L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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L’opera in breve

di Cesare Fertonani

Se c’è un’opera più di ogni altra emblematica del primo Novecento, decisiva nel concentrare le tensioni culturali e le aspirazioni più radicali della nuova musica questa è senza dubbio Wozzeck.
Faticosa, la genesi dell’opera protrae per parecchi anni. Il 5 maggio 1914 Berg assiste a Vienna alla rappresentazione del dramma Wozzeck di Georg Büchner riportandone un’impressione folgorante (benché composto nel 1836-37, il dramma frammentario era stato pubblicato per la prima volta nel 1879 nell’adattamento di Karl Emil Franzos che lo aveva intitolato con il nome del protagonista letto per errore “Wozzeck” anziché “Woyzeck”). Il compositore inizia subito a stendere le prime idee per un’opera su libretto proprio, trovandosi tuttavia costretto ad abbandonare ben presto il progetto, tra l’altro per portare a termine i Drei Orchesterstücke op. 6; con lo scoppio della Prima guerra mondiale, nel 1915 Berg è chiamato alle armi e soltanto due anni dopo avrà modo di tornare a occuparsene seriamente. Ma anche una volta terminato il conflitto, il lavoro procede con lentezza e lunghe interruzioni. Nel 1919 Berg ha concluso il primo atto ma riuscirà a portare a compimento il lavoro solo nel 1921, completandone l’orchestrazione nell’aprile dell’anno successivo.
A questo punto, pubblicata grazie al sostegno di Alma Mahler la riduzione per canto e pianoforte (a cura di Fritz Heinrich Klein), l’opera aspetta solo di essere rappresentata ma, sebbene Berg abbia firmato un contratto con l’Universal Edition, nessun teatro è davvero intenzionato a metterla in scena. Così il compositore accetta l’invito di Hermann Scherchen a prepararne qualche estratto per la sala da concerto: il clamore suscitato dall’esecuzione dei Drei Bruchstücke aus “Wozzeck” a Francoforte sul Meno, il 15 giugno 1924, induce diversi teatri a richiedere la prima rappresentazione dell’intera opera, che però è già stata nel frattempo programmata dalla Staatsoper di Berlino.
Qui, il 14 dicembre 1925, la prima diretta da Erich Kleiber riscuote un considerevole successo a dispetto della campagna di stampa scatenata dalla critica più reazionaria; Wozzeck conoscerà poi ampia diffusione in Europa, almeno sino all’avvento del nazismo, e negli Stati Uniti (nel 1942 c’è anche la prima italiana, diretta a Roma da Tullio Serafin).
Nel rielaborare il dramma, Berg si basò sulla versione di Franzos, a sua volta risistemata (1909) da Paul Landau (quando nel 1921 venne a conoscenza della prima edizione critica, pubblicata l’anno precedente, la composizione era ormai a uno stadio troppo avanzato per poterla utilizzare come testo di riferimento). D’altro canto, le manipolazioni e i travisamenti dell’adattamento di Franzos furono determinanti per la recezione in chiave espressionistica del dramma sino al 1920 e dunque anche per la sua interpretazione da parte di Berg, che mira a focalizzare il mondo di allucinata, tragica alienazione sociale ed esistenziale in cui sonocostretti a vivere – e a morire – Wozzeck e Marie. Il libretto impiega per lo più direttamente il testo dell’edizione Landau, limitandosi a distribuirne le scene (ridotte da ventisei a quindici) in tre atti di cinque scene ciascuno e a introdurre tagli e ritocchi.
L’intento di comporre una musica drammatica che rappresentasse in modo pregnante l’azione scenica senza nel contempo venir meno alle prerogative della sua autonomia indusse Berg a dare al problema formale una soluzione ingegnosa: ovvero concepire l’opera come un sistema di forme chiuse, in cui ciascun atto e ciascuna scena all’interno di ogni atto costituiscono un’unità strutturale indipendente. Dal punto di vista dell’architettura su vasta scala l’atto centrale, il più strettamente elaborato, è incorniciato da due atti che si corrispondono nell’articolazione meno serrata (secondo una sorta di grande forma ABA). Il primo atto, l’esposizione del dramma, presenta i cinque personaggi principali eccetto Wozzeck, delineandone il rapporto che li lega al protagonista, ed è costruito come una serie di pezzi di carattere: una suite per il Capitano (scena 1); una rapsodia per Andres (scena 2); una marcia e ninnananna per Marie (scena 3); una passacaglia per il Dottore (scena 4); un rondò per il Tamburmaggiore (scena 5). Il secondo atto, la peripezia, è una sinfonia in cinque movimenti: forma sonata (scena 1); fantasia e fuga (scena 2); Largo (scena 3); scherzo con due trii (scena 4); rondò (scena 5). Il terzo atto, la catastrofe, consta di sei invenzioni su singoli elementi musicali: un tema (scena 1); una nota (scena 2); un ritmo (scena 3); un accordo di sei note (scena 4); una tonalità (interludio conclusivo); una regolare scansione ritmica (scena 5).
È comunque ovvio che, per Berg, queste strutture rigorose riguardano la forma intrinseca dell’opera, che come tale non deve essere necessariamente colta dal pubblico; d’altronde l’elemento unificante più chiaramente percepibile è dato dalla rete dei Leitmotive, identificati con personaggi e situazioni drammatiche il cui ricorrere sottolinea associazioni e corrispondenze nel corso dell’opera, e dagli interludi. Utilizzando le risorse di un libero linguaggio cromatico denso di allusioni e reminiscenze tonali, di tutte le opzioni espressive della voce (canto, Sprechgesang, parlato), di una straordinaria pluralità di livelli e piani stilistici (inclusa l’ironia e la parodia), Berg realizza un’opera dove l’impressionante complessità è perfettamente commisurata alla più incandescente forza
drammaturgica ed espressiva.


 

 

 
 
 

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