L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Indice articoli

La fanciulla del West alla Scala

 

L’opera in breve

Claudio Toscani

Nel 1905, conclusa l’esperienza di Madama Butterfly, Puccini si fa cogliere dall’ansia del rinnovamento e si pone laboriosamente alla ricerca di un soggetto d’opera che gli permetta di percorrere vie nuove. La scelta, che arriva solo nel 1907, cade ancora una volta su un dramma di David Belasco, The Girl of the Golden West: una storia ambientata tra i minatori all’epoca della corsa all’oro americana, influenzata da un mito – l’uomo che lotta per il successo ed è artefice della sua fortuna – profondamente radicato nella cultura della giovane nazione; ma anche un soggetto avventuroso e ricco di forti contrasti passionali, che sembra confermare appieno la poetica di fondo del compositore. Tratteggiando un ambiente simile, Puccini non si lascia sfuggire l’occasione di utilizzare (come già per il Giappone della Butterfly) materiali folclorici: nella Fanciulla compaiono melodie autentiche o parafrasate quali Dooda dooda day, la melodia di Jake Wallace “Che faranno i vecchi miei”, un ragtime, un bolero, un cakewalk, ma anche pagine efficaci in quello stile che, molti anni dopo, sarà reso popolare dalle colonne sonore dei film western. Altrettanto legati all’ambiente sono i tipi umani, dai sentimenti forti e dalle reazioni elementari (comunque lontani dalla finezza introspettiva della Butterfly), e una drammaturgia semplice. L’azione, infatti, è basata su due nuclei drammatici distinti, entrambi richiamati sin dall’introduzione sinfonica. Il primo fa capo all’insieme dei personaggi maschili (cercatori d’oro, banditi e avventurieri, uomini rudi che fanno parte di una società primitiva), i quali costituiscono una sorta di personaggio collettivo cui fa da contrappeso la figura di Minnie, l’unica voce femminile (il ruolo della squaw Wowkle è molto ridotto); questo primo nucleo è caratterizzato da una vocalità vigorosa, da un canto prevalentemente declamato, da incisività ritmica, da armonie spesso dissonanti. Il secondo, che dà voce ai sentimenti, ruota invece intorno al lato dolce del carattere di Minnie: sfoggia un eloquio musicale più disteso, una vocalità più ampia e lirica, un fraseggio simmetrico e un linguaggio armonico consonante. La protagonista, che condivide le passioni forti ed elementari del suo ambiente, accoglie infatti in sé gli aspetti più contradditori: l’intraprendenza giovanile, la passionalità spontanea, la saggezza, il coraggio, la malizia; energica e volitiva nella partita a carte truccata con Rance, Minnie si sa anche mostrare appassionata nell’amore e materna coi minatori. A questa molteplicità di aspetti corrisponde un basilare principio costruttivo, fondato sulla flessibilità di stili e linguaggi: La fanciulla del West è musicalmente articolata in blocchi differenziati, corrispondenti ai nuclei fondamentali della vicenda. Non vi si trovano però i numeri chiusi e autonomi del melodramma tradizionale, né romanze isolate e apertamente esibite, bensì una struttura discorsiva essenzialmente dialogica, con aperture solistiche ariose; tutti i cantabili si inseriscono perciò in scene fluide, dove si intrecciano liberamente il declamato, l’espansione lirica, le esclamazioni, i rumori. Con l’unica eccezione dell’addio di Johnson nell’ultimo atto (“Ch’ella mi creda libero elontano”), riconducibile a un’aria vera e propria, in tutti i luoghi i personaggi aderiscono a uno stile vocale che alterna il declamato all’arioso: uno stile nel quale i momenti del canto lirico solistico sono ridotti e di breve respiro. Nella Fanciulla del West Puccini sembra dunque rinunciare a una cantabilità fluida, alle melodie dispiegate e avvolgenti che altrove costituiscono la cifra del suo stile più caratteristico. A Minnie e a Rance, per esempio, sono concesse solo brevi aperture liriche solistiche, poche frasi cantabili di una certa ampiezza, per di più all’interno di duetti o altre sezioni d’insieme. Pur rinunciando alla tradizionale articolazione formale del melodramma all’italiana, Puccini alterna tuttavia momenti di tensione e distensione all’interno dell’opera, delimitando aree corrispondenti alle forme consuete; e, soprattutto, affida all’orchestra un ruolo che ne fa il vero filo conduttore della vicenda drammatica. Rielaborando un numero ristretto di temi, l’orchestra si fa protagonista di un ricco discorso “sinfonico” – una trama musicale continua – che assume su di sé sia il compito drammatico-narrativo sia quello di esprimere il lirismo delle situazioni emotivamente più coinvolgenti. Da una parte, dunque, un canto melodicamente povero, un declamato sottilmente differenziato e ricco di sfumature; dall’altra un’orchestra che assume un ruolo di primissimo piano, un’armonia e un linguaggio ritmico e timbrico raffinati, nei quali si avverte facilmente l’eco delle tendenze europee più moderne (Debussy, Strauss, la scuola russa). Malgrado la sua apparente semplicità, La fanciulla del West è un’opera dall’invenzione musicale assai complessa: un’invenzione che riesce a far dimenticare la modestia letteraria del libretto, e soprattutto la vicenda, ingenua e del tutto improbabile. Maurice Ravel raccomandava lo studio di questa partitura ai suoi allievi di composizione: non era certo un caso.

Dal programma di sala La fanciulla del West - 3 maggio 2016

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