L'eleganza dell'inferno
di Irina Sorokina
Pubblico non molto folto, ma giustamente assai soddisfatto alla prima per Austieg und Fall der Stadt Mahagonny di Brecht e Weill al Regio di Parma. Una produzione di pregio che non viene penalizzata da alcuni cambi di cast e cresce nell'apprezzamento di recita in recita.
PARMA 26 aprile 2022 - Un contrasto da far emettere un grido, tra la sala rossa dorata del Teatro Regio di Parma con il palco ducale incoronato che ricorda Maria Luigia, la seconda sposa di Napoleone e madre di suo unico figlio, il Re di Roma, e il sipario grigio e piatto che nasconde una città dissoluta: siamo per assistere alla nuova produzione dei teatri lirici emiliani in occasione di Parma Capitale Italiana della Cultura 2021, in collaborazione con Fondazione I Teatri di Reggio Emilia. La sala elegante del Regio con il suo pubblico non certo giovane accoglie un titolo raro, anzi, rarissimo: Ascesa e caduta della città di Mahagonny, in originale Austieg und Fall der Stadt Mahagonny del duo Bertolt Brecht e Kurt Weill. Un simile contrasto si poté osservare undici anni fa a Mosca, quando alla capitale russa arrivò l’allestimento che il mitico Gérard Mortier, all’epoca sovrintendente del Teatro Real di Madrid, affidò alla nota compagnia teatrale catalana La fura dels baus. Le rappresentazioni avvennero sul palcoscenico nuovo del Bol’šoj, nella sala di colore verdino chiaro e con copie dei bozzetti di Léon Bakst per Les Ballet Russes sul soffitto: anche in questo caso, un vero abisso tra il titolo “spettinato” e una sala teatrale di stampo tradizionale.
Ascesa e caduta della città di Mahagonny di Bertolt Brecht-Kurt Weill appariva raramente nei cartelloni dei teatri prima e lo fa ancor oggi; non può certo fare concorrenza all’Opera da tre soldi nata pochi anni prima dal sodalizio degli stessi autori e ricca di melodie d'effetto, mentre in Mahagonny troviamo un'unica hit, “Alabama”, il numero due della partitura. E poi? Se qualcuno volesse rilassarsi all’ascolto di qualche pezzo celebre, rimarrebbe profondamente deluso. Ascesa e caduta della città di Mahagonny nacque in un momento cruciale della storia europea, all’apice della crisi economica mondiale, mentre la Germania attraversava un periodo estremamente complicato della propria storia. Nel 1927 nacque Mahagonny Songspiel, cantata scenica eseguita per la prima volta a Baden-Baden, e tre anni dopo, nel 1930, un’opera completa in tre atti.
La prima ebbe luogo il 9 settembre 1930 a Lipsia e godette un grande successo di pubblico e critica, nonostante la nuova creazione del tandem Brecht-Weill avesse abbandonato i canoni dell’opera tradizionale e rinunciato decisamente allo “stile grazioso per farsi godere i melomani”. È ben nota l’ironia profonda che Brecht nutriva nei confronti dell’opera lirica chiamandola “culinaria”; la partitura di Mahagonny non puntò quindi allo scopo di accarezzare l’orecchio. Brecht presentò un lavoro piuttosto complesso, dal linguaggio musicale sofisticato con l’impiego di fughe, di contrappunto e di un accurato sviluppo sinfonico, ma non rinunciò all’uso di strumenti come chitarra, banjo e percussioni, indispensabili per la musica jazz degli anni ’20: ne venne fuori un vero potpourri di stili musicali diversi. L’esecuzione di Mahagonny non fu mai un’impresa facile, necessita nove voci solisti, ma anche di altre sei per interpretare le amiche di Jenny e di una grande orchestra che ai soliti strumenti aggiunge molti di uso piuttosto raro.
Una bella impresa, anzi, una sfida che ha voluto affrontare il Teatro Regio di Parma. E la sfida l’ha vinta, testimone il grande successo della prima: peccato per il pubblico decisamente scarso in sala. Ma quello presente sicuramente ha assistito all’opera come “un mezzo d’insegnamento e un’istituzione di trasparenza”, come disse Brecht stesso, e potrebbe averne tratto un grande vantaggio e altrettanto piacere.
La storia raccontata Ascesa e caduta della città di Mahagonny illustra un sogno borghese di vita ricca e spensierata. Leokadja Begbick, Fatty e Trinity Moses, tre pregiudicati sfuggiti alla giustizia fondano nel deserto una città dove regna il piacere. Riescono così ad attirare uomini in cerca di ragazze facili e divertimento: molti uomini insoddisfatti arrivano a Mahagonny, tra loro quattro tagliaboschi dall’Alaska. La prostituta Jenny fa innamorare uno di loro, Jimmy Mahoney. A Mahagonny sta per arrivare un uragano, cresce il panico, mentre Jimmy proclama la nuova filosofia, “fai quel che vuoi”. L’uragano risparmia Mahagonny e la città torna ai divertimenti folli e alla filosofia del “fare” che elogia il Mangiare, il Sesso, il Menare e il Bere. Jimmy si abbuffa, gli uomini fanno la fila per le prostitute, Trinity Moses e Joe lottano sul ring: Jimmy scommette sull’amico, ma Joe muore. Jimmy ordina da bere per tutti, ma quando la Begbick chiede di pagare il conto, non lo può pagare. Nella città di Mahagonny tutto è permesso tranne il non avere il denaro: Bill e Jenny rifiutano di aiutare Jimmy che finisce in prigione. In tribunale Jimmy subisce una serie di accuse ingiuste - di turbare la quiete in città, di aver sedotto Jenny... - ma lo condannano a morte perché non può pagare il debito, il peccato più grande a Mahagonny.
Grande stile e ancora maggior lusso caratterizzano il nuovo allestimento di Mahagonny al Regio di Parma: siamo invitati a un colossale show affidato a Margherita Palli (scene), Giancarlo Colis (costumi), Pasquale Mari (luci), Mario Spinaci (video design) e Valentina Escobar (coreografia). I cinque formano una squadra che raggiunge un’intesa perfetta e costruisce sul palcoscenico del Regio un mondo simile a un immenso parco di divertimenti dove regnano abiti di lusso e minimalisti, colori sgargianti, accessori bizzarri. La regia dello show colossale in un continuo movimento e senza limiti di tempo e di spazio è affidata a Henning Brockhaus, il cui lavoro nei due decenni passati si è potuto osservare allo Sferisterio di Macerata e al Regio di Parma. Il regista dalla personalità di rilievo piuttosto modesto, firmatario di produzioni-regno indiscusso del geniale scenografo Joseph Svoboda, nel caso della Traviata maceratese “si nascondeva” dietro il lavoro splendido dello scenografo entrato nel mito ormai e nel caso di Lucia di Lammermoor discretamente “non danneggiava”, se così si può dire. Il caso di Ascesa e caduta della città di Mahagonny è felicemente diverso; probabilmente, il materiale scelto è più consono alla personalità di Brockhaus che si ispira all’estetica di un gran show di stampo Broadway dove convivono recitazione, canto e danza, e si appella ai quadri di Edward Hopper.
La coproduzione di due teatri lirici emiliani presenta un eccellente cast dove non può passare inosservato Chris Merritt – Fatty. Alla prima la ben conosciuta Marianne Cornetti – Leokadja Begbick viene sostituita da Alisa Kolosova e Anne-Marie Kremer – Jenny Hill da Nadja Mchantaf, e la loro prestazione è assolutamente splendida. Della Kolosova colpisce al primo impatto la voce, illimitata, ben timbrata, caratterizzata da sfumature leggermente aspre, quindi la grandezza d’attrice che si muove liberamente e con una buona dose d’ironia nel mondo surreale dell’opera di due autori tedeschi. Di una stazza impressionante, volge scaltramente questa caratteristica a favore del personaggio, sa portare un abito impegnativo e possiede l’arte della gesticolazione espressiva.
Parole d’ammirazione vanno a Nadja Mchantaf, membro dell’ensemble del Komische Oper di Berlino che abbiamo avuto fortuna di ascoltare in gennaio del 2019 nella Bohème pucciniana. Il soprano tedesco che nulla ha a che fare con le primedonne che vantano questo titolo a causa degli abiti splendidi e dei comportamenti bizzarri, regala in pieno il suo splendore al personaggio di Jenny Hill, le regala il fisico scolpito, la capacità di muoversi nel modo sensuale e sinuoso, l’arte di portare gli abiti, la disinvoltura generale. Si rivela un’ennesima volta una cantante poliedrica: canta Jenny con la padronanza con cui canta Servilia, Pamina, Annchen, Adina, Micaёla, Gretel, Mimì, Musetta, Valencienne.
Al fianco della Mchantaf – Jenny, Tobias Hächler nel ruolo del suo innamorato Jimmy Mahoney, bravissimo tenore e ottimo attore capace di disegnare le dinamiche drammatiche che portano il suo personaggio dalla proclamazione spavalda che “Tutto è permesso” alla condanna a morte a causa d’impossibilità di adempiere i debiti. Nel monologo del terzo atto ammalia per il timbro chiaro molto gradevole, una perfetta padronanza dello stile e la parola nitida e espressiva.
Completano il cast Mathias Frey - Tobby Higgins e Jack O’Brien, Zoltan Nagy – Trinity Moses, Simon Schnorr – Bill, Jerzy Butryn – Joe e Roxana Herrera, Elizabeth Hertzberg, Yulia Tkachenko, Cecilia Bernini, Kamelia Kader, Mariangela Marini - sei audaci ragazze di Mahagonny. Merita una riga a parte Filippo Lanzi, il Narratore spigliato e simparicissimo.
L’orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini guidata da Christopher Franklin si disimpegna con disinvoltura nella partitura eclettica e dai toni accesi; il direttore americano Cristopher Franklin mostra una comprensione profonda dello stile eclettico della partitura di Weill, con gli echi di Richard Strauss e della musica jazz e cabaret.
Al Teatro Regio di Parma un evento musicale e teatrale di sicuro interesse e grande spessore, da rivedere e riascoltare.
AGGIORNAMENTO
Squadra che cambia continua a vincere
di Roberta Pedrotti
PARMA, 28 aprile 2022 - Non c'è pace a Mahagonny. Dopo una serie di indisposizioni che aveva già modificato il cast del debutto rispetto a quanto annunciato inizialmente, alla seconda recita ecco che anche Chris Merritt [da noi intervistato prima del debutto: Interviste, Chris Merritt] viene sostituito. Il nuovo Fatty, Matthias Kozorowski, non avrà la storia e il carisma del collega statunitense, ma gli va senz'altro reso il merito di essersi inserito con gra disivoltura nello spettacolo all'ultimo momento, confermando un affiatamento anche stilistico ben palpabile in tutta la compagnia, compresi l'orchestra filarmonica Toscanini e il coro del Regio in forma smagliante sotto la guida di Martino Faggiani. Da segnalare, forse per un benefico passaparola, che se non esaurito il Regio era comunque piuttosto popolato, gli applausi finali sono stati calorosi e prolungati, uscendo dalla sala si sentiva chi canticchiava "Oh moon of Alabama", chi enumerava i pregi di musica e testo, chi esprimeva il desiderio di tornare.
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