L’Ape musicale

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Mondi a confronto

di Fabiana Crepaldi

A Zurigo Lakmé in forma semiscenica vede trionfare Sabine Devieilhe nei panni della protagonista.

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ZURIGO, 2 aprile 2023 - Sabine Devieilhe e Lakmé. Questi due nomi mi sono bastati per definire Zurigo come la mia porta d'Europa il 2 aprile. Da quando ha interpretato il ruolo nel 2014, all'Opéra Comique di Parigi - la stessa sala dove, nel 1883, Léo Delibes mise in scena per la prima volta la sua Lakmé - la Devieilhe si è già aggiunta alla lista delle grandi interpreti di questa eroina indù e molto francese. Solo un dettaglio ha smorzato un po' l'entusiasmo di quest'amante del teatro: l'opera in forma di concerto (in realtà, era semiscenica). Non che la cosa mi abbia sorpreso, perché è abbastanza comune vedere Lakmé in concerto: è successo anche al Teatro Real di Madrid, al Théâtre des Champs-Elysées, all'Opéra de Monte Carlo. Perché? Sia la musica sia il libretto di Lakmé apportano elementi di ricchezza alla messa in scena, e ci sono bravi registi in grado di farlo senza cadere nell'orientalismo kitsch, come ha dimostrato Laurent Pelly nella bella produzione che ha debuttato lo scorso settembre all'Opéra Comique, con, naturalmente, Devieilhe nel ruolo principale.

Sebbene, secondo l'eccellente programma  della produzione dell'Opéra Comique del 2022, Lakmé sia tra le dieci opere francesi più rappresentate al mondo, non è tra le dieci più conosciute dal pubblico lirico. Sicuramente avrete sentito tutti il famoso duetto floreale "Viens, Mallika... Sous le dôme épais", quando Lakmé e Mallika raccolgono fiori di loto, così come "Où va la jeune Hindoue?", e la famosa e virtuosistica air des clochettes, in cui Lakmé racconta la storia della figlia del paria. Sono pochi, tuttavia, quelli il cui contatto con l'opera va oltre questi due momenti. È quindi opportuno che in questo testo su una rappresentazione concertistica, in cui non si parla a lungo della messa in scena, si dedichi un po' di spazio alla riflessione sull'opera.

Il soldato e l'esotico

Lakmé è uno di quei casi che James Parakilas, nel suo ineludibile articolo pubblicato su The Opera Quarterly nel 1993, ha raggruppato nella categoria che ha definito "Il soldato e l'esotico": "una storia d'amore impossibile tra un soldato di un esercito europeo e una donna appartenente a un popolo esotico occupato da quell'esercito". Il lettore ricorderà sicuramente un'altra opera famosa, la prima di questa "famiglia": la Carmen di Bizet, che ha debuttato nella stessa sala e solo otto anni prima di Lakmé. Il periodo di massimo splendore di queste opere coincise con l'apogeo dell'imperialismo europeo, terminato con la Prima Guerra Mondiale. Come sottolinea Parakilas, si tratta di opere che parlano di europei che si recano in un mondo esotico: uomini "che mettono alla prova i loro sogni di fuga verso una vita diversa, e che chiudono il sipario dimostrando a se stessi - e al pubblico - che il sogno è falso, e la fuga è impossibile". È importante notare che le opere sull'espansione imperialista differiscono da quelle sull'età delle scoperte ambientate secoli fa. In primo luogo, trattano un tema contemporaneo, il che le rende innovative: la trama di Carmen è ambientata negli anni Venti dell'Ottocento, appena cinquant'anni prima della prima; in Lakmé, la trama è ambientata al momento della composizione.

Inoltre, come nota Parakitas: "Se le opere dell'Età della Scoperta, in cui la donna esotica sceglie di assimilarsi alla cultura europea, rappresentano la fiducia degli europei nel potere della loro cultura nei confronti di altre culture, le opere del Soldato e dell'Esotico, in cui la donna non si assimila [alla cultura], non rappresentano un declino della fiducia europea, ma un punto di svolta nell'approccio artistico verso qualcosa di nuovo: la frustrazione che il potere non può sanare, non solo nell'impresa coloniale, ma nell'esperienza sociale più in generale."
Per scrivere il libretto, Edmond Gondinet e Philippe Gille si sono basati principalmente su due fonti: Le Mariage de Loti (1880), di Pierre Loti, un romanziere alla moda, e, soprattutto, Les Babouches du Brahmane, una delle Scènes de la vie anglo-hindoue, dell'indianista Théodore Pavie, pubblicata nel 1849 nella popolare Revue des deux mondes. Lakmé, la giovane figlia del bramino, possiede una fede pura e vera ed è una sorta di protettrice del popolo dominato dalla colonizzazione inglese: "si considera appartenente a una razza poco inferiore a quella degli dei, molto superiore a quella degli uomini", per usare le parole con cui Pavie introduce la sua eroina (che nella sua opera si chiamava Roukminie). Vive tra la natura e i suoi gioielli, sotto la stretta protezione del padre, Nilakantha, che predica contro l'occupazione inglese, contro i suoi oppressori.

Non lontano da loro, cinque inglesi, tre donne e due soldati, parlano con irriverenza di questo paese esotico e si chiedevano se le donne indiane fossero molto diverse da quelle inglesi. Per Ellen, la fidanzata di Gérald, le donne indiane sanno come affascinare, ma le donne inglesi sanno come amare. Gérald e Frédéric sono più sensibili alla civiltà indiana rispetto alle loro fidanzate. Il fascino e i misteri di questa cultura così diversa risvegliano la fantasia di Gérald, che finisce per innamorarsi di Lakmé ancora prima di vederla: si innamora dei misteri e dell'ambiente che la circonda, dell'idea della giovane donna sacra, ed è incantato dallo splendore dei suoi gioielli. Non si tratta quindi di un amore a prima vista. Quando si incontrano, la dolcezza e l'audacia del soldato risvegliano sentimenti anche in Lakmé, che si preoccupa di proteggere Gérald dalla vendetta e dalla morte del padre. Lakmé riesce a salvare Gérald, ma, rendendosi conto dell'impossibilità di realizzare il suo amore in vita, capendo che lui non rinuncerà al suo esercito e al suo paese per lei, si avvelena con i fiori e muore. Gérald era disposto a morire per il suo onore, ma non per Lakmé: e quando lei gli propone di nascondersi, lui risponde che avrebbe preferito morire; Lakmé, da parte sua, era disposta a morire per Gérald. E "muore, ultima figlia di un mondo mezzo scomparso, fragile reliquia di una poesia che la nostra civiltà pratica sta spegnendo", scriveva il critico Camille Bellaigue, nel 1889, nel suo L'anné musicale, chiarendo che l'opera parlava alla società europea del suo tempo, un tempo in cui l'espansione imperialista portava con sé un certo disagio. Potrebbe sembrare che il tema della religione avvicini Lakmé alle opere che trattano l'Età delle Scoperte. Tuttavia, come sottolinea Parakitas, la situazione qui è molto diversa e opposta a quella che appare in quelle opere: è Lakmé, la donna esotica, a proporre a Gérald, il soldato europeo, di convertirsi all'induismo.

L'inglese

È interessante ricordare che, quando Lakmé fu composta, il soldato non era sempre un inglese e la donna esotica non era sempre un'indù. L'idea di Lakmé è nata dal libro di Loti, ambientato a Tahiti, che appartiene alla Francia. Nel 1881, i librettisti suggerirono a Delibes di leggere Loti: "Il colore, l'idea di una passione selvaggia che si scontra con la nostra civiltà europea ci sembra seducente". Solo in seguito trovarono nel romanzo di Pavie la trama ideale, e in una colonia britannica, non francese, evitando così qualsiasi problema. La scelta della colonia britannica andava anche contro la grande anglofobia dell'epoca. Secondo Pauline Girard nel programma dell'Opéra Comique, gli inglesi incarnavano la società industriale e i suoi effetti perversi. Il modo contemporaneo in cui gli inglesi venivano ritratti, così come il linguaggio musicale utilizzato per loro (come vedremo in seguito), era piuttosto efficace. Girard cita il giornalista Louis Besson, che all'epoca scrisse su di loro: "Sono le persone più sgradevoli del mondo, sia in teatro che in città". Bellaigue era anche a disagio con l'inglese contemporaneo e con il contrasto creato nell'opera: "Non volevo i soldati qui [sul palco] (...) [in uniforme], né le regine di bellezza in abiti alla moda (...). Tra la poesia dell'India e la civiltà europea, il contrasto mi sorprende più che divertirmi".

Opéra-comique o opera?

"Il manifesto parla di opéra-comique; e la partitura indica opera: a quale devo credere?", si chiedeva Ernest Reyer nell'edizione del 22 aprile 1883 del Journal des Débats, pochi giorni dopo la prima di Lakmé, avvenuta il 14 dello stesso mese. La risposta non è semplice e coinvolge questioni inerenti allo stile dell'opéra-comique, che cambiò nel corso del XVIII e XIX secolo, nonché una certa deliberata vaghezza da parte di Lakmé. In una forma molto semplificata, l'opéra-comique è caratterizzata da una miscela di dialoghi parlati e parti cantate, e la quantità di dialoghi parlati è diminuita nel corso degli anni. In generale, la musica non è sofisticata e ci sono alcune scene comiche.

Lakmé fu inizialmente eseguita con i dialoghi, ma in seguito, per facilitare la produzione in altri Paesi, Delibes li sostituì con i recitativi, allontanando in qualche modo l'opera dall'opéra-comique. È questa versione con recitativi che è stata presentata a Zurigo. Pensando soprattutto alla versione originale, Lakmé ha le caratteristiche di un opéra-comique, ma solo quando gli inglesi sono in azione: solo tra gli inglesi c'è un dialogo parlato, e la musica nelle scene in cui appaiono è poco sofisticata, e ci sono elementi comici, caricaturali. Gli indù semplicemente cantano, e il loro canto è molto più lirico, molto più poetico, legato. Inoltre, tra gli indù c'è un problema sociale: la loro cultura è minacciata dal colonizzatore, e c'è una morte (quella di Lakmé) che, fino alla metà del XIX secolo, era sconveniente all'Opéra Comique. È vero: nella versione dialogata, Hadji, il servo di Lakmé, parla nel secondo atto, quando si dichiara totalmente fedele a lei, che è persino disposto a salvare Gérald ("Si tu as un ami à sauver, ordonne!"), ma, in questo caso, il testo ha un accompagnamento musicale, è un mélodrame, e non un testo parlato nello stile dell'opéra-comique. All'inizio dello stesso atto, nel delizioso coro del mercato, gli indù cantano una musica leggera, allegra, strofica, con frasi brevi. Niente di più naturale: stanno comunicando con gli inglesi e quindi usano il loro tipico linguaggio musicale per invogliarli a consumare le merci; tuttavia, il ritmo indica un certo esotismo. Da parte degli inglesi, Gérald ha dei momenti lirici, ma solo quando si trova davanti a Lakmé (o, come nel primo atto, davanti ai gioielli, già sotto l'effetto dell'incantesimo).

Insomma, come ha scritto il regista Raphaël Pichon nel programma di sala dell'Opéra Comique, "la forza e la singolarità di Lakmé stanno nel capovolgere la vecchia questione dei generi e nel mettere a confronto 'opéra' e 'opéra-comique', e quindi l'alternanza tra numeri musicali e dialoghi rispetto a un uso continuo della musica, in un progetto nuovo, per far collidere queste due scritture rimodellandone l'uso. (...) Delibes concepisce così un'opera che alterna il grottesco al sublime, una partitura che traduce lo scontro prodotto dall'incontro tra un universo presentato come vasto, immemorabile, misterioso e limpido, e una realtà banale, fatta di commenti superficiali e comportamenti cinici. Il primo sarà riservato all'opéra, il secondo all'opéra-comique. Il risultato di questo confronto è un'opera inclassificabile (...)". Non dimentichiamo che il contrasto tra questi due mondi diversi, così forte nella musica, deriva già dal libretto. Se preso solo come un riassunto della trama, il libretto di Lakmé può sembrare banale, ma se analizzato correttamente, ciò che vediamo è un linguaggio poetico e una struttura molto ben elaborata.

Esotismo

L'esotismo è presente anche nella musica e, come ha sottolineato Parakita, ha una funzione drammatica: "non tanto per caratterizzare la donna esotica e la sua cultura, ma le linee di conflitto tra l'esotico e l'europeo". Trattando dell'esotico in The Exotic in Nineteenth-Century French Opera, Ralph Locke osserva che è difficile stabilire se un compositore di un determinato periodo abbia scelto elementi musicali insoliti, giudicandoli simili a elementi tipici della regione che desiderava rappresentare, o se, semplicemente, si tratti di elementi strani, grotteschi e, quindi, senza molta preoccupazione per la rappresentazione di un particolare popolo. Nel caso di Lakmé, tendo a concordare con quanto scritto da Raphaël Pichon nel programma dell'Opéra Comique: "Delibes ha avuto l'onestà e la lucidità di non pretendere di portarci in India. Ha presentato l'India come il pretesto che ha permesso alla sua scrittura musicale di inventare e dare vita a un paese lontano. La sua musica sembra provenire da ovunque e da nessun luogo, ha le qualità di un luogo impalpabile, intangibile, di un mondo di cristallo dove, qui, passa un canto senza tempo, e là, una melodia immemorabile...". La percezione musicale di Pichon è confermata dal fatto che, come si è già detto, l'idea di Lakmé è nata dal libro di Loti, vale a dire che l'attenzione non era rivolta all'India, ma alla passione "selvaggia" che incantava i librettisti.

Sarebbe una semplificazione eccessiva pensare che tutta la musica attribuita agli indù sia esotica, mentre quella attribuita agli inglesi sia puramente europea. Ci sono elementi di esotismo nella musica "inglese", e il preludio del secondo atto, noto come Les Fifres, basato su una melodia inglese, ne è un ottimo esempio; del resto, come abbiamo già notato, gli inglesi non erano visti di buon occhio, erano anche loro un "altro", come gli indù. Sul versante indù, come abbiamo già detto, c'è una musica più vicina al lirismo, al sublime, come scriveva Pichon, che la avvicina al linguaggio tipico dell'opera. È questa la musica attribuita a Lakmé. Lakmé appare per la prima volta, nell'orazione iniziale, ricca di melismi, con un misto di sublime ed esotico. Poi, nel duetto floreale con Mallika, lei canta una barcarolle - ed è così che Gérald viene presentato, senza esotismo, come sono i suoi duetti. È diverso, quindi, da quello che accade in Carmen, non è l'esotismo musicale, ma una danza esotica e sensuale che attrae il soldato europeo - non dimentichiamolo: era già stato incantato e innamorato ancor prima di conoscerla. L'aria delle campanelle inizia in modo esotico, piena di melismi, ma finisce senza esotismo: "quando Lakmé trasforma la canzone da artefatto culturale a espressione personale, il suo effetto esotico scompare", sottolinea Parikilas. Questo trattamento musicale universalizza il Lakmé e dimostra che, contrariamente a quanto affermato da Ellen, anche l'indiano può amare, e quanto o più dell'inglese.

L'interpretazione

Lakmé fu scritta su misura per il giovane soprano americano di coloratura Marie Van Zandt, che aveva trionfato al suo debutto all'Opéra Comique nel ruolo del titolo di Mignon di Ambroise Thomas. Fu senza dubbio la prima grande Lakmé. Secondo le cronache dell'epoca, tuttavia, fu il tenore Jean-Alexandre Talazac a riscuotere il maggior successo alla prima, ottenendo anche il diritto al bis. Dopo di lei, grandi cantanti hanno interpretato il ruolo e, fortunatamente, lo hanno inciso, come Lily Pons, Mado Robin, Joan Sutherland, Mady Mesplé, Natalie Dessay e, oggi, Sabine Devieilhe. Per le mie orecchie, il carattere creato da soprani dalla voce leggera, che trasmette qualcosa tra l'infantile, il delicato e il magico, come Mesplé, Dessay e Devieilhe, è particolarmente convincente. È importante ricordare che la qualità delle registrazioni, che varia a seconda del periodo in cui sono state effettuate, interferisce sempre con l'apprezzamento. Tuttavia, anche se Robin e Mesplé occupano un posto d'onore nel pantheon dei Lakmé, è la registrazione di Dessay a essere rivoluzionaria: la sua passione viene messa in primo piano, mentre la voce eterea esplora naturalmente gli acuti. L'effetto risultante è quasi soprannaturale.

Soprannaturale, anche se in un senso leggermente diverso, è un aggettivo che ben descrive l'interpretazione con cui Sabine Devieilhe l'ha offerta al pubblico che ha gremito il teatro dell'opera di Zurigo per ascoltarla. Non era solo la purezza della sua voce, non era solo la sua tecnica perfetta: sembrava provenire da un altro piano, sembrava agire da sola, a una distanza tale dagli altri da potersi proteggere da atteggiamenti inaccettabili come quelli del tenore uruguaiano Edgardo Rocha, che la abbandonava nel bel mezzo di un duetto, senza tante cerimonie, per andare al centro del palcoscenico a leggere il suo spartito, posto sull'unico leggio presente in questa produzione semi-scenica. In un'intervista a France Musique, Devieilhe ha ricordato che Lakmé non è solo il virtuosismo dell'aria delle campanelle, ma che la cosa più importante, naturalmente, è l'interpretazione del personaggio. E in questo è stata magistrale: con la sua voce omogenea, totalmente controllata, il legato perfetto, è stata meticolosa nella gestione delle dinamiche, così come nel colore e nell'intonazione con cui ha sottolineato le parole e gli stati emotivi. Il suo francese era completamente comprensibile, non solo perché è una cantante madrelingua, ma perché ha una dizione chiara e un canto francese non eccessivamente "parlato". Il suo legato e il suo pianissimo erano sublimi, soprattutto nella scena finale. Non c'è da stupirsi che abbia ricevuto una standing ovation da gran parte del pubblico. Ad eccezione di Devieilhe e di Bozena Bujnicka, membro del programma internazionale Opernstudios, che interpretava Rose, gli altri cantanti erano al debutto nei loro ruoli. Il duetto floreale tra la Lakmé di Devieilhe e la Mallika di Siena Licht Miller è stato bellissimo. Le due voci suonavano perfettamente, senza perdere il contrasto essenziale tra loro. L'intero cast era di prim'ordine: Frédéric di Björn Bürger, Ellen di Sandra Hamaoui, Rose di Bozena Bujnicka, Mistress Benson di Irëne Friedli e Hadji di Saveliy Andreev. Al suo debutto non solo nel ruolo di Nilakantha, ma anche all'Opera di Zurigo, il baritono canadese Philippe Sly è stato eccellente. Con il suo bel timbro, la bella linea di canto e la dizione chiara, ha incarnato un personaggio paterno, è stato veramente quel capo religioso, devoto a Lakmé, che sceglie la vendetta perché non conosce alternative.

Il tenore Edgardo Rocha ha avuto, all'inizio della sua carriera, un importante legame con il Brasile: nel 2007, al suo primo impegno internazionale, ha vinto il Concorso di canto Maria Callas. Da quel momento ha intrapreso un'importante carriera internazionale, frequentando i migliori palcoscenici del mondo, tra cui Zurigo. Per me, in particolare, è stata molto interessante l'esperienza di vederlo sul palco solo tre giorni dopo aver fatto parte della giuria dell'edizione 2023 dello stesso concorso. Ho già lamentato in precedenza l'atteggiamento di Rocha, che sembrava non avere la parte pronta per un'esibizione semiscenica, ma ha un bel timbro e una voce molto ben sostenuta, che proietta molto bene. Nel complesso è un ottimo cantante. Forse era un po' a corto di lirismo, ma d'altra parte, come già detto, una certa mancanza di lirismo da parte dell'inglese è persino auspicabile, e così si è creato un interessante contrasto tra il suo canto e quello di Devieilhe.

Sotto la direzione di Janko Kastelic,il Coro dell'Opera di Zurigo, composto da coristi di oltre venti nazionalità e le cui voci suonano così bene. La scena del mercato all'inizio del secondo atto è stata particolarmente deliziosa. Diretta da Alexander Joel, la Philharmonie Zürich ha trasmesso tutto il colore e il fascino della musica di Delibes: con vigore e brillantezza, ma senza mai mettere in ombra i cantanti e senza mai perdere la sua delicatezza. Come di consueto nelle esecuzioni di Lakmé, ci sono stati dei tagli, concentrati soprattutto all'inizio del secondo atto: il preludio e tutte le danze sono state eliminate. Nonostante i tagli, la versione con i recitativi e semiscenica, e il tenore che va a cercare aiuto nella sua partitura, non offuscano in alcun modo la brillantezza della raffinatezza musicale di questa bellissima Lakmé di Zurigo.


Mundos en comparación

por Fabiana Crepaldi

Sabine Devieilhe y Lakmé. Estos dos nombres me bastaron para definir Zúrich como mi puerta de entrada a Europa, el pasado 2 de abril. Desde que interpretó el papel en 2014, en la Opéra Comique de París -la misma sala donde, en 1883, Léo Delibes puso en escena por primera vez su Lakmé-, Devieilhe ya se ha sumado a la lista de grandes intérpretes de la muy francesa heroína hindú. Un solo detalle bajo un poco el entusiasmo de esta amante del teatro: la ópera en forma de concierto (en realidad, fue semi-escenificada). No es que me sorprendiera, ya que a Lakmé es bastante común verla en concierto: también fue el caso en el Teatro Real de Madrid, en el Théâtre des Champs-Elysées, en la Opéra de Montecarlo. ¿Por qué? Tanto la música como el libreto de Lakmé aportan elementos ricos para la puesta en escena, y hay buenos directores capaces de hacerlo sin caer en el orientalismo kitsch, como demostró Laurent Pelly en la bella producción que se estrenó el pasado mes de septiembre en la Opéra Comique, teniendo, por supuesto, a Devieilhe en el papel principal.

Aunque, según el excelente programa de mano de la producción del 2022 de la Opéra Comique, Lakmé se encuentra entre las diez óperas francesas más representadas en el mundo, no está entre las diez más conocidas por el público lírico. Seguro que todos han escuchado el famoso dúo de flores “Viens, Mallika… Sous le dôme épais”, cuando Lakmé y Mallika están recogiendo flores de loto, así como “Où va la jeune Hindoue?”, y la famosa y virtuosa air des clochettes. , o aria de las campanas, cuando Lakmé cuenta la historia de la hija del paria. Son sin embargo pocos, aquellos cuyo contacto con la ópera va más allá de estos dos momentos. Especialmente en Brasil, además de ser poco interpretada, es una ópera incomprendida y subestimada, y casi no hay material al respecto en portugués. Por eso, es oportuno que, en este texto sobre una ejecución en forma de concierto, en el que no hay largas discusiones sobre la puesta en escena, se dedique algún espacio a la reflexión sobre la obra.

El soldado y lo exótico

Lakmé es uno de esos casos que James Parakilas, en su ineludible artículo publicado en The Opera Quarterly en 1993, agrupó en la categoría que denominó “El soldado y lo exótico”: “una historia de amor imposible entre un soldado de un ejército europeo y una mujer perteneciente a un pueblo exótico bajo la ocupación de ese ejército”. Seguramente el lector recordará otra ópera célebre, la primera de esta “familia”: Carmen de Bizet, que se estrenó en la misma sala y sólo ocho años antes que Lakmé. El apogeo de estas óperas coincidió con el apogeo del imperialismo europeo, terminado por la Primera Guerra Mundial. Como señala Parakilas, se trata de óperas sobre europeos que van a un mundo exótico: hombres “que ponen a prueba sus sueños de escapar a una vida diferente, y que cierran el telón demostrándose a sí mismos –y al público– que el sueño es falso, y escapar es imposible.” Es importante tener en cuenta que las óperas sobre la expansión imperialista difieren de aquellas sobre la Era de los Descubrimientos ambientadas hace siglos. En primer lugar, tratan un tema contemporáneo, lo que las hizo innovadoras: la trama de Carmen se desarrolla en la década de 1820, justo cincuenta años antes del estreno; en Lakmé, la trama se desarrolla en el momento de la composición.

Además, como señala Parakitas: “Si las óperas de la Era de los Descubrimientos, en las que la mujer exótica opta por asimilarse a la cultura europea, representan la confianza de los europeos en el poder de su cultura frente a otras culturas, las óperas del Soldado y lo exótico, en las que no se asimila [a la cultura], no representan un declive en la confianza europea, sino un punto de inflexión del enfoque artístico hacia algo nuevo: la frustración que el poder no puede curar, no solo en la empresa colonial, sino en la experiencia social más en general.”

Para escribir el libreto, Edmond Gondinet y Philippe Gille se apoyaron principalmente en dos fuentes: Le Mariage de Loti (1880), de Pierre Loti, novelista de moda, y, sobre todo, en Les Babouches du Brahmane, una de las Scènes de la vie anglo-hindoue, del indianista Théodore Pavie, publicado en 1849 en la popular Revue des Deux Mondes. Lakmé, la joven hija del brahmán, posee una fe pura y verdadera y es una especie de protectora del pueblo dominado por la colonización inglesa: ella “se considera perteneciente a una raza poco inferior a la de los dioses, muy superior a la de los hombres”, por usar las palabras con las que Pavie presenta a su heroína (que en su obra se llamaba Roukminie). Ella vive entre la naturaleza y sus joyas, y bajo la estricta protección de su padre, Nilakantha, que predica contra la ocupación inglesa, contra sus opresores.

No muy lejos de ellos, cinco ingleses, tres mujeres y dos soldados, con irreverencia, hablaban de este exótico país y cuestionaban si las mujeres indias eran muy diferentes a las inglesas. Para Ellen, la novia de Gérald, las indias sabían encantar, pero las inglesas sabían amar. Gérald y Frédéric son más sensibles a esta civilización india que sus novias. Los encantos y misterios de esta cultura tan diferente despiertan la fantasía de Gérald, quien acaba enamorándose de Lakmé incluso antes de verla: se enamora de los misterios y del entorno que la rodea, de la idea de la joven sagrada, y quedó como encantado al ver el esplendor de sus joyas. Entonces, no se trata, la idea del amor a primera vista. Cuando se encuentran, la dulzura y el atrevimiento del soldado también despiertan sentimientos en Lakmé, quien se preocupa por proteger a Gérald de la venganza y muerte de su padre. Lakmé logra salvar a Gérald, pero, al darse cuenta de la imposibilidad de cumplir su amor en vida, al darse cuenta de que no cambiará su ejército y su país por ella, se envenena con las flores y muere. Gérald estaba dispuesto a morir por su honor, pero no por Lakmé: y cuando ella le propuso esconderse, él respondió que prefería morir; Lakmé, por su parte, estaba dispuesta a morir por Gérald. Y “ella muere, la última hija de un mundo medio desaparecido, frágil reliquia de una poesía que nuestra civilización práctica está desvaneciendo”, escribió, en 1889, la crítica Camille Bellaigue, en su L'Anné Musicale, dejando claro que la obra con la que habló a la sociedad europea de su época, una época en la que la expansión imperialista trajo cierta incomodidad. Puede parecer que el tema de la religión acerca a Lakmé a las óperas que tratan sobre la era de los descubrimientos. Sin embargo, como señala Parakitas, la situación aquí es muy diferente y opuesta a lo que aparece en esas óperas: es Lakmé, la mujer exótica, quien le propone a Gérald, el soldado europeo, que se convierta al hinduismo.

Es interesante recordar que, cuando se estaba componiendo Lakmé, no siempre el soldado era inglés y la mujer exótica, una hindu. La idea de Lakmé surgió del libro de Loti, que transcurre en Tahití, perteneciente a Francia. En 1881, los libretistas sugirieron a Delibes que leyera a Loti: “El color, la idea de una pasión salvaje que choca con nuestra civilización europea nos parece seductora”. Sólo más tarde encontraron, en la novela de Pavi, la trama ideal, y en una colonia británica, no francesa, evitando cualquier problema. La elección de la colonia inglesa también vino en contra de la gran anglofobia de la época. Según Pauline Girard en el programa de la Opéra Comique, el inglés encarnaba la sociedad industrial y sus efectos perversos. La forma contemporánea en la que se retrató a los ingleses, así como el lenguaje musical que se usó para ellos (como veremos más adelante) fue bastante eficiente. Girard cita al periodista Louis Besson, quien en su momento escribió sobre ellos: "son las personas más desagradables del mundo, tanto en el teatro como en la ciudad". También Bellaigue se incomodó con el inglés contemporáneo y el contraste creado en la ópera: “No quería a los soldados aquí [en el escenario] (…) [en uniforme], ni a las reinas de belleza en vestidos de moda (…). Entre la poesía de la India y la civilización europea, el contraste me sorprende en lugar de divertirme”.

¿Opéra-comique u ópera?

“El cartel menciona opéra-comique; y la propia partitura indica ópera. ¿A cuál le debo creer?”, preguntó Ernest Reyer en la edición del 22 de abril de 1883 del Journal des Débats, pocos días después del estreno de Lakmé, el día 14 del mismo mes. La respuesta no es sencilla, e involucra cuestiones inherentes al estilo de la opéra-comique, que se fue modificando a lo largo de los siglos XVIII y XIX, así como cierta indefinición deliberada por parte de Lakmé. De forma muy simplificada, la opéra-comique se caracteriza por la mezcla entre diálogos hablados y partes cantadas, y la cantidad de diálogos hablados ha ido disminuyendo a lo largo de los años. En general, la música no es sofisticada y hay algunas escenas cómicas.

Lakmé se estrenó con diálogos, pero luego, para facilitar la producción en otros países, Delibes los sustituyó por recitativos, distanciando un poco la obra de la opéra-comique. Fue esta versión con recitativos la que se presentó en Zúrich. Pensando, sobre todo, en la versión original, Lakmé tiene las características de una opéra-comique, pero solo cuando los ingleses están en acción: solo entre los ingleses hay diálogos hablados, y la música de las escenas en las que aparecen no es sofisticada, y hay elementos cómicos, caricaturas. Los hindus simplemente cantan, y su canto es mucho más lírico, mucho más poético, legato. Además, entre los hindus hay un problema social: su cultura está siendo amenazada por el colonizador, y hay una muerte (la de Lakmé), que, hasta mediados del siglo XIX, era inadmisible en la Opéra Comique. Es verdad: en la versión con diálogos, Hadji, el sirviente de Lakmé, habla en el segundo acto, cuando se declara totalmente fiel a ella, que está dispuesto incluso a salvar a Gérald (“Si tu as un ami à sauver, ordonne!”), pero, en este caso, el texto tiene acompañamiento musical, es un mélodrame, y no un texto hablado al estilo de la opéra-comique. Al comienzo del mismo acto, en el delicioso coro del mercado, los hindus cantan una música ligera, alegre, estrófica, nada lírica y con frases cortas. Nada podría ser más natural: se están comunicando con los ingleses y, por lo tanto, utilizan su lenguaje musical típico para atraerlos a consumir la mercancía; aun así, el ritmo indica cierto exotismo. Del lado de los ingleses, Gérald tiene momentos líricos, pero sólo cuando está frente a Lakmé (o, como en el primer acto, frente a las joyas, ya bajo los efectos del encanto)

En resumen, como escribió el director Raphaël Pichon en el programa de la Opéra Comique, “La fuerza y ​​la singularidad de 'Lakmé' residen en dar la vuelta a la vieja cuestión de los géneros y en confrontar 'opéra' y 'opéra-comique', y así la alternancia entre números musicales y diálogos versus un uso continuo de la música, en un nuevo proyecto, para hacer colisionar estas dos escrituras remodelando su uso. (…) Delibes concibe así una obra que alterna entre lo grotesco y lo sublime, una partitura que traduce el choque producido por el encuentro entre un universo presentado como vasto, inmemorial, misterioso y límpido, y una realidad trivial, hecha de comentarios superficiales. y de comportamiento cínico. El primero estará reservado para la 'opéra', y el segundo para la 'opéra-comique'. El resultado de este enfrentamiento es una obra inclasificable (…)”. No olvidemos que el contraste entre estos dos mundos diferentes, tan fuerte en la música, ya viene del libreto. Si se toma sólo como un resumen de la trama, el libreto de Lakmé puede parecer banal, pero cuando se analiza adecuadamente, lo que se ve es un lenguaje poético y una estructura muy bien elaborada.

El exotismo también está presente en la música y, como señaló Parakita, tiene una función dramática: “no tanto para caracterizar a la mujer exótica y su cultura, sino a las líneas de conflicto entre lo exótico y lo europeo”. Al tratar con lo exótico en “Lo exótico en la ópera francesa del siglo XIX”, Ralph Locke observa que es difícil determinar si un compositor de un determinado período eligió elementos musicales inusuales, juzgando que se asemejaban a elementos típicos de la región que quería representar. retratar, o si, simplemente porque son elementos extraños, grotescos, y, por tanto, sin mayor preocupación en retratar a un determinado pueblo. En el caso de Lakmé, suelo estar de acuerdo con lo que escribió Raphaël Pichon en el programa de la Opéra Comique: “Delibes tuvo la honestidad y la lucidez de no pretender llevarnos a la India. Presentó la India como el pretexto que le permitió a su escritura musical inventar y dar vida a un país lejano. Su música parece venir de todas partes y de ninguna parte, tiene las cualidades de un lugar impalpable, intangible, de un mundo de cristal donde, por aquí, pasa un canto atemporal, y por allá, una melodía inmemorial…”. La percepción musical de Pichon se confirma por el hecho de que, como ya se señaló, la idea de Lakmé surgió del libro de Loti, es decir, el foco no estaba en la India, sino en la pasión “salvaje” que encantaba a los libretistas.

Sería una grosera simplificación pensar que toda la música atribuida a los hindúes es exótica, mientras que la atribuida a los ingleses es puramente europea. Hay elementos de exotismo en la música “inglesa”, y el preludio del segundo acto, conocido como Les Fifres, basado en una melodía inglesa, es un gran ejemplo; después de todo, como ya hemos señalado, el inglés no era visto con buenos ojos, también era un “otro”, como los hindus. Del lado hindú, como ya hemos mencionado, hay una música más cercana al lirismo, a lo sublime, como escribió Pichon, que la acerca al lenguaje típico de la ópera. Tal es la música atribuida a Lakmé. Lakmé aparece por primera vez, en su oración de apertura, repleta de melismas, con una mezcla entre lo sublime y lo exótico. Luego, en el dúo de flores con Mallika, canta una barcarola – y así se presenta a Gérald, sin exotismo, así son sus dúos. Es diferente, por tanto, de lo que sucede en Carmen, no es el exotismo musical, sino una danza exótica, sensual, lo que atrae al soldado europeo -no lo olvidemos: ya había quedado encantado y enamorado incluso antes de conocerla-. El aria de las campanas comienza exóticamente, llena de melismas, pero termina sin exotismo: “cuando Lakmé transforma la canción de un artefacto cultural en una expresión personal, su efecto exótico desaparece”, señala Parikilas. Este tratamiento musical universaliza a Lakmé, y muestra que, contrariamente a lo que decía Ellen, la india también sabe amar, y tanto o más que la inglesa.

Interpretación

Lakmé fue hecho a medida para la joven soprano de coloratura estadounidense Marie Van Zandt, que había triunfado en su debut en la Opéra Comique en el papel principal de Mignon de Ambroise Thomas. Sin duda fue la primera gran Lakmé. Según las crónicas de la época, sin embargo, quien tuvo más éxito en el estreno fue Jean-Alexandre Talazac, el tenor, incluso con derecho a “bis”. Tras ella, grandes cantantes interpretaron el papel y, afortunadamente, realizaron grabaciones, como Lily Pons, Mado Robin, Joan Sutherland, Mady Mesplé, Natalie Dessay y, actualmente, Sabine Devieilhe. A mis oídos, resulta especialmente convincente el personaje creado por sopranos de voz ligera, que transmite algo entre infantil, delicado y mágico, como Mesplé, Dessay y Devieilhe. Es importante recordar que la calidad de las grabaciones, que varía según la época en que se realizaron, siempre interfiere en la apreciación. Pese a ello, aunque Robin y Mesplé ocupan un lugar de honor en el panteón de los Lakmés, es innovadora la grabación de Dessay, cuya pasión aflora, mientras la voz etérea explora con naturalidad los agudos. El efecto resultante es casi sobrenatural.

Sobrenatural, aunque en un sentido un poco diferente, también es un adjetivo que describe bien la interpretación con la que Sabine Devieilhe la ofreció al público que abarrotó el teatro de la ópera de Zúrich para escucharla. No era solo la pureza de su voz, no era solo su técnica perfecta: parecía venir de otro plano, parecía actuar sola, a tal distancia de los demás que podía protegerse de actitudes inaceptables como las del tenor uruguayo Edgardo Rocha, quien la abandonaría en medio de un dúo, sin ceremonias, y se iría al centro del escenario a leer su partitura, colocada en el único estante presente en esta producción semiescenificada. En entrevista con France Musique, Devieilhe recordó que Lakmé no es solo el virtuosismo del aria de las campanas, si no que lo más importante, por supuesto, es la interpretación del personaje. Y en eso fue magistral: con su voz homogénea, totalmente controlada, legato perfecto, fue minuciosa en el manejo de la dinámica, así como en el color y la entonación con que subrayaba las palabras y los estados emocionales del personaje. Su francés era completamente comprensible, no solo porque es una cantante francesa, sino porque tiene una dicción clara y un canto francés no demasiado hablado. Su legato y pianissimo fueron sublimes, especialmente en la escena final. No es de extrañar que recibiera una ovación de pie por gran parte del público. A excepción de Devieilhe y Bozena Bujnicka, integrante del programa internacional Opernstudios que interpretó a Rose, los demás cantantes debutaban en sus roles. El dueto de flores entre Lakmé de Devieilhe y Mallika de Siena Licht Miller fue de gran belleza. Las dos voces sonaron perfectamente, sin perder el contraste esencial entre ellas. Todo el elenco fue de primera categoría: Frédéric de Björn Bürger, Ellen de Sandra Hamaoui, Rose de Bozena Bujnicka, Mistress Benson de Irëne Friedli y Hadji de Saveliy Andreev. En su debut no solo en el papel de Nilakantha, sino también en la Ópera de Zúrich, el barítono canadiense Philippe Sly estuvo excelente. Con su hermoso timbre, hermosa línea de canto y clara dicción, encarnaba a un Nilakantha paternal, era realmente ese líder religioso, devoto de Lakmé, que elige la venganza por no conocer otra alternativa.

El tenor Edgardo Rocha tuvo, al inicio de su carrera, una importante conexión con Brasil: en 2007, en su primer compromiso internacional, ganó el Concurso de Canto Maria Callas. A partir de entonces, emprendió una importante carrera internacional, frecuentando los mejores escenarios del mundo, incluido el de Zúrich. Para mí en particular fue bastante interesante la experiencia de verlo en el escenario apenas tres días después de formar parte del jurado de la edición 2023 del mismo certamen. Ya me quejé arriba la actitud de Rocha, que parecía no tener el papel listo para una presentación semi-escenificada, pero tiene un timbre hermoso y una voz muy bien colocada, que proyecta muy bien. Es, en definitiva, un buen cantante. Quizá debía algo de lirismo, pero, por otro lado, como comentamos más arriba, es incluso deseable cierta falta de lirismo por parte de los ingleses, y, así, se creaba un interesante contraste entre su canto y el de Devieilhe.

Bajo la dirección Janko Kastelic, la participación del Coro de la Ópera de Zúrich, formado por coristas de más de veinte nacionalidades y cuyas voces suenan tan bien. La escena del mercado al comienzo del segundo acto fue especialmente deliciosa. Dirigida por Alexander Joel, la Philharmonie Zürich transmitió todo el color y el encanto de la música de Delibes: con vigor y brillantez, pero sin eclipsar nunca a los cantantes, y sin perder jamás la delicadeza. Como ha sido habitual en las representaciones de Lakmé, hubo cortes, concentrados especialmente al comienzo del segundo acto: se suprimieron el preludio y todos los bailes. A pesar de los cortes, la versión con recitativos y semiescenificada, y el tenor yendo a buscar ayuda en su partitura, en nada empañó el brillo del refinamiento musical de esta bella Lakmé de Zúrich.


Mundos em comparação

de Fabiana Crepaldi

Sabine Devieilhe e Lakmé. Bastaram esses dois nomes para que eu definisse Zurique como a minha porta de entrada para a Europa, no último dia 02 de abril. Desde que interpretou o papel em 2014, na Opéra Comique de Paris – a mesma sala onde, em 1883, Léo Delibes colocou a sua Lakmé no palco pela primeira vez -, Devieilhe já passou a integrar a lista das grandes intérpretes da francesíssima heroína indiana.

Um único detalhe turvou um pouco o entusiasmo desta amante do teatro: ópera em forma de concerto (na verdade, foi semiencenada). Não que eu tenha me surpreendido, pois atualmente tem sido bastante comum a apresentação de Lakmé em forma de concerto: também foi assim no Teatro Real de Madri, no Théâtre des Champs-Elysées, na Opéra de Monte Carlo… Por quê? Tanto a música, quando o libreto de Lakmé fornecem ricos elementos para a encenação, e existem bons diretores capazes de fazê-lo sem cair no orientalismo kitsch, como provou Laurent Pelly na bela produção que estreou em setembro do ano passado na Opéra Comique, tendo, claro, Devieilhe no papel-título.

Embora, segundo o ótimo programa de sala da produção de 2022 da Opéra Comique, Lakmé figure entre as dez óperas francesas mais executadas no mundo, não está entre as dez mais conhecidas do público dos teatros líricos. Todos certamente já escutaram à exaustão o famoso dueto das flores “Viens, MallikaSous le dôme épais”, quando Lakmé e Mallika estão colhendo flores de lotus, bem como “Où va la jeune Hindoue?”, a famosa e virtuosística air des clochettes, ou ária dos sinos, quando Lakmé conta a história da filha do pária. São poucos, contudo, aqueles cujo contato com a ópera vai além desses dois momentos. Especialmente no Brasil, além de pouco executada, é uma ópera mal compreendida e subestimada, e quase inexiste material sobre ela em língua portuguesa. Assim sendo, é oportuno que neste texto sobre uma execução em forma de concerto, no qual não há longas discussões sobre a encenação, algum espaço seja dedicado à reflexão sobre a obra.

O Soldado e o Exótico

Lakmé é um daqueles casos que James Parakilas, em seu incontornável artigo publicado no periódico The Opera Quarterly em 1993, agrupou na categoria que chamou de “The Soldier and the Exotic”: “uma estória do amor impossível entre um soldado de um exército europeu e uma mulher pertencente a um povo exótico sob a ocupação desse exército”. Certamente o leitor já se lembrou de outra famosa ópera, a primeira dessa “família”: Carmen, de Bizet, que estreou na mesma sala e apenas oito anos antes de Lakmé. O apogeu dessas óperas coincidiu com o apogeu do imperialismo europeu, encerrado pela Primeira Guerra Mundial. Como aponta Parakilas, são óperas sobre europeus que vão a um mundo exótico: homens “que testam os seus sonhos de escapar para uma vida diferente, e que fecham as cortinas ao provar para si mesmos – e para o público – que o sonho é falso, e o escape é impossível”.

É importante ter em mente que as óperas sobre expansão imperialista diferem daquelas sobre a época dos descobrimentos, situadas séculos atrás. Em primeiro lugar, tratam de um tema contemporâneo, o que as tornou inovadoras: a trama de Carmen se passa na década de 1820, apenas cinquenta anos antes da estreia; em Lakmé, a trama é situada na época da composição.

Além disso, como aponta Parakitas: “Se óperas da Era dos Descobrimentos, nas quais a mulher exótica escolhe ser assimilada à cultura europeia, representam a confiança dos Europeus no poder da sua cultura contra outras culturas, as óperas do Soldado e do Exótico, nas quais ela não assimila [a cultura], não representam o declínio da confiança europeia, mas um ponto de inflexão do foco artístico para algo novo: a frustração que o poder não pode curar, não apenas na empreitada colonial, mas na experiência social em geral”.

Para escrever o libreto, Edmond Gondinet e Philippe Gille se basearam principalmente em duas fontes: Le Mariage de Loti (1880), de Pierre Loti, romancista da moda, e, sobretudo, em Les Babouches du Brahmane, uma das Scènes de la vie anglo-hindoue, do indianista Théodore Pavie, publicada em 1849 na popular Revue des Deux Mondes.

Lakmé, a jovem filha do brâmane, possui uma fé pura e verdadeira e é uma espécie de protetora para o povo dominado pela colonização inglesa: ela “se julga pertencente a uma raça pouco inferior à dos deuses, muito superior à dos homens”, para usar as palavras com que Pavie apresenta a sua heroína (que em sua obra ganhou o nome de Roukminie). Ela vive entre a natureza e as suas joias, e sob a rígida proteção do pai, Nilakantha, que prega contra a ocupação inglesa, contra os seus opressores.

Não longe deles, cinco ingleses, três mulheres e dois soldados, de forma irreverente, conversavam sobre esse exótico país, e se questionavam se as mulheres indianas eram muito diferentes das inglesas. Para Ellen, noiva de Gérald, as mulheres indianas sabiam como encantar, mas as inglesas, como amar. Gérald e Frédéric se mostram mais sensíveis a essa civilização indiana que suas noivas. Os encantos e mistérios dessa cultura tão diferente despertaram a fantasia de Gérald, que acaba se apaixonando por Lakmé antes mesmo de a ver: ele se apaixonou pelos mistérios e pelo ambiente que a cercam, pela ideia da jovem sagrada, e ficou como que encantado ao ver o esplendor das suas joias. Não se trata, pois, da batida ideia de amor à primeira vista. Quando se encontram, a doçura e a ousadia do soldado também despertam sentimentos em Lakmé, que se preocupa em proteger Gérald da vingança do pai e da morte. Lakmé consegue salvar Gérald, mas, ao constatar a impossibilidade de realizar o seu amor em vida, ao constatar que ele não trocará o seu exército e o seu país por ela, envenena-se com as flores e morre. Gérald estava disposto a morrer por sua honra, mas não por Lakmé: quando ela lhe propôs que se escondesse, retrucou que preferia morrer; Lakmé, por sua vez, estava disposta a morrer por Gérald.

E “ela morre, a última filha de um mundo meio desaparecido, relíquia frágil de uma poesia que a nossa civilização prática está apagando”, escreveu, em 1889, o crítico Camille Bellaigue, em seu L’Anné Musicale, deixando claro que a obra falou à sociedade europeia do seu tempo – um tempo em que a expansão imperialista trazia certo incômodo.

O tema da religião pode parecer aproximar Lakmé das óperas que tratam da era dos descobrimentos. Como aponta Parakitas, porém, a situação aqui é bem diferente e oposta à que aparece naquelas óperas: é Lakmé, a mulher exótica, que propõe a Gérald, o soldado europeu, que se converta ao hinduísmo.

Os ingleses

É interessante lembrar que, quando Lakmé estava sendo composta, nem sempre o soldado foi inglês, e a mulher exótica, uma indiana. A ideia de Lakmé surgiu a partir do livro de Loti, que se passa no Taiti, pertencente à França. Em 1881, os libretistas sugeriram a Delibes a leitura de Loti: “A cor, a ideia de uma paixão selvagem em choque com nossa civilização europeia nos parecem sedutoras”. Foi só depois que encontraram, na novela de Pavi, a trama ideal, e em uma colônia britânica, e não francesa, evitando eventuais problemas. A escolha da colônia inglesa vinha ainda de encontro à grande anglofobia da época. Segundo Pauline Girard no programa da Opéra Comique, o inglês incarnava a sociedade industrial e os seus efeitos perversos.

A forma contemporânea como os ingleses foram retratados, bem como a linguagem musical para eles utilizada (como discutiremos a seguir) foram bastante eficientes. Girard cita o jornalista Louis Besson, que, na época, escreveu sobre eles: “são as pessoas mais desagradáveis do mundo, tanto no teatro quanto na cidade”.

Também Bellaigue se incomodou com o inglês contemporâneo e com o contraste criado na ópera: “Eu não queria aqui [no palco] os soldados (…) [com uniformes], nem as misses com os vestidos da moda (…). Entre a poesia da Índia e a civilização europeia, o contraste me choca, em lugar de me divertir”.

Opéra-comique ou opéra?

“O cartaz menciona opéra-comique; a partitura, ela, indica opéra. Em qual devo crer?”, questionou Ernest Reyer na edição de 22 de abril de 1883 do Journal des Débats, poucos dias após a estreia de Lakmé, no dia 14 do mesmo mês. A resposta não é simples, e envolve questões inerentes ao estilo de opéra-comique, que foi se modificando ao longo dos séculos XVIII e XIX, bem como certa indefinição proposital de Lakmé. De forma bastante simplificada, a opéra-comique se caracteriza pela mistura entre diálogos falados e partes cantadas – e a quantidade de diálogos falados foi diminuindo ao longo dos anos. Em geral, a música não é sofisticada, e há algumas cenas cômicas.

Lakmé estreou com diálogos, mas, posteriormente, para facilitar a realização em outros países, Delibes os substituiu por recitativos, distanciando um pouco a obra da opéra-comique. Foi essa versão com recitativos a apresentada em Zurique. Pensando, sobretudo, na versão original, Lakmé possui as características de opéra-comique, mas somente quando os ingleses estão em ação: apenas entre os ingleses há diálogos falados, a música das cenas em que eles aparecem não é sofisticada, e há elementos cômicos, caricatos. Já os indianos apenas cantam, e o seu canto é muito mais lírico, muito mais poético, legato. Além disso, entre os indianos há um problema social: a sua cultura está sendo ameaçada pelo colonizador, e há uma morte (a de Lakmé), o que, até meados do século XIX, era inadmissível na Opéra Comique.

É bem verdade: na versão com diálogos, Hadji, servo de Lakmé, fala no segundo ato, quando se declara totalmente fiel a ela, que está disposto inclusive a salvar Gérald (“Si tu as un ami à sauver, ordonne!”), mas, no caso, o texto conta com acompanhamento musical, é um mélodrame, e não um texto falado nos moldes da opéra-comique. No início do mesmo ato, no delicioso coro do mercado, os indianos cantam uma música ligeira, alegre, estrófica, nada lírica, e com frases curtas. Nada mais natural: estão se comunicando com os ingleses, e usam, pois, a linguagem musical típica deles para atraí-los a consumir as mercadorias – mesmo assim, o ritmo indica um certo exotismo. Do lado dos ingleses, Gérald tem momentos líricos, mas apenas quando está diante de Lakmé (ou, como no primeiro ato, diante das joias, já sob os efeitos do encantamento).

Em resumo, como escreveu o maetro Raphaël Pichon no programa da Opéra Comique, “A força e a singularidade de ‘Lakmé’ estão em fazer uma reviravolta na antiga questão dos gêneros, e em confrontar ‘opéra’ e ‘opéra-comique’, e assim a alternância entre números musicais e diálogos versus uma utilização contínua da música, em um projeto novo, para fazer essas duas escritas entrarem em colisão ao remodelar o seu uso. (…) Delibes concebe, pois, uma obra que alterna o grotesco e o sublime, uma partitura que traduz o choque produzido pelo encontro de um universo apresentado como vasto, imemorável, misterioso e límpido, e uma realidade trivial, feita de comentários superficiais e de comportamentos cínicos. À primeira, será reservada a ‘opéra’, e à segunda, a ‘opéra-comique’. O resultado desse confronto é uma obra inclassificável (…)”.

Não nos esqueçamos que o contraste entre esses dois mundos distintos, tão forte na música, já vem do libreto. Se tomado apenas o resumo da trama, o libreto de Lakmé pode parecer banal, mas, quando devidamente analisado, o que se vê é uma linguagem poética e uma estrutura muito bem elaborada.

O exotismo

O exotismo também está presente na música e, como apontou Parakita, tem uma função dramática: “não tanto para caracterizar a mulher exótica e a sua cultura, mas para as linhas de conflito entre o exótico e o europeu”. Ao tratar do exótico em “The Exotic in Nineteenth-Century French Opera”, Ralph Locke observa que é difícil determinar se um compositor de determinada época escolheu os elementos musicais não usuais julgando que se pareciam com elementos típicos da região que queria retratar, ou se, simplesmente, por serem elementos estranhos, grotescos, e, assim, sem grande preocupação em retratar um determinado povo. No caso de Lakmé, tendo a concordar com o que Raphaël Pichon escreveu no programa da Opéra Comique: “Delibes teve a honestidade e a lucidez de não pretender nos levar à Índia. Ele introduziu a Índia como o pretexto que permitiu à sua escritura musical que inventasse e que desse vida a um país distante. Sua música parece vir de toda parte e de lugar nenhum, ela tem as qualidades de um lugar impalpável, intangível, de um mundo de cristal onde, por aqui, passa uma canção atemporal, e por ali, uma melodia imemorial…”.

A percepção musical de Pichon é confirmada pelo fato de, como já observamos, a ideia de Lakmé ter surgido a partir do livro de Loti, ou seja, o foco não estava na Índia, mas na paixão “selvagem” que encantou os libretistas.

Seria uma simplificação grosseira pensar que toda a música atribuída aos hindus é exótica, enquanto aquela atribuída aos ingleses é puramente europeia. Há elementos de exotismo na música “inglesa”, e o prelúdio do segundo ato, conhecido como Les Fifres, baseado em uma melodia inglesa, é um ótimo exemplo – afinal, como já observamos, o inglês não era visto com bons olhos, também era um “outro”, como os indianos. Do lado dos hindus, conforme já comentamos, há música que está mais para o lirismo, para o sublime, como escreveu Pichon, o que a aproxima da linguagem típica da opéra. Assim é a música atribuída a Lakmé.

Lakmé aparece pela primeira vez, em sua prece inicial, repleta de melismas, com uma mistura entre o sublime e o exótico. Depois, no dueto das flores com Mallika, canta uma barcarolle – e é assim que se apresenta a Gérald, sem exotismo, é assim que são os seus duetos. É diferente, portanto, do que ocorre em Carmen, não é o exotismo musical, uma dança exótica, sensual, que atrai o soldado europeu – não nos esqueçamos: ele já havia se encantado e se apaixonado antes mesmo de a conhecer. A ária dos sinos começa exótica, repleta de melismas, mas termina sem exotismo: “quando Lakmé transforma a canção de artefato cultural em expressão pessoal, seu efeito exótico desaparece”, aponta Parikilas. Esse tratamento musical universaliza Lakmé, e mostra que, ao contrário do que disse Ellen, a mulher indiana também sabe amar, e tanto ou mais que a inglesa.

Interpretação

Lakmé foi composta sob medida para a jovem soprano coloratura americana Marie Van Zandt, que havia triunfado em seu debut na Opéra Comique no papel-título de Mignon, de Ambroise Thomas. Ela foi, sem dúvida, a primeira grande Lakmé. Segundo as crônicas da época, porém, quem obteve maior sucesso na estreia foi Jean-Alexandre Talazac, o tenor, inclusive com direito a “bis”.

Depois dela, grandes cantoras interpretaram o papel e, felizmente, realizaram gravações, como Lily Pons, Mado Robin, Joan Sutherland, Mady Mesplé, Natalie Dessay e, atualmente, Sabine Devieilhe. Aos meus ouvidos é especialmente convincente a personagem criada por sopranos com voz leve, que transmite algo entre infantil, delicado e mágico, como Mesplé, Dessay e Devieilhe. É importante lembrar que a qualidade das gravações, que varia de acordo com a época em que foram realizadas, sempre interfere na apreciação. Apesar disso, embora Robin e Mesplé ocupem lugar de honra no panteão das Lakmés, é inovadora a gravação de Dessay, cuja paixão aflora, enquanto a voz, etérea, explora com naturalidade os sobreagudos. O efeito resultante é quase sobrenatural.

Sobrenatural, embora em sentido um pouco diferente, também é um adjetivo que descreve bem a interpretação com que Sabine Devieilhe brindou o público que lotou a ópera de Zurique para ouvi-la. Não foi apenas a pureza da voz, não foi apenas a técnica perfeita: ela parecia vir de outro plano, parecia estar atuando sozinha, a uma distância tal dos demais que pôde se blindar de atitudes inaceitáveis, como as do tenor uruguaio Edgardo Rocha, que a abandonava no meio de um dueto, sem fazer cerimônia, e ia para o meio do palco ler a sua partitura, colocada sobre a única estante presente nessa produção semiencenada.

Em entrevista à France Musique, Devieilhe lembrou que Lakmé não é só o virtuosismo da ária dos sinos, que o mais importante, claro, é a interpretação da personagem. E ela foi magistral nesse quesito: com a sua voz homogênea, totalmente sob controle, legato perfeito, foi minuciosa no manejo da dinâmica, bem como na cor e na entonação com que sublinhava as palavras e os estados emocionais da personagem. Seu francês foi totalmente compreensível, não somente por ser ela uma cantora francesa, mas por ter uma dicção clara e um francês cantado não muito distante do falado. Seu legato e seus pianíssimos foram sublimes, sobretudo na cena final. Não à toa, foi aplaudida de pé por boa parte do público.

Com a exceção de Devieilhe e de Bozena Bujnicka, membro do programa internacional de Opernstudios que interpretou Rose, os outros cantores estavam estreando em seus papeis. Foi de grande beleza o dueto das flores entre a Lakmé de Devieilhe e a Mallika de Siena Licht Miller. As duas vozes timbraram perfeitamente, sem que se perdesse o essencial contraste entre elas.

Todo o elenco foi de grande nível: o Frédéric de Björn Bürger, a Ellen de Sandra Hamaoui, a Rose de Bozena Bujnicka, a Mistress Benson de Irëne Friedli, e o Hadji de Saveliy Andreev. Em sua estreia não só no papel de Nilakantha, mas também na Ópera de Zurique, o barítono canadense Philippe Sly foi excelente. Com o seu belo timbre, a bela linha de canto e a dicção clara, encarnou um Nilakantha paternal, foi realmente aquele líder religioso, devoto de Lakmé, que opta pela vingança por não conhecer outra alternativa.O tenor Edgardo Rocha teve, no início da sua carreira, uma importante ligação com o Brasil: em 2007, em seu primeiro compromisso internacional, foi vencedor do Concurso de Canto Maria Callas. Dali em diante, partiu para uma importante carreira internacional, e frequenta os melhores palcos do mundo, dentre eles o de Zurique. Para mim, em especial, foi bastante interessante a experiência de vê-lo em cena apenas três dias depois de ter feito parte do júri da edição de 2023 do mesmo concurso. Já reclamei, acima, da postura de Rocha, que parecia não estar com o papel pronto para uma apresentação semiencenada, mas ele possui um belo timbre e uma voz muito bem colocada, que se projeta muito bem. É, em resumo, um bom cantor. Talvez tenha ficado devendo algum lirismo, mas, por outro lado, conforme já discutimos acima, certa falta de lirismo por parte dos ingleses é até desejável, e, assim, criou-se um interessante contraste entre o seu canto e o de Devieilhe.

Preparado por Janko Kastelic, foi ótima a participação do Coro da Ópera de Zurique, composto por coralistas de mais de vinte nacionalidades e cujas vozes timbram tão bem. Foi especialmente deliciosa a cena do mercado, no início do segundo ato.

Sob a regência de Alexander Joel, a Philharmonie Zürich transmitiu todo o colorido e o encanto da música de Delibes: com vigor e brilho, mas sem jamais encobrir os cantores, sem jamais perder a delicadeza.

Como tem sido comum em apresentações de Lakmé, houve cortes, concentrados especialmente no início do segundo ato: foram suprimidos o prelúdio e todas as danças.

Apesar dos cortes, da versão com recitativos e semiencenada, e do tenor indo buscar socorro em sua partitura… nada diminuiu o brilho do requinte musical dessa bela Lakmé de Zurique.


 

 

 
 
 

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