Uno e trino
di Roberta Pedrotti
Marc Minkowski e Les musiciens du Louvre, per il ciclo Grandi interpreti di Bologna Festival, offrono un'interpretazione da ricordare delle ultime tre sinfonie di Mozart.
BOLOGNA, 8 giugno 2023 - Tre sinfonie composte in meno di tre mesi. Le ultime tre. Marc Minkowski rivolge qualche parola in buon italiano al pubblico e suggerisce un'idea di mistero e simbologia massonica a legare le sinfonie n. 39, 40 e 41 di Mozart, quasi un percorso iniziatico fra gli elementi affine all'approdo vicino della Zauberflöte. La prima, in Mi bemolle maggiore, potrebbe rappresentare l'acqua con il fluire di elementi che si fondono in moto placido o agitato; la seconda, impetuosa e fiammeggiante in Sol minore, il fuoco; la terza complessa, solida, compiuta nel suo trionfale Do maggiore, la terra. Il finale quasi aperto della 39 sembra, poi, lasciare sospeso un discorso che sembra saldarla alla risposta naturale della 40 e trovare infine nella Jupiter una piena risoluzione.
Così, al di là delle parole, ci conduce nei fatti puramente musicali Minkowski con i Musiciens du Louvre. Una necessaria, piccola pausa prima della Jupiter non incrina il senso di continuità del programma, anzi: ne sottolinea il carattere di domanda aperta in due parti e chiusa nella terza (inevitabile l'associazione con la simbologia del due e del tre, del pari e del dispari, dalla dottrina pitagorica al cristianesimo e alle prolationes della notazione mensurale). Il percorso è affrontato con piglio deciso e spedito, ma senza che mai le scelte agogiche mettano in subordine la chiarezza interpretativa, il respiro del fraseggio, il senso, in ultimo, di una ben precisa visione. Difatti l'orchestra, all'altezza della sua fama e della sua storia, pone in evidenza il colore della scrittura mozartiana, l'importanza dei rapporti di timbro e di peso restituiti da corde di budello, fiati naturali, meccaniche d'epoca. Ma, soprattutto, restituiti dalla consapevolezza di chi suona e dirige ricercando in quella morbidezza e in quel calore tutte le possibili sfumature e incisività d'accento, non per rigida e ostentata scelta programmatica, bensì come naturale conseguenza di una sensibilità interpretativa. Così, le sinfonie possono risultare incalzanti orologio alla mano, ma lo sono soprattutto per la ricchezza di dettagli e la propulsione interna che deriva dalla consequenzialità dei rapporti, di domande, risposte e nuove domande. Alla fine, la risposta è 41: la Jupiter si impone quale punto di non ritorno nella storia della musica. Il fatto che sia anche l'ultima sinfonia di un genio che sarebbe morto solo tre anni dopo passa perfino in secondo piano: quand'anche fosse storicamente lecito avventurarsi fra i se e i ma, anche per un Wolfgang Amadeus più longevo questa fase creativa si immaginerebbe cruciale. Il senso di tensione e di completezza, di unità e di molteplicità, di ricchezza e chiarezza ha il suo apice all'apparire della fuga nell'ultimo movimento. Non una citazione dotta, ma una sorta di suprema sintesi fra passato, presente e futuro, pathos e dottrina, affrontata con slancio entusiasta, senso drammatico e lucidità d'analisi.
Davvero una serata da ricordare.
foto Dino Russo