Il Michelangeli del violino
di Alberto Ponti
A una splendida interpretazione del Concerto beethoveniano si contrappone la migliore 'musica al quadrato' di Respighi e Stravinskij
TORINO, 15 dicembre 2017 - In tempi avari di novità memorabili, in cui i cartelloni sinfonici, soprattutto in Italia, tendono sovente ad appiattirsi su un numero non ampio di titoli senza affascinanti ma insidiose deviazioni dalle autostrade del grande repertorio (forse è da sempre così, come non ricordare Gianandrea Gavazzeni e il suo eloquente scritto Non eseguire Beethoven, datato 1974), le serate dell'OSN Rai emergono, nelle ultime stagioni, per il coraggio nel proporre accanto ai capisaldi di ogni sala da concerto anche capolavori di raro ascolto.
Un'autentica emozione di fronte a piccole gemme ritrovate ha così pervaso il pubblico dell'auditorium Toscanini (non tutto in verità, dopo l'intervallo si contava qualche poltrona vuota di più) di fronte al delizioso esordio della seconda parte del programma di venerdì 15 e sabato 16 dicembre, con la bacchetta di James Conlon abile nel tratteggiare i delicati arabeschi di due pagine respighiane: L'adorazione dei magi dal Trittico botticelliano (1927) e la prima suite da Antiche arie e danze per liuto (1917). Composizioni considerate in ogni storia della musica non solo italiana ma intanto mancanti da Torino rispettivamente dal 1981 (sul podio, lupus in fabula, Gavazzeni) e 1993!
Lontano dai turgori degli affreschi romani, Ottorino Respighi (1879-1936) qui si collega alla tendenza, particolarmente sentita nei primi decenni del secolo scorso, della riscoperta delle radici più antiche della tradizione strumentale della nostra penisola, rivissuta con originalità di tratto creativo e sensibilità raffinatissima. La lettura del direttore americano illumina la filigrana cameristica di una formazione ridotta: indimenticabile è l'intervento dell'oboe con l'intonazione commossa della melodia 'Tu scendi dalle stelle' nell'Adorazione, mentre numerosi passi del secondo pezzo si caricano di preziose suggestioni, accentuate dalla scrittura di uno tra i massimi maestri dell'orchestrazione, dai pizzicati degli archi della Villanella al fremente richiamo della tromba nella brillante Mascherada.
Alla volontà di recupero di antiche musiche, ripensate con spirito novecentesco, va ascritto anche il balletto Pulcinella pensato nei primi anni venti da Igor Stravinskij (1882-1971), che ne trasse in seguito un'ampia suite priva degli interventi vocali della partitura originaria. Le melodie originali di Pergolesi (o all'epoca a lui attribuite), pur nella loro riconoscibilità, sono continuamente deformate da sapidità armoniche e inquietudini ritmiche che recano invece il tipico marchio di fabbrica del compositore russo. Conlon, che aveva assecondato l'elegante incedere di Respighi, sceglie invece, con stacco di sicuro effetto, di accentuare la ruvidezza asciutta di buona parte di Pulcinella. Alcune finezze stravinskiane vanno perdute ma l'esecuzione non manca di tratto personale, evidente nel terzo movimento (Scherzino-Allegretto-Andantino), sbozzato con trascinante esuberanza, e nel settimo (Vivo), carico di un tratto umoristico che a questo livello non avevamo mai sentito.
Il Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 61 (1806) di Ludwig van Beethoven (1770-1827), che da solo occupava l'intera prima parte della serata, è uno di quei brani che non hanno bisogno di presentazioni, avendo da tempo trovato per comune accordo il suo posto nel pantheon dell'arte occidentale. Una genuina rivelazione è stato invece il solista James Ehnes, quarantunenne canadese da tempo ospite delle grandi istituzioni internazionali ma ancora non troppo celebre in Italia. Le sue qualità tecniche di primissimo piano si sposano a un'intonazione di eccezionale bellezza, in grado di passare senza sforzo dalla corposità dei bassi all'articolazione precisa, cristallina ma sempre musicalissima dei più sublimi passaggi del Larghetto centrale, in cui l'invenzione beethoveniana anticipa la sublime astrazione degli ultimi quartetti. Anche le classiche cadenze di Fritz Kreisler, pur tante volte udite, sotto l'archetto di Ehnes sono parse come improvvisate per la prima volta, tanto era spontaneo e contagioso lo sgorgare delle note dallo Stradivari 'Marsick' del 1715 del giovane virtuoso. Tra momenti di autentico entusiasmo e di puro trasalimento condivisi dall'intera platea non ci pare esagerato affermare che, se Arturo Benedetti Michelangeli fosse stato un violinista, avrebbe suonato in questo modo.