L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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La tecnica. Non si tratta di osservare gli effetti speciali o le tecniche di ripresa con il senno di poi, apprezzandoli perché contestualizzati, perché storicizzati, perché rapportati ai limiti di un'arte agli albori. No, Cabiria è e resta un film straordinario anche in termini assoluti. Le scene di massa e di battaglia sono realizzate tutte con attori in carne ed ossa e questo, così come la normalità fisica quasi quotidiana di uomini e donne, conferisce un realismo quasi documentario, una verità artigianale che spazza via e, anzi, trasforma in un valore, l'assenza di virtuosismi tecnici che oggi conferiscono maggior dinamicità e ritmo alle scene di battaglia. Scene come quella dell'eruzione dell'Etna o degli specchi ustori di Siracusa sappiamo essere realizzate con modellini, ma la cura è tale, la presenza dell'elemento umano così ben studiata da sospendere scientemente l'incredulità creando straniante ammirazione e per la verosimiglianza coinvolgente di quanto vediamo e per la consapevolezza della finzione e dell'illusionismo sopraffino. Fra gli effetti speciali non si può ignorare l'incubo di Sofonisba, una breve sequenza onirica sovrimpressa al sonno della regina senza la quale ci sarebbe difficile immaginare, decenni dopo, gli esiti raggiunti da Hitchcock o Kubrick nella rappresentazione dei sogni. Il trionfo conclusivo di putti, nereidi e gran pavesi sembra, invece, oggi inevitabilmente più datato e convenzionale, ma capita spesso anche nelle opere liriche più ardite che un finalino a vaudeville o in coro attenui la tensione e l'invenzione fatti brillare fino a pochi minuti prima. La gamma di colori con cui la pellicola fu trattata ribadisce come fosse riduttiva l'idea di un cinema in bianco e nero e come fosse progredita la tecnica cromatica, con effetti sia realistici (interni ed esterni, albe, notti, tramonti, incendi) sia simbolici, quando le contingenze ambientali e atmosferiche si sposano alle condizioni emotive. Ciò che stupisce ancor più della composizione artistica delle immagini, del loro respiro (mozzafiato la scena di Annibale sulle Alpi), degli effetti e del dispiego di mezzi, è il fluido dinamismo della narrazione conferito da una fotografia e da una gestione della macchina da presa che si faticherebbe a credere risalenti a un secolo fa, realizzate con camere a mano o montate su carrelli. L'obbiettivo scorre nella scena, la esplora, ci accompagna, racconta, coinvolge, ci fa parte reale dell'azione. Ci fa curiosare nei meandri di Cartagine, nei suoi cortili, nei suoi templi, nei palazzi e nelle bettole, e se non s'inoltra nelle battaglie ci viene da pensare che sia solo più prudente non avvicinarci, che siamo spettatori di un documento reale ma del quale non siamo parte, non che esistesse un qualsivoglia limite tecnico per cui non possiamo infilarci fra spade e catapulte come ci infiliamo nell'abitazione di Bodastoret o nella tenda di Scipione. Tutto ha un senso, un fraseggio, un preciso registro espressivo che si dipana in quello che Scorsese ha definito “un insieme magnifico e ipnotizzante”. Come dargli torto?

 


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