Ascesa agli inferi
di Andrea R. G. Pedrotti
Desta qualche perplessità nel primo atto, convince maggiormente nel secondo la ripresa di Don Giovanni nell'allestimento firmato dal recentemente scomparso Jean-Louis Martinoty con la direzione di Sacha Goetzel.
VIENNA 27 aprile 2016 - Fra Un ballo in maschera [leggi la recensione] e la prèmiere di Turandot [leggi la recensione], va in scena alla Wiener Staatsoper un titolo del grande repertorio del melodramma, scritto da un musicista simbolo per la città di Vienna come Wolfgang Amadeus Mozart.
La serata sembra spezzata in due parti, con un primo atto musicalmente meno convincente e una decisa ripresa nel corso del secondo. La regia di Jean-Louis Martinoty non è probabilmente la miglior messa in scena a disposizione del teatro nazionale viennese, tuttavia Don Giovanni resta una delle opere più belle scritte dal genio di Salisburgo, forse quella drammaturgicamente più compiuta, all’interno della trilogia nata dalla collaborazione fra il compositore e Lorenzo Da Ponte.
Sicuramente non possiamo definirla una produzione costosa, poiché buona parte delle scenografie e degli ambienti sono ricreati mediante delle proiezioni, non sempre concepite con attinenza all’azione o al susseguirsi delle scene. Sul palco troviamo pochi elementi scenici, come, ad esempio, un tavolo oblungo durante il catalogo di Leporello, o una costruzione nella casa di Don Giovanni, dalla cui sommità scenderà il Commendatore, per vendicare le tendenze libertine del protagonista dell’opera.
Le scene (in pratica delle cornici sbilenche e un sipario obliquo rigido e nero) sono squadrate e fungono da fondale per le proiezioni.
Don Giovanni è rappresentato come un debosciato e perde molte caratteristiche del grande di Spagna che dovrebbe essere: infatti egli è un personaggio grezzo, poco nobile e teme il Commendatore, mentre la paura dovrebbe essere appannaggio di Leporello. Discorso simile per il servo di Don Giovanni, che ne diviene una copia caratteriale, brandendo donne per illustrare meglio il catalogo delle conquiste a Donna Elvira e si dimostra libertino poco raffinato, al pari del padrone.
Tutti gli altri personaggi sono simili a come li potremmo vedere in qualsiasi regia di Don Giovanni, senza particolari guizzi di originalità.
Nella compagni di canto su tutti si fa preferire il protagonista, Adam Plachetka, disinvolto scenicamente e vocalmente. Il suono è ben proiettato, la dizione chiarissima e i registri omogenei. Peccato alcuni fastidiosi portamenti nel fraseggio, dovuti anche all’impostazione registica.
Don Ottavio era un discreto Maximilian Schmitt, il quale non demerita tecnicamente, ma difetta nell’interpretazione, proponendo un personaggio piuttosto anonimo. Don Ottavio è un affettuoso amante (in senso ottocentesco), protettivo nei confronti della promessa sposa, che fatica a dimenticare l’irruenza di Don Giovanni, anche considerato che il mancato di consesso carnale con quest’ultimo non è dichiaratamente fallito a causa di una ribellione di Donna Anna, potrebbe essersi concluso anzitempo per il giungere del padre di lei. Forse il suo distacco non è indipendente dalla caratterizzazione della Donna Anna di Rachel Willis-Sørensen, parimenti poco partecipe all’azione scenica, dal fraseggio diffusamente anonimo, oltre che con numerose difficoltà nell’esecuzione delle agilità.
Di buon livello la Donna Elvira di Olga Bezsmertna, sicura nella parte della moglie tradita dal seduttore seriale che l’aveva condotta all’altare. Si comprende poco perché sia apparsa in scena con un tailleur (giacca e pantalone) viola, per indossare immediatamente dopo un abito lungo di egual tinta. Al suo giungere da Don Giovanni, presso l’abitazione dello stesso, per incitarlo al pentimento e, vestita da suora, subisce un tentativo di stupro da parte del marito, destatosi dal suo “piatto saporito”, ossia due cameriere stese a terra per appagare i suoi piaceri.
Non entusiasma il Leporello di Jongmin Park, il quale scade troppo spesso nel parlato e, come detto prima, in numerosi portamenti ineleganti, che sciupano la bellezza della parte. Scenicamente la sua è una prova discreta.
Buono il Masetto di Manuel Walser e, al solito, elegantissima Aida Garifullina, che impersona una Zerlina raffinata con una bella prova attoriale e un buon controllo del mezzo vocale. Il fraseggio è sempre molto espressivo, nel contesto di una prestazione in crescita.
Sascha Goetzel offre al pubblico della Wiener Staatsoper una concertazione molto diversa fra primo e secondo atto. Inizialmente la sua bacchetta risulta fin troppo greve e il gesto quasi violento. Si percepisce, inoltre, qualche scollatura nell’unisono fra buca e palcoscenico nel finale del primo atto. Discorso completamente diverso per il secondo atto, quando la sua bacchetta diviene meno impetuosa e stilisticamente più appropriata al repertorio mozartiano, l’unità fra il golfo mistico e il palcoscenico torna buona, con il direttore d’orchestra viennese a dare il suo meglio nella celeberrima scena del secondo atto “Don Giovanni, a cenar teco”.
Ottimi, come sempre, l’orchestra della Wiener Staatsoper (perfettamente ligia alle indicazioni del direttore) e il coro diretto da Thomas Lang.
I costumi (a cura di Yan Tax) sembrano appartenere a una irreale seconda metà del XX secolo, a eccezione di quelli della festa in maschera del finale primo, caratteristici di un tardo XVIII secolo. Le scene sono a firma Hans Schavernoch e le luci a firma di Fabrice Kebour.
Il pubblico (composto principalmente da turisti) ha incrementato il proprio calore nel corso della serata.