Musica oltre la musica
Dai recital di canto ai due Orphée di Charpentier, il festival dei Concerts d'Automne di Tours propone un percorso in cui la musica va oltre i confini del concerto e diventa un mezzo di consapevolezza di sé e del prossimo, uno stimolo per un percorso continuo di crescita. Attraverso l'arte, magistra vitae, è possibile fare qualcosa di più che uscire dagli inferi: trasformare gli inferi stessi.
TOURS, 18, 19, 20 ottobre 2024 - Fare musica non è solo un atto estetico, è un atto di consapevolezza ed espressione di sé, può essere un atto politico nelle varie e più ampie accezioni del termine. Un gesto di affermazione e di libertà il cui valore non prescinde – chiaramente – dalla qualità tecnica e stilistica dell'esecuzione, ma può andare oltre nel suo significato, ricordare che l'arte è anche un valore sociale, che il giudizio può essere subordinato alla riflessione.
L'ultimo fine settimana della nona edizione dei Concerts d'Autumne di Tours sembra proprio costruito per ricordarlo in tre tappe, alla sfera più intima a quella più universale.
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Agitata: la spina e la rosa
Venerdì 18 ottobre alla ribalta del Grand Théâtre de Tours abbiamo il sopranista Samuel Mariño. “Presenza scenica scintillante” recita la sua biografia ufficiale, corredata da servizi fotografici in abiti di scena i più estrosi e appariscenti. Facile fermarsi alla superficie, lasciarsi abbagliare e prendere una posizione netta, estrema nel bene o nel male. Le parole del cantante venezuelano fra gli applausi scroscianti al termine del concerto, prima dei bis, costringono però a fermarsi e a considerare un'altra prospettiva. Lo stile di Mariño non è puro divertimento, ma è il frutto di un percorso, quello di un ragazzino vittima di bullismo, messo a disagio da una voce che la pubertà non ha mutato e rimane chiara, acuta e sottile; di un ragazzino che deve prendere consapevolezza di sé, cerca soluzioni mediche, trova finalmente una diagnosi e con essa la forza di essere sé stesso nella musica. Il sorriso e gli occhi lucidi di questo giovane in tacchi e tailleur luccicanti, l'anima che mette nel canto con la sua voce, una voce in cui si identifica e lo rappresenta ci fanno pensare. Mentre parliamo del cantante possiamo prescindere dalla persona e da quel che porta con sé? Siamo sempre sicuri di poter stabilire un confine nel giudizio?
Il ventaglio di affetti come dizionario dell'anima, il senso di stupore, unicità e meraviglia propri del barocco, che non conosce la categorizzazione del “diverso”, trovano un'applicazione contemporanea di qualcosa che forse è stato dimenticato ma non è poi così nuovo. Basterebbe pensare al fascino per nulla scandaloso dell'Ermafrodito del Louvre sul materasso scolpito da Bernini: nulla di più naturale, né meno naturale è il desidero, dopo aver sofferto e combattuto, di splendere. Anche il modo di esprimersi nel canto di Mariño riflette, per forza di cose, quest'autoaffermazione luminosa: la vocalità – abbiamo detto – molto chiara e delicata, rispetto al virtuosismo più articolato, ama la vocalizzazione veloce, le note sgranate in rapida successione come lo sfavillare degli strass. Si percepisce il divertimento liberatorio nell'improvvisare le cadenze con gli strumentisti del Concerto de' Cavalieri diretti da Marcello Di Lisa e in particolare con il primo violino Enrico Casazza. Il gruppo diretto da Marcello Di Lisa offre con successo pagine di Corelli e Vivaldi, accompagnando la voce fra lo stesso Vivaldi, fulcro del programma, Caldara e Scarlatti.
Come fuori programma, poi, arriva un Handel che sa di autobiografia: “Lascia ch'io pianga mia cruda sorte e che sospiri la libertà”, l'aria dal Rinaldo già presente nel Trionfo del tempo e del disinganno come invito “Lascia la spina | cogli la rosa”. Musica magistra vitae, con dignità e sincerità.
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Alfonsina: vox populi
Sabato 19 ottobre la matrice, in locandina, sembra ancora barocca: il soprano Mariana Flores con i solisti della Cappella Mediterranea. Accanto al contrabbasso di Romain Lecuyer, però, Quito Gato suona la chitarra e il pianoforte, per la solista è pronto un microfono: l'impaginato promette Canciones argentinas. Non sono solo le radici musicali di Flores e i suoi ricordi familiari a farsi protagoniste, ma quelle di un'intera comunità, un'idea di musica che è anche un'idea di società, un patrimonio comune di canti, racconti, affetti e valori. Nel momento in cui proprio l'Argentina ha chiuso il Ministero della Cultura, gesto gravissimo che d'altra parte si rispecchia anche nella programmazione a dir poco declinante del Teatro Colon, l'inno alla figura eroica della rivoluzionaria Juana Azurduy (1780 – 1862) fa il paio eloquente con la dolorosissima Alfonsina y el mar, dedicata da Ariel Ramirez alla non meno eroica poetessa Alfonsina Storni (1892 – 1938), intellettuale e donna libera morta suicida in mare. Proprio di fronte a chi la calpesta e la derubrica quasi fosse uno spreco utile solo quando può trasformarsi in vetrina di propaganda, la musica alza la testa e tiene viva un'anima libera e fiera, anche gioiosa, esuberante, colma d'amore.
Flores dimostra di saper gestire benissimo il rapporto con il microfono, cosa niente affatto scontata per chi abbia un'impostazione lirica, al pari del vibrato, amministrato con saggezza al servizio di un'acuta musicalità. Canta bene, insomma, destreggiandosi in un repertorio per lo più d'autore e pure patrimonio comune, vera e propria voce del cuore, dell'anima, delle radici. Né sono da meno i suoi compagni d'avventura strumentali (Gato anche in veste di autore e arrangiatore), festeggiatissimi dal pubblico a cui viene offerto come bis la peruviana Flor de la canela.
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Orphée: la luce nelle tenebre
Domenica 20 ottobre l'appuntamento è con l'opera. Dopo il viaggio intorno a Monteverdi degli anni scorsi (Orfeo e Il ritorno di Ulisse in patria) si torna al mito fondatore del teatro musicale, al cantore trace, ma in una particolare declinazione francese. Due volte Marc Antoine Charpentier si è dedicato alla discesa agli inferi dello sposo di Euridice, con la cantata Orphée descendant aux Enfers H 471 (1683/4) e poi con l'opera La descente d'Orphée aux Enfers H 488 (1686/7). Quest'ultima ci è probabilmente giunta mutila di un terzo atto – benché alcuni studiosi asseriscano che il testo sia invece completo così come lo conosciamo – e di fatto esclude l'epilogo del mito: l'opera tratta esclusivamente della morte di Euridice e della decisione di recarsi a riprenderla (atto I), del potere del canto di Orfeo nell'alleviare le pene dei defunti e della commozione di Pluton che gli concede di riavere la sposa a patto che non si volti a guardarla prima di essere tornati sulla terra (atto II). La cantata, parimenti, si concentra sugli effetti della musica nell'Ade, fra i supplizi di Ixion e Tantale. In entrambi i casi i testi a noi pervenuti si concludono con un inno alle virtù della musica nel desiderio che il semidio cantore resti ad allietare il regno delle ombre.
Trattandosi di partiture piuttosto brevi (meno di venti minuti e di un'ora), con un organico contenuto (due violini, due flauti, due viole da gamba e basso continuo con cembalo e organo positivo, viola da gamba, liuto e tiorba: nove musicisti in tutto), a Tours le vediamo unite, la cantata incuneata fra i due atti dell'opera ad arricchire il quadro infero fondamentale senza soluzione di continuità. Solo una cesura è posta alla fine del primo atto della Descente, con l'introduzione di un madrigale contemporaneo in prima esecuzione assoluta. Complainte di Patrick Burgan è un pezzo di grande fascino, che riprende l'espressiva disinvoltura cinquecentesca nell'uso degli intervalli e delle dissonanze in un'ottica attuale conscia dell'elaborazione sonora di stampo soprattutto francese (spettralismo in primis: Burgan è stato allievo di Grisley). Il testo deriva da un sonetto dedicato a Orfeo da Louise Labé, di cui si celebra il cinquecentenario della nascita. In prima istanza avrebbe dovuto essere un epilogo che riassumeva l'esito infelice dell'avventura del cantore e la perdita definitiva dell'amata; tuttavia, appare saggia l'idea di collocarla a suggello della sequenza terrena, lasciando aperto il finale sull'effetto della musica nel regno delle ombre. Non solo si pone in evidenza il problema dell'incompiutezza dell'opera di Charpentier, ma di dà allo spettacolo intero un preciso, fascinoso indirizzo. Il cuore della vicenda non è più la salvezza di Euridice, che resta la causa scatenante, ma poi si stempera in favore di un sentimento universale. Una sorta di cammino iniziatico riconoscibile in tutto l'arco di questi concerti porta dal dolore individuale alla presa di coscienza di sé e da lì a un'arte che è valore prezioso per l'intera comunità. L'Ade non pare altro che una dimensione effettiva, concreta dell'esistenza mondana in cui l'arte determina lo scarto fra un supplizio senza luce e, viceversa, la pienezza di una vita degna di essere vissuta.
Già apprezzate in una splendida serata rinascimentale lo scorso anno, le voci dell'Ensemble Jacques Moderne si uniscono agli strumentisti di Concerto soave (tutti eccellenti, ma una lode particolare si conceda alla pregnanza rara del suono delle tre gambiste) sotto la direzione di Joël Suhubiette. Robert Getchell, Orphée, è un persuasivo, raffinato haute-contre, i soprani Julia Wischniewski e Anne-Sophie Honoré rivestono con idiomatica efficacia le parti di Eurydice e Proserpine così come i bassi Matthieu Heim e Thierry Cartier quelle di Pluton e Apollon.
Alla fine la festa è almeno doppia, perché si celebrano anche i cinquant'anni dell'Ensemble Jacques Moderne. Quale modo migliore ricordando che l'arte, la musica non è solo ciò che ci fa uscire da un inferno, ma ciò che può trasformare l'inferno in un mondo migliore, che ci permette di essere noi stessi e di comunicare senza barriere e pregiudizi.
Ora non resta di far tesoro di questa esperienza e darsi appuntamento al 2025 per festeggiare i dicei anni dei Concerts d'Automne.
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