Una scala a vista
(Intervista a Damiano Michieletto a cura di Franco Pulcini)
Parliamo di questo particolare impianto scenografico, con gli oggetti in scena e, separati, gli spazi architettonici “in pianta”, come fossero i due disegni sovrapposti di un appartamento: uno arredato, visto di fronte, e l’altro coi muri, visto dall’alto.
La prima volta che ho letto il libretto della Scala di seta, ho osservato che si tratta di una commedia giocata negli ambienti interni di una casa, di un appartamento. Il libretto parla di varie stanze, ma prevede un unico luogo, una camera, in cui tutti i personaggi convergono. Io ho invece previsto anche questi altri luoghi citati, e ho trasformato lo spazio visibile in un miniappartamento contemporaneo, in cui vive Giulia, la protagonista. Ho fatto questa lieve trasformazione per poter meglio ricreare il gioco teatrale del libretto. Volevo divenisse il più possibile divertente, restando al servizio della storia. Il mio intento era riuscire a raccontare l’intreccio in maniera allegra e giocosa. Avevo bisogno di uno spazio che permettesse di recitare con brio e senso del comico. Le varie stanze di questo appartamento, in realtà, sono un grande spazio aperto, perché ho tolto tutti i muri, anche se in alto sono indicati come nel disegno di una piantina. Però i personaggi che calcano la scena recitano come se i muri ci fossero veramente. Per rendere leggibile questo gioco scenico, lo spettatore vede la rappresentazione riflessa in uno specchio in alto, dove i muri sono tracciati. È come la piantina di un miniappartamento che si anima: un doppio spettacolo, uno di fronte e l’altro dall’alto, come dicevi.
Un’intuizione “architettonica”, per così dire?
Lo spettacolo comincia già mentre si esegue l’ouverture. All’inizio la scena è vuota. Poi arriva un personaggio che ho inventato, una specie di architetto che sta arredando la casa. Tutti i mobili vengono portati come in un trasloco. Con l’arredamento sono trasportati dentro lo spazio anche i personaggi della storia, su carrelli, come fossero delle suppellettili. E poi lo spettacolo si anima e tutto parte. È un luogo fatto apposta per ricrearvi all’interno un grande e divertito dinamismo, individuando bene i diversi ruoli della storia. Tra l’altro questa doppia prospettiva visiva permette di vedere la famosa “scala di seta”, che in genere si immagina dietro la scena. Invece, in questo spettacolo, si vedono le persone che si arrampicano fino alla finestra. Ma non solo: si vede tutto il “fuori scena”, con l’innamorato che arriva, aspetta, guarda l’orologio. Penso di aver trovato un modo per potenziare la vicenda, e poterla raccontare tutta e meglio da un punto di vista visivo.
Hai avuto dei modelli per questa idea? Ricordo il film Dogville di Lars von Trier con spazi da immaginare. Vi è spesso il teatro in cui l’attore mima l’esistenza di spazi.
Il teatro si serve spesso di questo stratagemma scenografico. L’idea iniziale era quella di fare uno spettacolo con oggetti e puntare sulla recitazione e sulla mimica dei cantanti la di fare uno spettacolo con oggetti e puntare sulla recitazione e sulla mimica dei cantanti- attori. Loro devono sempre recitare con porte inesistenti che si aprono e si chiudono, con gente che batte pugni su un muro immaginario o che ci appoggia l’orecchio per spiare. È surreale,ma fa parte della vita del teatro, che è anche fatta di finzione.
La musica di Rossini invita al movimento e a un tipo di recitazione particolare o, da un punto di vista registico, lo vedi un autore come gli altri?
Rossini mi comunica un’emozione unica. Il suo brio, il ritmo scattante sono particolari. Nella Scala di seta, che è una farsa, un’operina in miniatura, si sente anche l’atmosfera del Carnevale veneziano, per il quale era nata: una matrice spettacolare che comunica immediatezza e azione. Gli attori devono essere vicini al pubblico. Non c’è il coro. Abbiamo un materiale drammaturgico agile: questa la sua caratteristica principale del genere buffo. Io amo molto l’agilità come qualità: nella storia, nelle situazioni e nella musica di Rossini. A me, anche nello sport,piacciono gli atleti agili: li preferisco a quelli potenti…e lo stesso nella musica.
Questa vostra scenografia, disegnata e geometrizzata, mi aveva fatto pensare al razionalismo un po’ freddo e antisentimentale che fa parte della comicità del Rossini buffo.
È giusto. Rossini ha un modo di scrivere musica che definirei “astratto”. Lui non vuole mai farti immergere in un sentimento. Se ne tiene al di fuori, al massimo ne fa cenno. Non cerca le tinte della passione. Il suo stesso schematismo ritmico, la regolarità, i giochi di botte e risposte spengono ogni volontà di coinvolgere la sfera emotiva dello spettatore. Questo non mi disturba per niente, anzi ne ho al contrario una spinta creativa. È una musica che ti permette di giocare con lei, grazie alla distanza che prende dal sentimentalismo commovente spesso tipico del canto d’opera. A me Rossini piace molto.
E questa piccola farsa ti fa gestire lo spettacolo in modo differente rispetto alla grande opera o al melodramma propriamente detto?
È un prodotto d’arte diverso dall’opera. Ha una sua specificità, con una matrice legata a una città e a un particolare periodo del calendario. Sono aspetti da potenziare, e abbiamo tentato di farlo.
Ho visto che hai fatto almeno una piccola citazione televisiva: il filippino colf con giacca a righe rosse e nere per il servo.
È un rimando popolaresco. L’unica strizzata d’occhio che mi sono concesso al mondo della comicità contemporanea, del cabaret di oggi presente in televisione.
La domanda che molti si fanno è: perché Rossini in abiti moderni?
Non vorrei ripetermi, perché ho sempre la stessa risposta. La mia fantasia lavora così. Letto un testo e ascoltata la musica, mi chiedo subito: ma chi sono questi personaggi, oggi? Cosa mi raccontano? Io farei fatica ad andare a ricostruire gli ambienti del passato: non mi piace e non m’interessa. E poi, si tratta di una farsa: la storia di un amante-marito che arriva in casa, deve nascondersi perché se no lo zio lo scopre, e un altro amante si fa avanti, e arriva la cugina gelosa, e il servo sciocco, che ne combina di tutti colori…Tutti questi personaggi devono risultare comunicativi in scena. Se il pubblico ride, significa che sei arrivato a toccare le corde giuste. Questo è fare teatro, al di là dell’epoca e dei costumi. La comicità è sempre la stessa, comunque si sia vestiti. Solo che, se usi abiti moderni, riesci a riconoscerti meglio. Questa ragazza, un po’ frustrata per la situazione familiare, si va a fare una corsetta con l’iPod sulle orecchie, fa ginnastica, e alla fine andrà tutto a posto…