Metafisica e sogno
di Alberto Ponti
Due giovani protagonisti, Alessandro Bonato e Mao Fujita, affrontano con personalità e classe pagine di Mozart e Čajkovskij nella stagione dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
TORINO, 18 maggio 2023 - Un'improvvisa indisposizione di Leonidas Kavakos alla direzione e la serata del debutto del pianista Mao Fujita con l'Orchestra Sinfonica Nazionale vede Alessandro Bonato richiamato in corsa sul podio dopo il concerto di pochi giorni prima (leggi la recensione). L'accoppiata sulla carta promette scintille, come è naturale quando si trovano fianco a fianco due interpreti rispettivamente di 24 e 28 anni. Accanto alla giovanile freschezza mostrano entrambi, qualità non da poco, una sorprendente maturità che li ha già portati a riscuotere affermazioni in giro per il mondo, anche insieme in Giappone lo scorso gennaio.
Mao Fujita è un giapponese dall'aspetto gentile, quasi dimesso, tipicamente orientale a partire dal modo di inchinarsi verso il pubblico e di camminare, ma il suo atteggiamento nei confronti di un capolavoro quale il Concerto n. 23 in la maggiore K 488 di Wolfgang Amadeus Mozart, composto nello stesso anno de Le nozze di Figaro, è tutt'altro che intimorito o adagiato su facili soluzioni. La visione di Fujita, che nonostante la sua età può dirsi uno specialista del repertorio avendo all'attivo la registrazione integrale delle sonate del salisburghese, si giova di un tocco di elevata nobiltà e pulizia, un suono affascinante e cesellato con cura. Siamo di fronte a un pianista che ama l'abbellimento, nel puro stile settecentesco, sorretto da gusto ed eleganza personali, a suo agio in una pagina priva delle fiammate drammatiche dei concerti in re minore e do minore così come del virtuosismo brillante delle due opere analoghe che la precedono (K 467 e K 482), nutrita per intero di chiaroscuri e suggestioni timbriche. Tali caratteristiche vengono fuori, dopo l'ossimorico Prokof'ev angelico e sulfureo del preludio op. 12 n. 7, anche dal secondo dei due encore fuori programma concessi al pubblico torinese: un delizioso primo movimento della sonata in do maggiore K 545, dove grazia leggiadra e abilità tecnica concorrono a rivelare le complessità nascoste di un pezzo massacrato da generazioni di studenti alle prime armi con la tastiera. Nel concerto in la, tonalità metafisica per eccellenza nell'universo mozartiano, il gioco tematico dei rimandi tra le idee melodiche, sempre di eccezionale bellezza, è condotto da Fujita con qualche licenza ben accetta, qualche 'rubato' in anticipo sui tempi, in particolare nei due veloci Allegro, con le note che scivolano via qua e là con un'uniformità di espressione riscattata da una cadenza eseguita con autentico piglio teatrale e dal dialogo mantenuto serratissimo con un'orchestra che si ammanta, tra i fiati, del colore preromantico di clarinetti, fagotti e corni. La direzione di Bonato è attenta a valorizzare le sfumature di questa scrittura di estrema raffinatezza attribuendo a ogni voce il giusto peso, anche nel celebre Adagio in 6/8 in ritmo di siciliana, cuore emozionale del lavoro, con i due protagonisti capaci di produrre un risultato di alta poesia.
La Sinfonia n. 1 in sol minore op. 13 Sogni d'inverno (1866-75) di Pëtr Il'ič Čajkovskij è un indubbio banco di prova per saggiare le doti del direttore veronese. Nonostante sia il primo impegnativo tentativo sinfonico del compositore russo, l'opera anticipa precocemente l'autore della Patetica e delle sinfonie della maturità, oltre a mostrare la consueta, impressionante facilità di ispirazione: rivoltate da capo a fondo tutto il catalogo di Čajkovskij e non troverete una melodia brutta o scolastica. Bonato, che si era fatto apprezzare per plasticità teatrale nella breve ouverture da La clemenza di Tito K 621 presentata come antipasto mozartiano in apertura di serata, consegue un risultato di alta aderenza al testo musicale. Non tragga in inganno il titolo, da intendersi come specchio di suggestioni personali e non tentativo programmatico, tanto che i soli primi due movimenti riportano altre indicazioni in apparenza letterarie: Visioni di un viaggio d'inverno e Terra nebbiosa. Il giovane maestro dirige senza bacchetta, con gesto ordinato e attento, dipingendo con tratto sicuro non solo le arcate dei temi principali, espansi con largo respiro e magistrale fraseggio, ma anche i piccoli dettagli disseminati nella doviziosa partitura: ecco che per un istante, a metà del primo Allegro pare di udire con meraviglia tra i corni un accenno al Valzer dei fiori, mentre, nell'Adagio cantabile, lo sfumare dell'indimenticabile melodia principale nella ripresa del corale introduttivo ha qualcosa della misteriosa magia dei momenti in punta di piedi dei grandi balletti.
Alessandro Bonato conduce in porto l'Orchestra Sinfonica Nazionale premendo sul pedale dell'acceleratore nei due tempi successivi, dalla scrittura più brillante e non priva di qualche facile effetto, soprattutto nel roboante finale, staccato con preciso senso di equilibrio tra le parti e con gli ottoni nel giusto rilievo. Il breve Scherzo è però il luogo dove il podio coniuga finezza di stile e straripante necessità espressiva con convincente e matura autorità.
La platea approva con entusiasmo e plaude a una coppia di esecutori destinati ancora a far parlare di sé.