L’Ape musicale

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L’uso del flauto dolce, tra il 1710 e 1730, conobbe a Napoli una straordinaria fortuna, come dimostra la sua presenza in numerose composizioni esplicitamente dedicate a questo strumento. Le sonate di Leo aggiungono dunque una nuova luce al repertorio per flauto della Scuola Napoletana e sono una preziosa testimonianza di un interesse significativo per questo strumento da parte del compositore che si affianca a quello per il violoncello.
“Un ruolo particolare, per l’indubbio valore estetico della loro fattura musicale e per l’interesse che rappresentano nell’ambito del repertorio flautistico di quegli anni, spetta alle sette sonate di Leonardo Leo per flauto e basso continuo – spiega Tommaso Rossi – fino ad oggi inedite sia in edizione a stampa che in registrazione discografica e completamente ignorate in ambito esecutivo.”

Nelle Sonate non mancano atteggiamenti del Leo operista, in particolare del compositore di opere buffe, come testimoniano i ritmi frizzanti e le seducenti melodie degli adagi. Ma si ritrovano anche notevoli rimandi al Leo compositore di opere serie. La complessiva temperie musicale delle Sonate, alcune tipologie di incisi e di ripetizioni tematiche mostrano uno stile che colloca questa raccolta in un clima non lontano da quello dell’opera Zenobia in Palmira, eseguita a Napoli, al Teatro San Bartolomeo, nel 1725. Leonardo Leo è davvero un compositore affascinante per la capacità di mutare stile a seconda della destinazione delle sue opere. Monumentale nella musica sacra, virtuosistico nell’opera seria, spiritoso nell’opera comica, delicato e seducente in queste sonate per flauto. L’attenzione per il flauto che riscontriamo nella produzione strumentale del primo ’700 è dovuta al fatto che questo strumento divenne ben presto assai in voga presso gli ambienti aristocratici e alto-borghesi, seguendo una moda che, iniziata presso la corte di Luigi XIV in Francia, si estese ben presto a tutta l’Europa. A Napoli suonavano il flauto esponenti della famiglia Serra di Cassano, della famiglia Carafa, e lo stesso Viceré Austriaco Harrach, nella cui collezione (oggi alla New York Library) sono state trovate le sette sonate di Leo, probabilmente era un flautista dilettante. Aloys Thomas Raimund Harrach (Bratislava, 7 marzo 1669 – Vienna, 7 novembre 1742) fu Viceré di Napoli tra il 1728 e il 1733. Possiamo ancora oggi ammirarlo in un famoso quadro di Francesco Solimena che lo ritrae in piedi, a figura quasi completa, con alle sue spalle la sagoma nera del Castel Nuovo, e in un quadro di Nicola Maria Rossi, in cui intuiamo la sua presenza nella carrozza vicereale all’uscita dal Palazzo dei Viceré, circondato da una folla di soldati e cortigiani. La raccolta Harrach di New York custodisce numerosi pezzi per flauto e basso continuo di autori napoletani.

“In generale osservo – aggiunge Tommaso Rossi – come sia ancora tutta da riscoprire e valorizzare la produzione strumentale napoletana del XVIII secolo, che per varie ragioni è oggi ancora poco valorizzata, messa in ombra dalla grande produzione operistica e sacra. In realtà la Scuola Napoletana fu in grado di proporsi anche come fucina di strumentisti virtuosi (pensiamo ai Quattro Conservatori di Musica) e, nello stesso tempo, attraverso un’attività compositiva vivacissima, alimentò il fiorente mercato privato degli appassionati e dei musicisti dilettanti. Il motivo per cui questo repertorio è oggi difficile da ricostruire è dovuto alla scarsa propensione editoriale dei Napoletani. Infatti soltanto alla fine del XVIII secolo fu creata a Napoli una moderna editoria musicale e quindi tutto il repertorio precedente venne tramandato attraverso copie manoscritte, spesso copie uniche, con tutti i rischi connessi per la loro sopravvivenza. Insomma concluderei dicendo che la musica strumentale del ’700 Napoletano è oggi una nuova frontiera di studi. Con l’Ensemble Barocco di Napoli porteremo avanti negli anni questo lavoro”.

 


 

 

 
 
 

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