L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Eppur si suona

di Roberta Pedrotti

Nello splendido Teatro Romano, l'Orchestra Filarmonica di Benevento sfida umidità e temperature infernali con un bel programma focalizzato su Čajkovskij e Musorgskij, con una prima assoluta di Emilio Mottola. Sul podio Alessandro Bonato, solista Giuseppe Gibboni, giustamente festeggiato nella "sua" Campania.

BENEVENTO, 26/07/2022 - Fra le cime del Sannio si affacciano imponenti pareti di batuffoli bianchi come se fossero altre montagne, dal crepuscolo, in lontananza, brilleranno lampi a far sognare temporali. Eppure, l'aria è rovente, perfino la brezza brucia e immaginiamo quanto possa essere difficile suonare così, all'aperto, sotto il peso dell'umidità. Eppur si suona.

Basterebbe questo entusiasmo caparbio a farci gioire di essere qui ad applaudire l'Orchestra Filarmonica di Benevento. È una formazione giovane, che vanta un padrino e una madrina d'eccezione come Antonio Pappano – direttore onorario la cui famiglia è originaria proprio del beneventano – e Beatrice Rana, direttrice artistica che ha saputo catalizzare collaborazioni di pregio in un cartellone d'ottimo livello. Quel che colpisce, al di là dei nomi più appariscenti, è però lo spirito di squadra di un'orchestra dove nessuno sembra limitarsi, se così si può dire, a suonare, ma tutti si danno da fare in prima persona nell'organizzazione, nella logistica, nella comunicazione: insomma, una bellissima e sorridente comunità musicale. In tal senso, assume un significato particolare il brano di Emilio Mottola (compositore, ma anche violoncellista e addetto stampa) eseguito in prima assoluta in apertura di programma: Sincerely yours è un pezzo accattivante, di taglio quasi cinematografico, che sfrutta l'antico espediente della dedica tramite un crittogramma musicale, in questo caso ispirato alle date di nascita dei genitori, ma anche di molti colleghi dell'orchestra. Un bel modo per dirci che per suonare insieme bisogna anche star bene insieme.

La serata prosegue poi all'insegna del repertorio russo, contando su due nomi di spicco della nuova generazione: Giuseppe Gibboni e Alessandro Bonato (rispettivamente classe 2001 e 1995).

Il caso vuole che proprio il vincitore dell'ultimo premio Paganini e uno dei più interessanti direttori under 30 avessero affrontato il concerto per violino di Čajkovskij per la prima volta insieme, nell'estate del 2019 con i Pomeriggi musicali di Milano. Se il Teatro Romano è un luogo d'impagabile suggestione, la condizione ambientale è particolarmente ostile per gli strumenti e perfino il miglior virtuoso dovrà penare con il calore e l'umidità che insidiano lo scorrere di dita e archetto nonché la tenuta dell'intonazione: per questo, la confidenza reciproca e con la partitura – fra le più frequentate da entrambi – è fondamentale. Non serve nemmeno un cenno perché si adattino gli equilibri fra solista e orchestra, perché si modelli il fraseggio di comune accordo con pronta reazione, tenendo ben presente l'architettura interna del concerto. Essere musicisti significa anche questo: non solo dare il meglio nella comodità di un bell'auditorium climatizzato con orchestre blasonate, ma anche avere la prontezza, la saldezza tecnica e trovarsi complici per servire la partitura e il pubblico là dove le condizioni non siano quelle ottimali. Difatti, l'antica cavea risponde con entusiasmo e Gibboni, campano propheta in patria, ben volentieri concede un bis paganiniano.

È poi la volta di Musorgskij, dei Quadri di un'esposizione orchestrati da Ravel, banco di prova notevole per ogni orchestra e conferma della prima dote che apprezzammo in Bonato nel 2019: la capacità di ottenere il miglio risultato con il senso pratico che non rinuncia all'idea. Come già in Mottola e Čajkovskij, continuiamo a percepire l'idea di collaborazione, fiducia reciproca, ricerca condivisa che si traduce in pronta reazione a ogni difficoltà o imprevisto: ogni sbavatura è presto tamponata così come ogni sbilanciamento acustico, la chiave di lettura resta chiara. Ogni ripresa della Promenade è declinata con un'inflessione differente, sottolineando con Ravel il ricordo dell'ultimo quadro e l'approssimarsi del prossimo; i caratteri sono ben delineati senza calcare inutilmente la mano (Gnomus, i due ebrei, la Baba Jaga), le immagini più vivaci e colorite sono giustamente spiritose ma mai leziose (che bella l'esattezza dei pulcini nel guscio, che lascia tuttavia immaginare soffici piume e tenere zampette!), quelle più intime (il castello, le catacombe) si apprezzerebbero forse più al chiuso ma lasciano intuire un fraseggio ben tornito e sfumato; la porta di Kiev, infine, non gioca la carta del facile effetto, ma è felicemente concepita con vera e pacata nobile maestà.

L'emozione sul palco è evidente, ma è l'emozione costruttiva di chi ama quel che fa e ci mette tutto il cuore. Che si tratti di ottimi elementi e di un'orchestra d'indubbio potenziale è chiaro, il resto verrà senz'altro con l'esperienza continuando ad avvalersi di collaborazioni fruttuose come quelle di questa sera, che hanno il doppio merito di contribuire alla crescita dell'orchestra e di offrire alla città una programmazione musicale di alto livello. Per quel che concerne la formazione del pubblico e la divulgazione c'è molto da fare, ma la sensazione è che si sia partiti e si stia procedendo con il piede giusto. Se ne sono accorti anche gli sponsor: il pastificio Rummo sostiene la stagione concertistica e questo ci fa fare anche la spesa con più soddisfazione.


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