Il finale di Luciano Berio
Nel 2000 il Festival delle Canarie commissiona un nuovo completamento dell’opera a Luciano Berio. Berio si dedica innanzitutto allo studio dei frammenti originali e opera una serie di tagli al libretto eliminando molti dei passaggi per cui non esistono idee musicali di Puccini. A differenza di Alfano, Berio si ripropone di utilizzare il più possibile gli schizzi, inclusi quelli strumentali in cui Puccini sembra discostarsi in modo radicale dal suo stile precedente, e ne inserisce 23 su 30 (delle complessive 307 battute del finale 133 sono di mano di Puccini, 174 di mano di Berio) combinandoli con una serie di rimandi a temi già presenti nel resto dell’opera, a cominciare dal “Nessun dorma” utilizzato anche da Alfano. Si accentua così nel finale il pluralismo di stili che è caratteristica dell’intera opera e ne fa un punto di svolta rispetto alla precedente produzione pucciniana. Per il punto culminante, lo “sgelamento”, Berio si rifà alle indicazioni di Puccini: “Nel duetto si può arrivare a un pathos grande. E per giungere a questo io dico che Calaf deve baciare Turandot e mostrare il suo amore alla fredda donna. Dopo baciata con un bacio che dura qualche secondo (…) le dice il suo nome sulla bocca” (lettera a Adami, novembre 1921). Si rende necessario un momento di “intimità amorosa” abbastanza prolungato da rendere drammaticamente credibile il cedimento della principessa: Berio lo realizza con un interludio strumentale apertamente debitore del cromatismo di Wagner, cui già aveva fatto riferimento Puccini prima dell’aria di Liù (è interessante osservare come anche Alfano nella prima versione del suo finale avesse proposto un interludio in questo punto). L’accordo del Tristano ricorre in diversi momenti dell’opera, a cominciare delle prime note del I atto, gettando un’ombra di ambiguità e di morte sulla vicenda amorosa. Nel finale di Berio il lutto per la morte di Liù non è dimenticato e termina in pianissimo su un’atmosfera di sospensione e incertezza: “si conclude con una domanda – dichiarava Berio – e il pubblico si ritrova a chiedersi che cosa ha visto e come sia possibile completare in qualche modo la soluzione dell’enigma che è Turandot”.
Il risultato è una pagina in cui Berio non finge di essere Puccini ma restituisce all’ascoltatore quasi tutta la musica effettivamente scritta dal compositore, le sue intenzioni estetiche e drammaturgiche e anche la problematicità di un’opera che, terminata nel 1924, riflette a pieno titolo le tensioni e le aperture del ‘900 musicale.
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