L’Ape musicale

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NOTE DI REGIA

Carmelo Rifici

Nello spettacolo volutamente sospeso e onirico di L’heure espagnole si muove l’appassionata e sensuale Concepción, moglie dell’orologiaio Torquemada, che è solita ricevere gli amanti durante l'assenza del marito, allontanato dal negozio grazie a un intricato gioco di inganni, bugie e pendole che fanno la spola tra la bottega e la camera da letto. L’ambientazione meccanica e sognante di questa raffinata opera ha qualcosa di familiare per Ravel, dato che la madre Marie, di origine basca, aveva la dolce consuetudine di cantare in casa melodie spagnole cariche di sensualità e calore. Il nostro allestimento tenta di mantenere in equilibrio le due anime dell’opera, da una parte un’architettura meccanica legata alla professione del padre, orologiaio proprio come Torquemada, dall’altra l’evocazione erotica della madre. In uno spazio totalmente antinaturalista, abbiamo cercato di ricreare non tanto la bottega dell’orologiaio, quanto uno spazio del tempo, evocato da una gigantesca clessidra che dà inizio all’azione scenica e drammatica. L’idea è quella di mantenere una sana leggerezza dello spazio, svuotato da pendole, orologi e macchinerie, ma al contrario abitato da un mobilio che di volta in volta giunge dall’alto per far apparire personaggi e situazioni, dando sfogo all’azione, pronto a sparire quando ha esaurito il suo compito. Le stesse pendole, oggetti fondamentali per l’intrigo amoroso di Concepción, sono inglobate dalle stesse pareti, apparendo e scomparendo all’occorrenza, così come gli ironici e feroci cucù che ci ricordano l’inesorabile trascorrere del tempo. I personaggi, costruiti come automi robotizzati, partecipano a questa danza amorosa. I costumi pensati per impedire loro di muoversi in maniera realistica, mostrano tutta la carica erotica dei personaggi proprio grazie all’impossibilità di farla scoppiare. Lo spettacolo, lontano dall’idea di restituire al pubblico una semplice pochade, si pone l’obiettivo di accompagnare una partitura sapiente, colta ed estremamente raffinata, nonostante l’ambigua popolarità del soggetto.

L’intrigo è anche alla base di Gianni Schicchi di Giacomi Puccini. L’opera è nota, Puccini riprende il tema già affrontato da Dante che incontra Schicchi nel girone infernale dei falsatori di persona, per il tiro giocato sul letto di morte di Buoso Donati. Simulando i gesti e la voce di Buoso, già morto, egli dettò un falso testamento in favore proprio e di Simone Donati, suo complice e fidanzato della nipote. Lo spirito di commedia, trattenuto e soffocato in Ravel, qui esplode in tutta la potenza grazie alla partitura di Puccini e al libretto di Giovacchino Forzano. Abbiamo pensato di ambientare l’opera all’interno di un cinema, non solo per sottolineare la comicità del soggetto, antenato di una certa commedia all’italiana che proprio grazie al cinema, farà conoscere al mondo una generazione di interpreti superlativi, ma soprattutto per mostrare, attraverso un sapiente gioco di montaggio, la superba costruzione dell’opera. Primi piani, piani americani e campi lunghi, diventano necessari strumenti per far calare lo spettatore in una situazione brillante di azioni, contrazioni e piani di ascolto. Il dispositivo scenico rappresenta la camera (mortuaria) di Buoso e allo stesso tempo mostra anche la sua natura ingannatrice e manipolatrice. Il cinema ci aiuta anche a calare i personaggi all’interno del fortunato tema del denaro e dell’avidità dell’italiano medio, pronto a tutto per afferrare una parte di eredità non meritata. I colori e i disegni della scenografia e dei costumi ci ricordano lontanamente anche una certa appartenenza fiorentina del soggetto, ma ormai scolorita e inquinata dalla sete del denaro, dalla velocità della modernità (e qui chiaramente i riferimenti al cinema sono molteplici), dalla rincorsa alla facile ricchezza che, come sempre e nella migliore delle tradizioni, alla fine sfugge agli avidi stupidi per finire nella mani degli scaltri e scanzonati personaggi di commedia, già noti nell’Italia di Dante e Boccaccio.


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