue en 2019, en un concierto con la Orquesta Sinfónica de São Paulo (OSESP), en una transcripción para soprano y orquesta de unos Lieder de Brahms hecha por la compositora brasileña Flo Menezes. Recuerdo que me llamó la atención aquella soprano que no conocía, de la que nunca había oído hablar, y que no sabía que era brasileña. El tamaño de su voz, capaz de ganarle a una orquesta (que era bastante alta), su dicción, su seguridad, su musicalidad. Ella fue, para mí, un descubrimiento. ¿Tiene Bauerfeldt una voz pesada para Konstanze? Creo que, más probablemente, tiene una voz pesada para el estándar de Konstanze que hemos construido a lo largo de los años, gracias a grandes sopranos de coloratura (Edita Gruberova, Diana Damrau…) que pasaron a interpretar el papel, pero no para la Konstanze que creó Mozart —fuerte, decidida, constante—, que desde el principio ataca ‘Ach ich liebte’ con un trazo serio (que, a finales del siglo XVIII, por la afinación, era aún más grave que hoy).
Catarina Cavalieri, la creadora de Konstanze, nació en 1755. En 1782, por lo tanto, cuando se estrenó la obra, tenía solo 27 años. En 1788 (a los 33 años) interpretó a Donna Elvira en el estreno vienés de Don Giovanni, un papel que hoy en día suelen interpretar mezzosopranos. Al año siguiente, fue la Contessa en Le nozze di Figaro. Así que tenemos a la misma soprano cantando Konstanze, Donna Elvira y la Contessa, todos los roles menores de 35 años; resulta que no tuvo hijos, lo que pudo haber cambiado radicalmente su voz.
En su interesante tesis The Arias Composed for Catarina Cavalieri: A Pedagogical Examination, defendida en 2016 en la Universidad de Georgia, Chery Brendel argumenta, basándose en dos arias de Mozart cantadas por Cavalieri (como Elvira y la Contessa, citadas anteriormente), que probablemente su voz era la de una soprano lírico, no coloratura. Llega incluso a comparar las arias de Cavalieri con las de Aloysia Weber Lange, la venerada cuñada de Mozart, ella sí soprano coloratura.
Según Brendel, hay pocas descripciones de la voz de Cavalieri, pero nos proporciona algunas. En 1775 y 1778, hubo críticas que apuntaban a una cantante extraordinaria, con notas agudas y graves, y una “voz de pecho pequeña”. Brendel explica que “la expresión ‘voz de pecho’, en el siglo XVIII, generalmente se refería al registro por debajo de la voz de cabeza, que podría abarcar la mayor parte, si no la totalidad, de lo que se denomina en el lenguaje pedagógico moderno como ‘registro medio’”.
En 1781, el año anterior al estreno de Rapto, un crítico describió la voz de Cavalieri como fuerte, pero «muy peculiar en cualidad». En 1785, un crítico se quejó de que, en una interpretación de Giulio Sabino de Giuseppe Sarti, durante el dueto, el castrato Luigi Marchesi no se podía escuchar debido a los «gritos» de la Cavalieri. “Con base en la poca información disponible y de la lectura de arias como ‘Martern aller Arten’ (Die Entführung aus dem Serail, Mozart, 1782) y ‘Staremo in pace’ (La scuola de’gelosi, Salieri, 1783), podemos concluir que, como mínimo, tenía una voz de tamaño y resistencia considerables”, concluyó Brendel.
La agilidad de Cavalieri ya es bien conocida por todo mozartiano: “Sacrifiqué un poco el aria de Konstanze a la ágil garganta de Madame Cavalieri”, escribió Mozart. El hecho de que Mozart compusiera a la medida para su intérprete no es nada nuevo, es una característica del compositor que lo acompañó toda su vida. Así fue como Mozart subrayó no sólo las cualidades de sus intérpretes, sino el carácter dramático de sus arias. En el pasaje anterior, se refería a ‘Ach ich liebte’, la primera aria de Konstanze, que comienza con un adagio, en estilo alemán, pero pronto se convierte en un allegro en estilo italiano.
¿Y cómo es el intérprete? Afortunadamente, Bauerfeldt también tiene peso en la “voz de pecho”, en el sentido utilizado en el siglo XVIII, lo que le permitió un buen apoyo en el corto adagio, en el que, fiel al estilo, imprimió un color más oscuro a la voz. Fue, sin embargo, en el allegro italiano, hecho a la medida de Cavalieri, donde se valorizó su voz y supo dar rienda suelta a la brillantez de su timbre. Su interpretación, intensa, precisa, se adecuó perfectamente a una aria de bravura, cuya gran coloratura describe el desamor que yace en el pecho por las penas del amor.
Siguiendo con Konstanze, la primera gran heroína de Mozart; antecesora de la Contessa, Donna Anna, Donna Elvira, Fiordiligi, fue la mayor atracción del Rapto paulistano. En el segundo acto, su gran acto, tiene dos arias, ambas enormes, prácticamente de manera consecutiva. En el primero, en realidad tenemos un recitativo ‘Welcher Wechsel herrscht in meiner Seele’ (‘Que cambio reina en mi alma’) y aria ‘Traurigkeit ward mir zum Lose’(‘La tristeza se convirtió en mi suerte’) inmersos en un ensueño de angustia, de lamentación. Después de un breve diálogo viene ‘Martern aller Arten’ (“Torturas de todo tipo”), un virtuoso allegro que contrasta fuertemente con el aria precedente. Tomando las arias en conjunto, esta gran “escena” fue el principal triunfo del Rapto en el São Pedro. Fue allí donde Ludmilla Bauerfeldt demostró, de forma inequívoca, la excelente cantante que es: su musicalidad, su maestría técnica, su cuidado con el texto y la partitura.
En ‘Traurigkeit…’ llamó la atención la precisión de sus ataques en los agudos, el crescendo en la palabra “Traurigkeit” (tristeza), las varias veces que logró sostener el legato, la riqueza de la dinámica. Si ‘Traurigkeit…’ es un monólogo, un lamento introvertido, con líneas entrecruzadas como un sentido de llanto, y predominantemente dirigido hacia la región grave, ‘Martern aller Arten’ es un discurso inflamado e incisivo dirigido a Selim. ¿Y qué hizo Mozart en ‘Marten aller Arten’? Un concertino para voz, flauta, oboe, violín y violonchelo. Es el aria musicalmente más elaborada y, como el lector puede imaginar, un inmenso desafío para la cantante. Hay de todo. En primer lugar, el libretista Gottlieb Stephanie no facilitó la vida ni a Mozart ni al intérprete: introdujo ideas relativamente opuestas. Konstanze no solo desafía a Selim: también le ruega que se deje conmover, que será recompensado con la clemencia del Cielo (‘Laß dich bewegen, verschone mich; / Des Himmels Segen belohne dich!’). Y es precisamente en esta parte donde no faltan saltos, melismas, notas largas y sostenidas e incluso una línea descendente, cayendo hasta un Si grave, mientras los demás instrumentos solistas hacen el movimiento contrario. Bauerfeldt, además de haberlo enfrentado todo con sólida técnica y extrema competencia, se dejó guiar por Mozart, y supo resaltar estas ideas y sentimientos contrastantes presentes en el aria.
A Berlioz, quien, como el lector habrá adivinado por la cita al comienzo de este texto, no era un entusiasta de la obra, le gustó al menos un número: el dúo final entre Konstanze y Belmonte, cuando ambos creen que van a morir. Para él, fue lo mejor de la obra: “El sentimiento es muy bonito, el estilo es muy superior a todo lo que le precedió, la forma es mejor y las ideas están magistralmente desarrolladas”. Es, en efecto, un momento precioso: al hermoso lamento introducido por Belmonte en el recitativo, Konstanze responde: “¿Qué es la muerte? Un camino para descansar”. Incluso en el momento más dramático, Konstanze no se defrauda: reacciona de manera altiva (sentida pero altiva). También en São Paulo, el dueto, protagonizado por Ludmilla Bauerfeldt y Daniel Umbelino, fue un momento muy especial, en el que tanto los cantantes como la dirección escénica tuvieron una gran actuación. El dueto comienza con Belmonte postrado y Konstanze de pie. Poco después, ella acude a él para apoyarlo. Con su voz potente, de proyección y resonancia envidiables, Bauerfeldt supo compensar cierta falta de peso en los graves, y se notó sobre todo en los verdaderos saltos mortales con los que Mozart llenaba su parte. Umbelino confirmó la afinidad que tiene con el canto mozartiano.
Umbelino y Bauerfeldt tienen estilos vocales muy diferentes, lo que marca una cierta diferencia entre Konstanze y Belmonte que se nota tanto en el libreto como en la música. Konstanze se mantiene fuerte; Belmonte también, pues él realmente estaba empeñado en salvarla, pero en el fondo no hacía nada, y su presencia sólo servía por mero golpe casualidad. En otras palabras, Belmonte nada tiene de héroe. La voz suave, clara y limpia de Daniel Umbelino se prestó muy bien a este papel. Su Belmonte fue un tanto frágil, como tiene que ser, delicado, esperanzado. Fue una hermosa actuación.
Una palabra sobre lo mencionado en el párrafo anterior. El libreto de Stephanie se basa en otro libreto de Christoph Friederich Bretzner, cuyo resultado es algo diferente. En Bretzner, Selim descubre que Belmonte es su hijo, y no el hijo de su peor enemigo, como en el Singspiel de Mozart. La feliz idea de la dirección escénica me recordó esto: cuando Belmonte dice su nombre y Selim, el gran actor Fred Silveira, se ríe, Belmonte se acerca a él y lo abraza. Solo más tarde Selim explica que el padre de Belmonte es, de hecho, su peor enemigo. Esta ambigüedad inicial nos lleva directamente al final original de la historia.
Otra marcada diferencia entre el libreto de Bretzner y El rapto de Mozart está en el personaje de Osmin. En Bretzner era prácticamente un actor, con apenas una aria. En Mozart ganó más música, más densidad y, en ‘O wie will ich triunfieren’ (¡Oh, cómo voy a triunfar!), en el tercer acto, la nota que sería, durante muchos años, la nota más grave escrita en una ópera: un Re grave – Re1 (D2 en el estándar americano). Es la misma nota que, más de un siglo después, colocaría Richard Strauss en el papel del Barón Ochs en Der Rosenkavalier, cuando se despide de la Mariscala y se inclina ante ella. A diferencia de lo que sucedió en El caballero de la rosa del Theatro Municipal de São Paulo el año pasado, en el São Pedro hubo un bajo capaz de emitir y soportar el Re: Luiz-Ottavio Faria. Además del Re, Faria tuvo una óptima actuación, tanto escénica como vocal.
Si Belmonte, Konstanze y Selim son personajes serios, incluso trágicos, el humor viene por cuenta de Osmin, Pedrillo y Blonde. Como Pedrillo, Jean William demostró sus habilidades humorísticas y una voz consistente. Fue, por tanto, una pena que su romanza del tercer acto, ‘Im Mohrenland gefangen war’ (‘Cautivo en páramos’), fuera cortada. Raquel Paulin y Ana Carolina Coutinho se alternaron en el papel de Blonde. Pude ver a Paulin el 28 y el 30 a Coutinho. Blonde ganó con intérpretes tan diferentes. Si Coutinho tiene un timbre hermoso, redondo, bien colocado, el de Paulin es más metálico, a veces un poco duro; si Paulin consigue alcanzar los difíciles graves que Mozart no pudo resistir insertar en su parte, especialmente en el dueto con Osmin (¡un La bemol grave!), Coutinho no los tiene; si Coutinho tuvo una bella interpretación musical, sobre todo en su primera aria, la que más valorizó su voz, Paulin, con su experiencia en el teatro musical, se destacó en los diálogos y escénicamente. Ana Carolina Coutinho, esa joven que estudia e inicia su carrera en Alemania, es alguien a quien prestar atención.
La dirección musical de Claudio Cruz, de la Orquesta del Theatro São Pedro, dejó un poco que desear. Si bien la interpretación del conjunto fue satisfactoria, hubo cierta imprecisión, falta de cohesión principalmente en las cuerdas, que parecían no timbrar, o no estar perfectamente afinadas. La actuación del coro de 12 integrantes, especialmente creado para la obra, también fue bastante satisfactoria.
Con buena dirección escénica, competente dirección musical, buenos cantantes, escenografía muy superior a la que estamos acostumbrados a ver en la ciudad, exquisita iluminación (a cargo de Ney Bonfante) y una diva en el escenario, el Theatro São Pedro logró presentar un espectáculo digno y de calidad. El resultado obtenido fue muy superior al de otro Mozart que vimos recientemente en la ciudad: el problemático Così fan tutte del Theatro Municipal de San Pablo.
Por eso mismo, la nueva regla en el São Pedro que permite la entrada en medio del espectáculo, con derecho a que la gente pase por en medio del público y cambie de lugar, es muy desagradable. Y no hablo de poca tolerancia, sino de gente que entra con más de 40 minutos de retraso. ¿Qué tal sería reservar la última fila del segundo balcón para los rezagados?
Konstanze no Ritz
da Fabiana Crepaldi
“O ‘Rapto’ é precedido por uma pequena abertura em Dó maior, de extrema ingenuidade e que produziu pouca sensação; dificilmente o público prestou atenção. Isso é, não me levem a mal, um elogio ao público, já que, na verdade, se me é permitido falar sinceramente, o pai Leopold Mozart, em lugar de chorar de admiração, como era o usual, diante dessa abertura de seu filho, teria feito melhor se a tivesse queimado e dito ao jovem compositor: ‘Meu jovem, você acabou de produzir uma abertura bem ridícula (…)’”. Assim escreveu, em 19 de maio de 1859, o irreverente Hector Berlioz ao comentar o singspiel Die Entführung aus dem Serail (O Rapto do Serralho), de Mozart. Berlioz teria se incomodado com a música “turca” da abertura ou, talvez, com a citação da primeira ária de Belmonte, Hier sol ich dich denn sehen, que nela aparece e que sucede à abertura sem qualquer interrupção. Quaisquer que tenham sido os motivos de Berlioz, lembrei-me dele ao assistir à bela produção da obra, nos últimos dias 28 e 30 de abril, no Theatro São Pedro: ele teria se divertido com a entrada de um bando (que, passada a gritaria, identificaremos como paparazzi) correndo e gritando, transformando a música em trilha sonora de ação, tão logo a abertura retome o agitado tema “turco”. Junto-me ao coro daqueles que acham que os gritos eram desnecessários, inclusive porque o público se sentiu à vontade para comentar a cena em voz alta.
Na produção assinada por Jorge Takla e Ronaldo Zero que esteve em cartaz no São Pedro, a ação se passa nos nossos dias. Segundo explicou Takla nas redes sociais do teatro, isso não foi para modernizar, mas para eternizar: “As temáticas que são levantadas por Mozart e os diálogos do seu libretista são extremamente atuais. A gente fala de assédio moral e sexual, de machismo, de repressão às mulheres, são temas que ainda estão muito na atualidade”, afirmou.
Takla transporta a ação para em um emblemático hotel em Paris: o Ritz. É lá que Konstanze, membro da alta sociedade espanhola, é mantida presa pelo paxá Selim, dono do hotel.
Paris é um dos símbolos do Iluminismo, que deixou fortes marcas na obra de Mozart. E não é à toa essa sensação de atemporalidade, esse desejo de eternizar apontado por Takla: como afirma Charles C. Ford em Music, Sexuality and the Enlightenment in Mozart’s Figaro, Don Giovanni and Così fan tutte, foi justamente no período do Iluminismo que se estabeleceram, “por meio de debates científicos e filosóficos, os axiomas e as suposições, a lógica e os preconceitos do atual ‘senso comum’”, esse “corpo de conhecimento tão aparentemente imediato e primário que não merece atenção crítica”. A atualidade da obra vai, pois, além da temática relacionada à mulher.
Devo confessar que esse deslocamento de tempo e espeço me causou grande alívio: senti-me poupada daqueles “turcos” estereotipados, do figurino kitsch que, frequentemente, me priva do prazer e da fluência da obra de Mozart. Em lugar disso, tivemos os figurinos de bom gosto de Fábio Namatame e o ótimo visagismo de Tiça Camargo. Na época de Mozart, quando o Império Otomano era uma ameaça e um fetiche, esses estereótipos faziam sentido; agora, não mais.
Cenicamente, esse deslocamento também trouxe impacto: o riso fácil, baseado justamente em estereótipos datados, na ridicularização de outras culturas – outra coisa que, frequentemente, me afasta da obra – foi substituído por um teatro que, embora um pouco caricato, não caiu em exageros de mau gosto. O tom caricato do teatro por vezes me incomodou, contudo, se a opção foi ser fiel ao libreto, traduzindo os diálogos sem os alterar (os diálogos foram todos em português), como levar à cena de forma natural, não caricata, por exemplo, a primeira fala de Konstanze, “Homem magnânimo! Ah, se eu pudesse retribuir…”? Portanto, um certo tom de comédia televisiva nas partes faladas era quase inevitável.
Os diálogos trouxeram, ainda, outra agradável surpresa: bem dirigidos, todos os cantores conseguiram falar muito bem, com fluência, com a voz bem projetada, boa dicção, de forma bem compreensível. Não foi o tipo de espetáculo em que lamentamos a ausência de legenda nos momentos de texto em português.
No lindo e impecável cenário de Nicolás Boni – um verdadeiro artista, cujo trabalho temos a felicidade de conhecer desde a sua estreia em São Paulo, em 2013, no São Pedro, em The Turn of the Screw, e que está ganhando cada vez mais projeção internacional – vemos por vezes a recepção do Ritz, por vezes o quarto de Konstanze e, através das janelas, a Place Vendôme, um dos cartões postais de Paris, essa capital do Iluminismo.
Quando penso no Ritz, logo me lembro das grandes personalidades, dos grandes artistas, que lá se hospedaram ou até mesmo moraram por algum tempo. A presença dos paparazzi nos faz pensar na princesa Diana e em seu namorado Dodi, filho de Mohamed Al-Fayed, dono do hotel, que morreram durante a fuga dos paparazzi, logo após terem jantado na suíte imperial, mas não resisto a pensar em outra célebre frequentadora do Ritz: Maria Callas, a divina Callas, que havia se entregado de corpo e alma a Aristóteles Onassis, que foi ao mesmo tempo idolatrada e vítima de um modelo social que pressiona a mulher, que se deixou seduzir, sequestrar, aniquilar. Ao contrário de Konstanze, essa bela criação de Mozart, Maria Callas não dominou os seus sentimentos: foi por eles dominada. É como se Konstanze estivesse presa no Ritz para revisitar e expurgar as feridas de Callas.
Contribuiu com essa referência, com a lembrança da grande diva da história da ópera, o fato de que a Konstanze do Ritz paulistano foi vivida por uma verdadeira diva: Ludmilla Bauerfeldt. Com uma voz capaz de assustar os ouvidos nacionais, pouco expostos a grandes vozes, ótima técnica, presença cênica elegante, impactante, Bauerfeldt foi uma Konstanze digna do gênio de Mozart.
A soprano tem formação em teatro, passou três anos na academia do La Scala, onde se formou há uma década, e só agora foi chamada para protagonizar uma ópera em um teatro em São Paulo. A primeira vez que a vi foi em 2019, em um concerto com a Orquestra Sinfônica de São Paulo (OSESP), uma transcrição para soprano e orquestra de alguns Lieder de Brahms feita pelo compositor brasileiro Flo Menezes. Lembro que aquela soprano que eu não conhecia, em quem eu nunca havia ouvido falar, que eu nem imaginava que era brasileira, me chamou muito a atenção. O tamanho da sua voz, capaz de vencer uma orquestra (que estava bem alta), sua dicção, sua segurança, sua musicalidade. Ela foi, para mim, uma descoberta.
Bauerfeldt tem voz pesada para Konstanze? Creio que, mais provavelmente, ela tem uma voz pesada para o padrão de Konstanze que construímos ao longo dos anos, graças a grandes sopranos coloratura (Edita Gruberova, Diana Damrau…) que passaram a interpretar o papel, mas não para a Konstanze que Mozart criou – forte, determinada, constante –, que, logo de entrada, ataca Ach ich liebte com uma linha grave (e que no fim do século XVIII, em função da afinação, era até mais grave que hoje).
Catarina Cavalieri, a criadora de Konstanze, nasceu em 1755. Em 1782, quando a obra estreou, portanto, ela tinha apenas 27 anos. Em 1788 (aos 33 anos) foi a Donna Elvira na estreia vienense de Don Giovanni – papel que, hoje em dia, é normalmente interpretado por mezzosoprano. No ano seguinte, foi a Condessa em Le Nozze di Figaro. Então temos a mesma soprano cantando Konstanze, Donna Elvira e a Condessa, todos os papeis com menos de 35 anos – que se saiba, ela não teve filhos, o que poderia mudar radicalmente a voz.
Em sua interessante tese The arias composed for Catarina Cavalieri: a pedagogical examination, defendida em 2016 na University of Georgia, Chery Brendel argumenta, a partir das árias dos papeis de Mozart cantadas por Cavalieri (como Elvira e a Condessa, acima citadas), que provavelmente a sua voz era de soprano lírico, não coloratura. Ele compara, inclusive, as árias de Cavalieri às de Aloysia Weber Lange, a venerada cunhada de Mozart, ela sim soprano coloratura.
Segundo Brendel, há poucas descrições da voz de Cavalieri, mas ele nos fornece algumas. Em 1775 e em 1778, há críticas que apontam para uma cantora extraordinária, com notas agudas e graves, e uma “forte voz de peito”. Brendel explica em “a expressão ‘voz de peito’, no século XVIII, geralmente se referia ao registro abaixo da voz de cabeça, e poderia abranger a maior parte, se não tudo, do que é denominado na linguagem pedagógica moderna como ‘registro médio’”.
Em 1781, ano anterior ao da estreia do Rapto, uma crítica descreveu a voz de Cavalieri como forte, mas “muito peculiar em qualidade”. Em 1785, um crítico reclamou que, em uma apresentação de Giulio Sabino, de Sarti, durante o dueto, não se podia ouvir o castrato Luigi Marchesi por conta dos “gritos” de Cavalieri.
“Com base nas poucas informações disponíveis e em uma leitura de árias como ‘Martern aller Arten’ (‘Die Entführung aus dem Serail’, Mozart, 1782) e ‘Staremo in pace’ (‘La scuola de’ gelosi’, Salieri, 1783), podemos concluir que, no mínimo, ela possuía uma voz com tamanho e estamina consideráveis”, conclui Brendel.
A agilidade de Cavalieri já é velha conhecida de todo mozartiano: “A ária de Konstanze, eu a sacrifiquei um pouco à ágil garganta da Senhora Cavalieri, escreveu Mozart. ‘Trennung war’, eu tentei expressar à medida em que uma ária de bravura italiana se presta a isso”.
O fato de Mozart ter composto sob medida para a sua intérprete não é novidade, é uma característica do compositor que o acompanhou a vida toda. Era assim que Mozart sublinhava não apenas as qualidades dos seus intérpretes, mas a dramaticidade das árias. No trecho acima, ele se referia a Ach ich liebte, a primeira ária de Konstanze, que começa com um adagio, em estilo alemão, mas não demora a virar um allegro em estilo italiano. E como fica a intérprete? Felizmente, também Bauerfeldt tem peso na “voz de peito”, no sentido usado no século XVIII, o que lhe permitiu uma boa sustentação no curto adagio, no qual, fiel ao estilo, imprimiu uma cor mais escura à voz. Foi, contudo, no allegro italiano, feito sob medida para Cavalieri, que a sua voz foi valorizada: pôde dar vazão ao brilho do seu timbre. Sua interpretação, intensa, precisa, foi perfeitamente adequada a uma ária de bravura, cuja grande coloratura descreve o desgosto que jaz no peito em virtude das dores de amor.
Sigamos com Konstanze – a primeira grande heroína de Mozart; a antecessora da Condessa, de Donna Anna, de Donna Elvira, de Fiordiligi; a maior atração do Rapto paulistano. No segundo ato, seu grande ato, ela tem duas árias, ambas enormes, praticamente consecutivas. Na primeira temos, na verdade, recitativo (Welcher Wechsel herrscht in meiner Seele) e ária (Traurigkeit ward mir zum Lose) imersos em um devaneio de angústia, de lamento. Após um curto diálogo, vem Martern aller Arten, um allegro virtuosístico que contrasta vivamente com a ária precedente. Tomando as árias em conjunto, essa grande “cena” foi o principal triunfo do Rapto no São Pedro. Foi aí que Ludmilla Bauerfeldt demonstrou, inequivocamente, a excelente cantora que é: sua musicalidade, seu domínio técnico, seu cuidado com o texto e com a partitura.
Em Traurigkeit, chamaram a atenção a precisão de seus ataques no agudo, o crescendo em Traurigkeit, as diversas vezes em que conseguiu sustentar o legato, a riqueza da dinâmica. A minha vontade era a de me debruçar sobre essa ária e analisá-la detalhadamente, mas vou me conter à parte em que Konstanze diz que nem à brisa pode falar sobre a dor da sua alma, pois, sem querer levá-los, ela sopra todos os lamentos de volta para o seu coração. Na música, ouvimos a brisa soprando alle meine (todos os meus), com pares de semicolcheias em movimento ondulatório, e um longo Klagen (lamentos) sustentado por quase três compassos. Bauerfeldt transmitiu com perfeição esse efeito – e nos brindou com mais um consistente legato em Klagen. Quando esse texto reaparece no final da ária, com direito a uma coloratura em linha descendente, a encerrando com um armes Herz na região grave, Bauerfeldt, sem sonegar o trinado final, faz tudo de forma sensível, delicada, controlada, mozartiana.
Se Traurigkeit é um monólogo, um lamento introvertido, com linhas intercortadas como um sentido choro, e predominantemente direcionadas para a região grave, Martern aller Arten é um inflamado e incisivo discurso direcionado a Selim. E o que fez Mozart em Marten aller Arten? Um concertino para voz, flauta, oboé, violino e violoncelo. É musicalmente a ária mais elaborada e, como o leitor deve imaginar, um imenso desafio para a cantora. Aí tem de tudo. Em primeiro lugar, o libretista Gottlieb Stephanie não facilitou a vida nem de Mozart, nem da intérprete: introduziu ideias relativamente contrastantes. Konstanze não está apenas desafiando Selim: ela também implora que ele se deixe comover, que será recompensado pela clemência do Céu (Laß dich bewegen, verschone mich; / Des Himmels Segen belohne dich!). E é justamente nessa parte que não faltam saltos, melismas, longas notas sustentadas e até uma linha descendente, caindo até um si grave, enquanto os outros instrumentos solistas fazem o movimento oposto. Bauerfeldt, além de ter enfrentado tudo com técnica sólida e extrema competência, deixou-se guiar por Mozart, e soube marcar essas ideias e sentimentos contrastantes presentes na ária.
Berlioz, que, como o leitor deve ter adivinhado pela citação no início desse texto, não era um entusiasta da obra, gostava ao menos de um número: o dueto final entre Konstanze e Belmonte, quando ambos acham que vão morrer. Para ele, era o melhor da obra: “o sentimento é muito bonito, o estilo é muito superior a qualquer coisa que o precede, a forma é melhor e as ideias são magistralmente desenvolvidas”. É, de fato, um precioso momento: ao belo lamento introduzido por Belmonte no recitativo, Konstanze responde: “O que é a morte? Um caminho para o descanso”. Mesmo no momento mais dramático, Konstanze não se deixa abater, reage de forma altiva (sentida, mas altiva). Também em São Paulo o dueto, protagonizado por Ludmilla Bauerfeldt e Daniel Umbelino, foi um momento muito especial, no qual tanto os cantores quanto a direção cênica tiveram ótima atuação. O dueto se inicia com Belmonte prostrado e Konstanze de pé. Logo em seguida, ela vai até ele para dar-lhe suporte. Com a sua voz poderosa, com projeção e ressonância invejáveis, Bauerfeldt conseguiu compensar certa falta de peso nos graves, notada sobretudo nos verdadeiros saltos mortais com que Mozart recheou a sua parte. Umbelino confirmou a afinidade que tem com o canto mozartiano.
Umbelino e Bauerfeldt têm estilos vocais bem diferentes, o que marca bem certa diferença entre Konstanze e Belmonte que fica evidente tanto no libreto, quanto na música. Konstanze mantém-se forte; Belmonte também, ele realmente estava determinado a salvá-la, mas, no fundo, nada fez, e a sua presença só teve alguma serventia por mero golpe do acaso. Em outras palavras, Belmonte nada tem de herói. A voz macia, clara, limpa de Daniel Umbelino prestou-se muito bem a esse papel. Foi um Belmonte até certo ponto frágil, como tem que ser, delicado, esperançoso. Uma bela atuação.
Uma palavra sobre o desfecho, apenas mencionado no parágrafo anterior. O libreto de Stephanie se baseia em outro libreto de Christoph Friederich Bretzner, cujo desfecho é um pouco diferente. Em Bretzner, Selim descobre que Belmonte era seu filho – e não filho do seu pior inimigo, como no singspiel de Mozart. A feliz ideia da direção cênica fez-me lembrar disso: quando Belmonte fala seu nome, e Selim – o ótimo ator Fred Silveira – ri, Belmonte vai até ele e o abraça. Somente depois Selim explica que o pai de Belmonte é, na verdade, o seu pior inimigo. Essa ambiguidade inicial nos remete diretamente ao fim original da história.
Outra diferença marcante entre o libreto de Bretzner e o Rapto de Mozart está no personagem de Osmin. Em Bretzner, era praticamente um ator, com apenas uma ária. Em Mozart, ele ganhou mais música, mais densidade e, em O wie will ich triumphieren, no terceiro ato, a nota que seria, por muitos anos, a mais grave escrita em uma ópera: um ré grave – ré 1 (D2 no padrão americano). É a mesma nota que, mais de um século depois, Richard Strauss viria a colocar na parte do barão Ochs, em Der Rosenkavalier, no momento em que ele se despede da Marechala e lhe faz uma reverência. Ao contrário do que aconteceu no Rosenkavalier do Theatro Municipal de São Paulo, no ano passado, no São Pedro tivemos um baixo capaz de emitir e sustentar o ré: Luiz-Ottavio Faria. Além do ré, Faria teve uma ótima atuação, tanto cênica quanto vocalmente.
Se Belmonte, Konstanze e Selim são personagens sérios, até trágicos, o humor fica por conta de Osmin, Pedrillo e Blonde. Como Pedrillo, Jean William demonstrou os seus dotes humorísticos e uma voz consistente. Foi, pois, uma pena que a sua romanza do terceiro ato, Im Mohrenland gefangen war, tenha sido cortada.
Raquel Paulin e Ana Carolina Coutinho alternaram-se no papel de Blonde. Pude ver Paulin no dia 28 e, no dia 30, Coutinho. Blonde não poderia ter ganho intérpretes mais diferentes. Se Coutinho tem um timbre lindo, redondo, bem colocado, o de Paulin é mais metálico, por vezes um pouco duro; se Paulin consegue alcançar os terríveis graves que Mozart não resistiu a inserir em sua parte, sobretudo no dueto com Osmin (um lá bemol grave!), Coutinho não os tem; se Coutinho teve uma bela atuação musical, sobretudo em sua primeira ária, a que mais valorizou a sua voz, Paulin, com sua experiência em teatro musical, se destacou nos diálogos e cenicamente. Ana Carolina Coutinho, essa jovem que está estudando e iniciando a carreira na Alemanha, é alguém a se prestar atenção.
Sob a regência de Claudio Cruz, a Orquestra do Theatro São Pedro deixou um pouco a desejar. Embora a atuação do conjunto tenha sido satisfatória, havia certa imprecisão, faltou coesão principalmente nas cordas, que pareciam não timbrar, ou não estar perfeitamente afinadas. Foi, também, bastante satisfatório o desempenho do coro com 12 membros, constituído especialmente para a obra.
Com boa direção cênica, direção musical competente, bons cantores, cenário muito superior ao que estamos habituados a ver na cidade, iluminação requintada (de Ney Bonfante) e uma diva no palco, o Theatro São Pedro conseguiu apresentar um espetáculo digno, de qualidade. O resultado obtido foi bem superior ao de outro Mozart que vimos recentemente na cidade: o problemático Così Fan Tutte do Theatro Municipal.
Por isso mesmo, é muito desagradável a nova regra do São Pedro que permite a entrada no meio do espetáculo, com direito a pessoas passeando pelo meio da plateia e mudanças de lugar. E não estou falando de uma pequena tolerância, mas de pessoas entrando com mais de 40 minutos de atraso. Que tal reservar, então, a última fila do segundo balcão para os retardatários?