L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Myung Whun Chung e Alexander Malofeev

Due stelle sotto la Mole

 di Alberto Ponti

L’incontro di un giovanissimo fuoriclasse del pianoforte con uno tra i principali direttori di oggi chiude la stagione 2017/18 dell’Orchestra Sinfonica Nazionale.

TORINO, 30 maggio 2018 - La storia del concertismo abbonda di talenti precoci e di altrettanto precoci eclissi, di vittime sacrificali sugli altari di una celebrità tanto improvvisa e intensa, oggi amplificata da esecuzioni ed interviste reperibili in tempo reale, quanto evanescente. Alexander Malofeev, pianista nato nel 2001 capace di vincere nel 2014 il primo premio al Concorso Cajkovskij di Mosca e di iniziare una prestigiosa carriera, attira facilmente l’attenzione mediatica e, suo malgrado, finisce per essere presentato prima di ogni esibizione come una rivelazione assoluta del suo strumento. Grande era quindi a Torino l’attesa, martedì 29 e mercoledì 30 maggio, non solo per il debutto all’auditorium Rai del ragazzo russo ma anche per il ritorno di una bacchetta del calibro di Myung-Whun Chung, da anni nell’olimpo dei massimi direttori. A stuzzicare la fantasia di molti era poi la prima parte del programma con la Rapsodia su un tema di Paganini op. 43 (1934) di Sergej Rachmaninov (1873-1943), considerato tra i compositori ‘difficili’ per eccellenza. Chi si aspettava una lettura del brano nel senso più spettacolare sarà forse rimasto deluso: Malofeev non calca mai la mano nemmeno nei passaggi più virtuosistici dimostrando un controllo della tecnica, una maturità di pensiero e un’originalità di visione che sfuggono al cliché dell’interprete d’assalto, sovente predestinato all’oblio, per inserirlo in quello del solista di rango di cui, per nostra fortuna, sentiremo parlare per molti anni ancora. È presto per dire se le sue capacità lo porteranno a scalare le vette più alte del pianismo contemporaneo ma l’impressione è quella di un musicista dalla inesausta intensità e varietà del tocco, capace di rendere al meglio le mille sfumature di un pezzo oscillante tra malinconia e isteria, seguendo il filo di una propria poesia interiore lontana da ogni atteggiamento divistico. Come di norma avviene in Rachmaninov non mancano i momenti di autentica pirotecnia, affrontati da Malofeev con innata eleganza, sia nel respiro di legati vertiginosi sia nella furia organizzata di temibili accordi martellati, distribuiti talvolta a mani incrociate. Un partner come Chung sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale è la scelta ideale: l’infallibile precisione degli attacchi, la pulizia del timbro a palesarsi come pendant del suo gesto misurato ma energico si adattano con somma perfezione alla singolare essenzialità di un suono asciutto, compiutamente novecentesco, e all’incedere nervoso per brevi periodi che rendono la Rapsodia e il quarto concerto così distanti dal pathos espansivo dei precedenti lavori solistici dell’autore.

Un tono più elegiaco si fa strada nel primo dei due bis concessi prima dell’intervallo. Dumka op. 59 di Cajkovskij, dal significativo sottotitolo ‘Scene da un villaggio russo’, è dipinta sulla tastiera con pacata quietezza senza rinunciare, nella mossa parte centrale, a un’inquieta liquidità di fraseggio nel conferire un’anima autentica a una pagina spesso confinata al ruolo di epidermico souvenir caratteristico. Il notissimo ‘Precipitato’, ultimo movimento della sonata n. 7 op. 83 di Prokof’ev, lucidato a specchio nella sua essenza selvaggia e meccanica, scatena nel pubblico il più sincero entusiasmo, reiterato nelle ripetute chiamate in scena, per un artista di autentica statura.

Della beethoveniana Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 ‘Eroica’ (1802-04) di Myung-Whun Chung non si può che dire tutto il bene possibile. L’estrema tensione dei due accordi di esordio si stempera nella monumentale arcata dell’Allegro con brio, tratteggiata con espressione palpitante e calibratissima allo stesso tempo per passare alle profondità di una Marcia funebre traboccante di composta emozione. L’Allegro vivace dello Scherzo è tra i migliori mai uditi, merito del bilanciamento perfetto che il maestro coreano riesce ad ottenere tra le diverse sezioni orchestrali, con un moto degli archi già quasi mendelssohniano nella sua leggerezza e i tre corni vicini alla perfezione nel Trio. Un finale addirittura impetuoso, concertato senza tregua attraverso ogni possibile temperie spirituale per giungere alla guerresca apoteosi, rappresenta, con la contagiosa ovazione di tutto l’auditorium ‘Toscanini’, la migliore conclusione di una stagione di alto livello, in attesa del Festival di Primavera ‘Rossini e dintorni’ e dell’imminente presentazione degli appuntamenti per il 2018/19.

foto Maria Vernetti


 

 

 
 
 

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