Il gusto del noto e dell'ignoto
di Roberta Pedrotti
Piacevolissima serata con un programma che affiancava l'arcinoto Primo concerto per pianoforte e orchestra di Cajkovskij a pagine fra le meno eseguite di Britten e Bartok. Il pubblico di Lugo di Romagna si conferma reattivo e ricettivo, schiettamente appassionato senza preconcetti.
LUGO, 27 gennaio 2017 - Parlare di “provincia”, per concerti opere e teatro, può voler dire tutto o niente: una comoda definizione generica per realtà concrete, spesso ben più reattive e recettive di quelle blasonate cittadine. Lo abbiamo visto a Casalecchio di Reno, con un teatro (il Laura Betti) non attrezzato per i concerti sinfonici e dedito per lo più alla prosa, ma stipato di giovanissimi attenti quanto preparati [Casalecchio di Reno, Pierino e il lupo, 19/01/2017]. Lo vediamo ora a Lugo di Romagna, cittadina dalla tradizione musicale già ben radicata, con un Teatro settecentesco riaperto proprio trent’anni fa, una programmazione dedita alle rarità e agli appuntamenti preziosi seguiti assiduamente dai cittadini, la gloria dell’origine della famiglia Rossini.
Ecco allora che il teatro, per l’appuntamento con la Filarmonica Toscanini in trasferta, sfiora l’esaurito, e, se il richiamo principale facilmente sarà consistito nel Primo concerto per pianoforte e orchestra di Cajkovskij, nessuno guarda con sospetto una seconda parte un po’ più inconsueta. Anzi, lo stesso pubblico che non considerava un atto dovuto il bis del pianista Ruben Micieli ma lo ringrazia ad alta voce, e accoglie l’annuncio di uno Studio di Chopin con un mormorio ammirato, si mostra attentissimo all’introduzione del direttore Francesco Lanzillotta ai brani di Britten e Bartok. Li ascolta con curiosità, sana apertura mentale e qualche scrupolo nell’evitare di applaudire fuori tempo. Si percepisce un bel clima, un approccio schietto alla cultura lontano mille miglia dalla spocchiosa routine di certi frequentatori di sale da concerto e teatri d’opera (absit injuria verbis: non si vuol generalizzare la critica, ma lodare il merito).
Incorniciato da una così franca predisposizione del pubblico, il concerto si fa apprezzare in tutta l’articolazione del programma. In primis perché Ruben Micieli è davvero un talento notevole per i suoi diciannove anni: forte di una tecnica sicura e di una musicalità, se non ancora particolarmente variegata e originale, già segnata da un’interessante traccia personale, soprattutto in termini di gusto. Né sdolcinato né plateale, dimostra una spiccata propensione per lo sviluppo ritmico del fraseggio, lasciando presagire possibili interessanti sviluppi futuri. Lanzillotta, poi, lo supporta perfettamente in una lettura lirica e asciutta, accurata negli equilibri, lieve quanto netta nella definizione di metri e accenti.
Dopo il cimento dell’estrema popolarità, giunge il cimento dell’estrema rarità, aperto da quel curiosissimo esempio di musica didattica che è The young People’s Guide to the Orchestra di Britten. Una sorta di Pierino e il lupo senza trama e drammaturgia musicale; quindi, un’accurata illustrazione delle famiglie strumentali con un quid didascalico che la può indirizzare, giustamente, più a un giovane già interessato che a un bimbo da conquistare all’amore per la musica. Anzi, ascoltando il dipanarsi di variazioni e fuga su un tema di Purcell per esprimere le possibilità e gli accostamenti fra strumenti singoli e sezioni, il sospetto è quasi che il brano possa attrarre più l’amante di Britten già smaliziato, che si diverta a esplorarne questo saggio magistrale d’orchestrazione in forma di manualetto sonoro. L’effetto, però, sembra smentire questa visione esoterica, e quella essoterica prende forza nel sincero coinvolgimento della sala, propiziato anche dalle parti recitate affidate allo stesso Lanzillotta. Chiude la serata la Suite di danze sz. 77 di Bela Bartok, in cui la cura già dimostrata per la dimensione temporale, l’articolazione di ritmo e metro, deve giungere alle estreme conseguenze, con una scrittura tanto frastagliata e spigolosa, il cui moto perpetuo non pare ammettere abbandoni edonistici. L’acustica del Teatro Rossini, asciutta nei suoi spazi raccolti, favorisce la chiarezza dell’esecuzione, ben intellegibile nel suo mosaico di elementi popolari – non solo magiari e slavi – idealizzati.
Un istante di stupore, l’attesa della conferma dal podio che l’appaluso non sarà fuori luogo, e accoglienza festosa per tutti gli artisti. E pensare che c’è chi sostiene che Lugo investa “troppo” in cultura: senza il teatro, la cultura, la musica non riusciremmo proprio a immaginare Lugo e i lughesi!